Ho messo a posto la cognata impertinente

Mi sono imposta sulla sfacciataggine della sorella di mio marito

— La mamma ha detto che il ristorante è confermato, — disse Silvia, apparentemente ignara della tensione nella voce di Giulia. — E riguardo ai soldi. Tu e Marco avete fatto il bonifico?

Giulia rimase in silenzio per qualche istante, cercando di trovare le parole giuste, ma Silvia aveva già continuato:

— L’importo è modesto, onestamente, avevo anche pensato di metterci qualcosa io, ma sai, con le mie spese… È tutto per la mamma, capisci.

— Aspetta, — Giulia la interruppe, cercando di mantenere la calma. — Non avevamo discusso di questo. Marco non mi ha detto nulla.

— Oh, ma sai com’è lui, si dimentica sempre di tutto, — Silvia rise come se fosse la cosa più normale del mondo. — Gli ho detto che avreste contribuito con circa quaranta. È un importo giusto per l’occasione, no?

Le parole suonavano come se la decisione fosse già stata presa, e qualsiasi obiezione apparisse ridicola. Giulia strinse più forte il telefono, sentendo crescere l’irritazione.

— Quaranta mila euro? — ripeté lentamente, quasi sussurrando.

— Sì, ho perfino ottenuto uno sconto! Ci sono anche le torte e il servizio, vedrai. La mamma sarà entusiasta. Comunque, non stressarti, ho già dato l’acconto. Marco ha detto che voi farete il resto.

Silvia interruppe la chiamata senza aspettare risposta.

Giulia restò seduta, fissando il telefono. Un nodo sembrava bloccato in gola, e una sola idea nella mente: «Ancora questo gioco a senso unico».

***

La sera in cucina, l’aria sembrava vibrare come una corda tesa. Marco aprì il frigorifero, prese una bottiglia di vino e, senza guardare Giulia, borbottò:

— Silvia ha detto che non vuoi dare soldi per il ristorante.

Giulia rimase immobile.

— Non voglio? Questo ha detto? — Si alzò dalla sedia, sforzandosi di tenersi sotto controllo. — Ho rifiutato? Non sapevo nulla, finché non mi ha chiamata e messo davanti al fatto compiuto.

Marco si girò, aggrottando le sopracciglia.

— Su, dai, non lo fa per sé. La mamma non festeggia tutti gli anni un compleanno così.

— E non ti sembra strano che abbia pensato di organizzare tutto a nostre spese? Quaranta, Marco! — Giulia si trattenne, non volendo gridare, — Quaranta mila euro! È normale?

Marco si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo.

— Ma è per la mamma. Che vuoi? Silvia è stata brava, ha organizzato tutto.

Giulia sbuffò.

— Brava, certo. Ma essere bravi con i soldi degli altri è facile. E sai, Marco, non capisco perché tu abbia accettato così semplicemente. Ne abbiamo parlato? No. Ha deciso lei, e tu hai annuito.

— Dai, smettila. — Marco fece un cenno con la mano e prese un bicchiere. — Lei cerca di fare del suo meglio.

— Per chi? Per noi? Per la mamma? O per sé? — Giulia alzò improvvisamente la voce, ma immediatamente abbassò il tono per non svegliare il figlio. — Marco, non ce la faccio più. Lei chiede una cosa, poi un’altra, e poi sparisce come se niente fosse.

Rimase in silenzio, osservando il bicchiere.

— Cosa posso fare? Lei è fatta così. Vuoi parlarci tu?

— Già fatto, — Giulia rispose asciutta. — E sai cosa mi ha detto? Che è nostro dovere.

— E che volevi? Lei si porta tutto il peso da sola. Forse la sua vita è più difficile della nostra.

— Si porta il peso?! — Giulia esplose. — Marco, lei si approfitta solo di tutti. E tu la assecondi!

La conversazione si arenò. Marco alzò le spalle, bofonchiò qualcosa di incomprensibile e si ritirò in camera, lasciando Giulia sola con i suoi pensieri.

***

La mattina successiva iniziò con una telefonata inaspettata. Giulia rispose controvoglia.

— Giulia, ciao! Sei impegnata? — Silvia suonava sorprendentemente allegra.

— Ti ascolto, — rispose secca Giulia, preparandosi a una nuova richiesta.

— Ascolta, ho bisogno di aiuto. Ho iniziato un piccolo progetto online con una vicina. Un negozio su internet, sai benissimo le opportunità al giorno d’oggi. Insomma, ho bisogno di pagare qualcosa, e al momento sono a zero. Ho pensato che mi potresti prestare la tua carta. È solo per un paio di giorni.

Giulia rimase immobilizzata per un istante, cercando di elaborare quanto sentito.

— Silvia, — la sua voce divenne ferma, — fai sul serio? La mia carta?

— Beh sì! Che c’è di male? Sai che sono una persona attenta. Calcolo tutto, restituisco tutto, non spenderò nulla di troppo.

— No. Non se ne discute.

Dall’altro lato della linea, cadde il silenzio.

