Ho fatto in modo che mio marito si allontanasse dai parenti che lo trascinavano verso il basso

Ho fatto in modo che mio marito si allontanasse dai parenti che lo trascinavano verso il basso

Io, Bianca, ho ottenuto che mio marito, Marco, smettesse di frequentare i suoi familiari. Non me ne pento: loro lo stavano spingendo verso il baratro, e non potevo permettere che trascinassero con sé anche la nostra famiglia. I parenti di Marco non erano ubriaconi né pigri, ma la loro mentalità era tossica. Credevano che la vita dovesse servire loro tutto su un piatto d’argento, senza alcuno sforzo. In questo mondo, però, nulla arriva per caso, e non volevo che mio marito, pieno di potenziale, affondasse nel pantano della loro rassegnazione.

Marco è un gran lavoratore, ma gli mancava la scintilla, la motivazione. La sua famiglia, in un paesino vicino a Napoli, non l’ha mai cercata. Si limitava a lamentarsi: del governo, dei vicini, del destino—di tutti, tranne che di sé stessa. I genitori di Marco, Giuseppe e Rosa, hanno vissuto sempre in povertà, contando ogni centesimo, senza mai provare a cambiare la loro situazione. La loro filosofia si riassumeva in una frase: «La vita è così, rassegnati». Marco aveva un fratello minore, Luca, la cui vita non era andata meglio: si era sposato, ma la moglie lo aveva lasciato per un uomo più ricco, convincendolo che tutte le donne cercassero solo soldi. Quella famiglia era come un buco nero che risucchiava via ogni speranza.

Amavo Marco e credevo in lui. Ma dopo due anni di matrimonio, vivendo nel suo paese, capii che, se non avessimo cambiato qualcosa, saremmo arrivati alla vecchiaia con gli stessi vestiti e a risparmiare sul pane. Nonostante fosse un posto piccolo, si poteva trovare un buon lavoro, ma la sua famiglia insisteva sul contrario. «Perché lavorare per un padrone? Ti licenzieranno senza un euro, e la legge non ti aiuterà», ripeteva il suocero. Lui e Marco lavoravano in una fabbrica locale dove gli stipendi arrivavano in ritardo di mesi. «Cambiare lavoro è inutile, ovunque serve la raccomandazione», diceva Marco, ripetendo le parole di suo padre. La suocera non coltivava nemmeno l’orto: «Tanto lo rubano, perché sforzarsi?» La loro passività mi uccideva.

Vedevo Marco, talentuoso e volenteroso, spegnersi sotto la loro influenza. Non erano solo poveri—si erano rassegnati alla povertà come a una condanna. Non volevo quel destino né per lui né per me. Un giorno non ce la feci più. Mi sedetti di fronte a mio marito e dissi: «O ci trasferiamo in città e iniziamo una nuova vita, o me ne vado da sola». Lui resisteva, ripetendo i mantra dei suoi genitori: che era inutile, che non avremmo combinato nulla. Suocero e suocera facevano pressione su di lui, sostenendo che stessi distruggendo la famiglia. Ma io rimasi ferma. Era la nostra unica chance per sfuggire alle loro grinfie. Alla fine Marco accettò, e ci trasferimmo a Milano.

Il trasloco fu un punto di svolta. Ricominciammo da zero: cercavamo lavoro, affittavamo una stanza, contavamo ogni euro. Era dura, ma vedevo riaccendersi in Marco la passione. Trovò un lavoro in un’impresa edile, io come segretaria in un negozio. Lavoravamo, studiavamo, passavamo notti in bianco, ma andavamo avanti. Sono passati quindici anni. Ora abbiamo un appartamento, una macchina, e ogni anno partiamo per le vacanze. Abbiamo due figli: il maggiore, Andrea, e la più piccola, Sofia. Tutto ciò che abbiamo lo abbiamo conquistato da soli, senza aiuti. Marco ora è caporeparto, e io ho aperto una piccola attività. La nostra vita è il frutto del nostro impegno, non della fortuna.

Ai genitori di Marco mandiamo qualche soldo per sostenerli, ma non sono cambiati. Luca, suo fratello, vive ancora con loro, lavora nella stessa fabbrica con gli stipendi in ritardo. Ci chiamano fortunati, come se non ci fossimo spaccati la schiena per questa vita. «Avete avuto solo culo», dicono, ignorando le nostre notti insonni, i sacrifici, la nostra tenacia. Le loro parole sono uno schiaffo. Non vedono quanto abbiamo lottato per uscire dalla stessa fossa in cui loro restano per scelta.

Marco solo di recente ha ammesso che trasferirsi fu la decisione migliore della sua vita. Ha capito come i suoi parenti spegnessero in lui la voglia di migliorare, come le loro lamentele e la loro passività lo frenassero. Sono fiera di averlo tirato fuori da quel pantano. Ma per proteggere la nostra famiglia, ho dovuto erigere un muro tra Marco e i suoi parenti. Non gli ho vietato di parlare con loro, ma ho fatto in modo che la loro influenza non avvelenasse la nostra vita. Ogni loro chiamata, ogni lamentela, mi ricordavano quanto fossimo vicini ad affogare nella loro rassegnazione.

A volte il cuore mi si stringe al pensiero che Marco avrebbe potuto restare lì, in quella vita grigia senza sogni. Ma quando lo vedo guardare i nostri figli, la nostra casa, capisco: ho fatto la cosa giusta. I suoi parenti continuano a vivere nel loro mondo, dove tutto dipende dal destino, non dall’impegno. Noi abbiamo scelto un’altra strada. E non permetterò che le loro parole tossiche o le vecchie abitudini tornino nella nostra vita. Io e Marco abbiamo costruito la nostra felicità, e nessuno ce la porterà via.

La vita insegna che le scelte difficili spesso sono quelle che salvano il futuro. Chi si accontenta di lamentarsi, invece di agire, resta intrappolato nella propria miseria. Noi abbiamo scelto di cambiare.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

13 + 2 =

Ho fatto in modo che mio marito si allontanasse dai parenti che lo trascinavano verso il basso