Ho dormito con il mio fidanzato senza sapere che era morto due giorni prima—Ora sono incinta del figlio del suo fantasma

Ho giurato di averlo visto. Lho toccato. Baciato. Sentito. Il suo respiro era caldo, le labbra sapevano di mentacome sempre. Indossava quella felpa grigia che lo faceva sembrare un “bullo tenero”, come scherzavo spesso. Era reale. Mi ha tenuta stretta tutta la notte. Mi ha sussurrato “ti amo” allorecchio. Mi ha promesso che ci saremmo sposati lanno dopo. Ricordo ogni attimo. Il modo in cui le sue dita accarezzavano il mio braccio. Come piangeva quando piangevo io. Come mi amava con una passione che mi spezzava lanima in due. E poi è svanito.
Mi sono svegliata sola. Ma non avevo paura. Pensavo fosse uscito per la sua corsa mattutina, come faceva spesso. Il suo profumo era ancora sulle lenzuola. La mia pelle bruciava ancora dove mi aveva toccato. Ma qualcosa non tornava.
Ho chiamato.
Di nuovo.
E ancora.
Poi, la mia migliore amica, Chiara, è entrata nella mia stanza, pallida in volto. Non capivo perché piangesse.
“Ginevra” ha sussurrato. “Non lo sai?”
Ho riso. “Sapere cosa?”
“Luca è morto.”
Ho sbattuto le palpebre. “Morto come?”
Ha pianto più forte. “Due giorni fa. Un incidente in macchina. La notte del temporale.”
No. No. No.
Ho urlato. Lho spinta. Lho accusata di crudeltà. Le ho mostrato il messaggio che Luca mi aveva mandato la sera prima. La nota vocale che diceva: “Sto arrivando. Mi manca il tuo corpo vicino al mio.” Lei ha fissato il telefono, tremando.
“Ginevra lui non poteva averlo mandato. Era già allobitorio.”
Il mondo ha vacillato.
Le mie ginocchia hanno ceduto.
Sono corsa in bagno, ho afferrato lasciugamano che aveva usato, ancora umido. La felpa lasciata per terra. Il segno dei suoi denti sul mio collo.
Lui era stato qui.
Doveva esserlo.
Ma la verità era Luca era stato sepolto il giorno prima.
E in qualche modo, quella notte, avevamo fatto lamore.
I giorni passavano. Le notti erano insostenibili. Non riuscivo a dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi, lo vedevo. A volte in piedi ai piedi del letto. Altre volte sussurrandomi allorecchio. Una notte ho sentito la sua voce: “Non piangere, amore. Sono ancora con te.” Ho provato a registrarla, ma ho catturato solo statica e il mio respiro affannoso.
Poi il ciclo non è arrivato.
Due volte.
Pensavo fosse lo stress. Il dolore. Il trauma.
Finché non ho vomitato per la quinta volta in un giorno.
Ho fatto il test.
Due linee.
Positivo.
Sono crollata.
Lunico uomo con cui ero stata era Luca.
Ma lui era morto.
Sepolto. Decomposto. Andato.
Eppure, qualcosa cresceva dentro di me.
Qualcosa che scalciava di notte.
Qualcosa che brillava sotto la mia pelle al buio.
E ogni volta che piangevo e dicevo di non farcela
Lo sentivo sussurrare dalle ombre:
“Non sei sola. Nostro figlio sta arrivando.”
***
Non ricordo di essermi addormentata. Ricordo solo di essermi svegliata nella vasca da bagno, con il test di gravidanza ancora stretto in mano, quelle due linee rosa che sfidavano la mia sanità mentale. Non avevo parlato con nessuno per giorninemmeno con Chiara. Il telefono aveva squillato decine di volte. Il suo nome illuminava lo schermo. Ho ignorato tutto.
Come spiegare che aspettavo un bambino da un uomo sepolto da settimane? Chi mi avrebbe creduto? Nemmeno io ci credevo davvero. Fino a quella notte.
Mi ero appena assopita quando qualcosa ha premuto sulla mia pancia dallinterno. Non era un calcio normale. Sembrava intelligente. Deliberato. Come se volesse attirare la mia attenzione. Mi sono alzata di scatto, ansimando, le mani sulla pancia. E poi lho sentita di nuovo.
La voce di Luca. Dentro la mia testa.
“Non aver paura, amore. Ho scelto te.”
Ho urlato e sono scappata dal letto. Mi sono guardata la pancia allo specchio, sollevando la camicia. Avrei giurato di aver visto una luce azzurra pulsare appena sotto la pelle. È lampeggiata e poi è sparita. Le gambe mi hanno ceduto. Sono caduta a terra, singhiozzando.
Il giorno dopo, mi sono costretta ad andare in ospedale. Ho detto alla dottoressa che ero rimasta incinta dopo che il mio ragazzo mi aveva fatto visita. Ho mentito sulle date. Ho mentito su tuttotranne i sintomi.
“Sogni strani. Pelle che brilla. Voci di qualcuno che non cè.”
Lespressione della dottoressa è passata dalla preoccupazione al sospetto.
“Faremo degli esami,” ha detto con cautela. “Lo stress può influire molto sulla mente, specialmente con gli ormoni della gravidanza.”
Ha premuto lo stetoscopio sulla mia pancia. Il suo volto si è irrigidito.
“Non sento il battito. Ma qualcosa si muove.”
Ha ordinato unecografia. Mentre ero sdraiata sul lettino freddo, il volto della tecnica è impallidito. Continuava ad aggiustare la sonda. Non ha detto nulla finché non glielho chiesto.
“Cè un feto,” ha sussurrato. “Ma brilla.”
Sono uscita dallospedale senza aspettare i risultati. Quella notte, ho fatto un altro sogno. Luca era in piedi sulla riva del nostro lago, la brezza muoveva la sua felpa.
“Nostro figlio non è come gli altri,” ha detto, con una voce più dolce del vento. “Lui sono io e qualcosa di più.”
“Cosa intendi?” ho chiesto.
Ma lui ha solo sorriso, triste. “Lo capirai presto. Ma devi proteggerlo.”
Mi sono svegliata e ho trovato le tende aperte, nonostante le avessi chiuse a chiave. La felpa che Luca indossava nel sogno era piegata con cura ai piedi del letto. Lho toccata. Era ancora calda.
Allora ho capitociò che cresceva dentro di me era reale. Era suo. E mi stava cambiando.
Il giorno dopo, ho finalmente chiamato Chiara. Avevo bisogno di aiuto. È corsa da me e mi ha abbracciata forte. Le ho raccontato tutto. Le ho mostrato la luce nella mia pancia. Le ho parlato dei sogni, della voce, del bambino.
Non ha riso.
Non ha urlato.
Ha sussurrato: “Devo portarti da qualcuno.”
Lho seguita fino a una vecchia casa nascosta dietro la chiesa di sua nonna. Dentro, cera una donna anziana, con trecce grigie e occhi pallidi. Mi ha guardato una sola volta e ha detto:
“Non sei la prima. Ma devi essere lultima.”
Le ho chiesto cosa intendesse, ma la sua risposta mi ha ghiacciato il sangue.
“Porti nel grembo il figlio di unanima legata. Quel bambino è una benedizione e un avvertimento. Suo padre non doveva tornare. Ora quella porta è aperta. E altri stanno passando.”
“Per portarmelo via?” ho chiesto.
“Per portare te.”
Improvvisamente, le luci hanno sfarfallato. Una brezza gelida ha attraversato la stanza.
E dalle ombre ho sentito di nuovo la

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