— Non capisco, — la voce di Silvia era ora meno sicura. — È solo una carta. Perché rifiuti?

— Silvia, perché la mia tranquillità ha un prezzo. E anche la mia carta.

— Giulia, non ti fidi di me? — Silvia sembrava indignata, ma suonava più come una tattica consueta. — Siamo una famiglia.

Giulia si trattenne dal dire troppo.

— Silvia, chiudiamola qui. Ho i miei impegni.

Interruppe la chiamata, sentendo sollevamento e rabbia al contempo. Silvia stava oltrepassando ogni limite.

La sera, quando Marco tornò dal lavoro, Giulia sapeva già che il discorso sarebbe stato difficile.

— Marco, — iniziò con calma, — tua sorella ha chiamato di nuovo.

Tolse le scarpe, evitando di incrociare il suo sguardo.

— E allora?

— Ha chiesto la mia carta. Per uno dei suoi progetti.

Marco si fermò, guardandola con sorpresa.

— E cosa le hai risposto?

— Che no, ovviamente.

— E perché non potevi semplicemente aiutarla? — rispose bruscamente. — È Silvia.

Giulia sospirò lentamente, cercando di non esplodere.

— Marco, è una questione di famiglia non comprendere la differenza tra una richiesta e l’insolenza? Non può cavarsela da sola?

— Giulia, non ti ha chiesto milioni. Complichi sempre tutto.

Lo guardò incredula.

— Complico? Io complicherei? Davvero pensi che possa durare così per sempre?

Marco rimase in silenzio, poi borbottò:

— Aveva solo bisogno di aiuto, tutto qui.

— Sì, e poi sparisce, lasciandoci con le conseguenze.

Fece un cenno di diniego e se ne andò in camera.

Giulia rimase al tavolo della cucina, sentendo qualcosa spezzarsi dentro di sé. Non poteva più sopportare la situazione. Non solo Silvia interferiva nella loro vita: la stava distruggendo.

Durante tutta la serata Giulia pianificò come porre fine a tutto ciò. Formulò un piano calmo, razionale, e soprattutto definitivo.

***

La settimana successiva, furono invitati dai parenti di Marco. C’erano quasi tutti: nonne, zii, zie, cugini e cugine. Silvia, come sempre, era al centro dell’attenzione. Raccontava a gran voce di come si stesse “investendo nel futuro”. Giulia osservava questo spettacolo con un volto sereno, quasi impassibile.

Marco le sedeva accanto, chiaramente nervoso, come se prevedesse che stesse per accadere qualcosa di spiacevole.

— Ecco, — continuava Silvia rivolgendosi a tutti, — avviamo un progetto fantastico con la mia vicina. Facciamo tutto da soli, sai quanto sia difficile di questi tempi.

Giulia si schiarì la gola per attirare l’attenzione.

— Silvia, non ti sembra di star cercando di usare i soldi degli altri per il tuo progetto?

Tutti a tavola rimasero immobili. Silvia non capì subito che era indirizzato a lei.

— Cosa intendi? — la sua voce suonava tesa.

— Mi hai chiesto la carta per delle spese “temporanee”. E poi Marco ti ha già prestato soldi per riparare la macchina. A proposito, li hai già restituiti?

Silvia arrossì.

— Ma sono sciocchezze. Perché tirarle fuori qui?

Giulia non cedette.

— Non sono sciocchezze quando cerchi continuamente di vivere a spese degli altri.

— Non capisco perché tu sia così arrabbiata, — Silvia tentava di sorridere, ma sembrava insicura. — Siamo una famiglia.

— Famiglia? — Giulia alzò le sopracciglia. — Che famiglia è quella in cui prendi, non restituisci, e poi ti offendi se ti negano qualcosa.

Tutti a tavola tacquero. Marco tentò di intervenire, ma Giulia lo fermò.

— No, Marco. Basta coprirla. Abbiamo già speso per lei un mucchio di soldi e nervi. Ora che spieghi perché voleva la mia carta.

Silvia si alzò bruscamente, stringendo i pugni.

— Sei solo invidiosa, Giulia! Io cerco di fare del bene per tutti e tu stai solo a contare i centesimi.

— Invidiosa? — Giulia sorrise. — Di cosa? Di come inganni tutti? Non farmi ridere.

Silvia batté con la mano sul tavolo e uscì dalla stanza.

Marco si alzò e guardò Giulia con dolore negli occhi.

— Perché hai fatto così? È pur sempre mia sorella.

— E tu perché le permetti tutto? — Giulia rispose senza distogliere lo sguardo.

Non disse nulla, solo scosse la testa e la seguì fuori.

Giulia capì di aver ottenuto ciò che voleva: la verità era emersa. Ma non era una vittoria, sembrava più una sconfitta. Tutti gli altri evitavano il suo sguardo.

Quella sera Marco non tornò a casa. Le scrisse un breve messaggio: «Ho bisogno di tempo per pensare».

Giulia rimase seduta sul divano. Sapeva di aver fatto la cosa giusta, ma qualcosa dentro di lei si rifiutava di riconoscerlo come una vittoria.

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