Ho offerto pizza e caffè a un senza fissa dimora, e lui mi ha dato una lettera che ha cambiato tutto.

Mi chiamo Luca Rossi e vivo a Bellagio, dove il lago di Como riflette il cielo grigio della Lombardia. Non mi sono mai considerato un santo. Sì, magari lascio il posto a sedere sullautobus, aiuto una vecchietta con le borse della spesa, o dono qualche euro in beneficenzama è tutto qui. Ognuno di noi ha un limite che raramente supera, un confine oltre il quale la nostra gentilezza si ferma. Ma quella sera qualcosa in me si è rotto, e ho fatto un passo oltre.

Tornavo a casa dopo una giornata di lavoro estenuante. Il freddo mi penetrava nelle ossa, la neve bagnata mi gocciolava nelle scarpe, e in mente avevo un solo pensiero: raggiungere il caldo, prepararmi un caffè forte e avvolgermi in una coperta. Davanti a una piccola rosticceria allangolo, lho vistoun senzatetto. Era seduto su un pezzo di cartone, rannicchiato dal gelo, avvolto in un cappotto sporco e strappato. Davanti a lui giaceva un bicchiere di plastica vuotoun muto grido daiuto che nessuno ascoltava. La gente gli passava accanto in fretta, distogliendo lo sguardo come se non esistesse. Stavo per fare lo stesso, ma mi sono fermato. Perché? Forse per il suo sguardostanco, spento, ma con una rassegnazione profonda e disperata.

“Vuoi qualcosa da mangiare?” mi è uscito dalla bocca senza pensarci. Ha alzato lentamente la testa, fissandomi con diffidenza, come per accertarsi che non fosse una presa in giro, e ha annuito: “Sì se non è un disturbo.” Sono entrato nella rosticceria e ho ordinato una pizza margherita e un caffè bollente. Mentre aspettavo, lo guardavo attraverso il vetrouna figura solitaria nel crepuscolo che avanzava. Quando sono tornato da lui, gli ho teso il cibo. Le sue labbra hanno tremato in un debole sorriso: “Grazie,” ha sussurrato, prendendo la scatola con dita tremanti e violacee.

Stavo per andarmene, ma allimprovviso mi ha chiamato: “Aspetta!” Ha frugato in tasca e tirato fuori un pezzo di carta sgualcito, piegato in quattro. “Prendi,” ha detto porgendomelo. “Cosè?” ho chiesto sorpreso. “Leggilo dopo.” Ho infilato il biglietto in tasca e sono tornato a casa, quasi dimenticandomene. Me ne sono ricordato solo la sera, mentre mi cambiavo. Ho aperto il fogliettola scrittura era traballante ma chiara: “Se stai leggendo, significa che hai un cuore buono. Ricorda: questa bontà tornerà a te.” Ho riletto quelle parole più e più volte. Erano semplici, quasi banali, ma qualcosa in loro mi ha trafitto lanima come un uncino.

Il giorno dopo, passando di nuovo davanti alla rosticceria, ho cercato lui con lo sguardo. Ma il cartone era vuotoera sparito. Settimane sono passate, il ricordo si è sfumato nella monotonia dei giorni. Poi, un giorno, qualcuno ha suonato alla mia porta. Sulla soglia cera un uomo con vestiti puliti, capelli corti e occhi che mi sembravano familiari. “Non mi riconosci?” ha chiesto con un sorriso. Ho cercato nella memoria, confuso, ma lui ha aggiunto: “Ci siamo visti alla rosticceria mi hai comprato una pizza quella sera.” E allora ho capitoera lui, il senzatetto, ma trasformato, pieno di vita.

“Ho trovato lavoro,” ha detto raggiante. “Ho preso una stanza. E poi ho chiesto aiuto a un vecchio amico, e mi ha tirato fuori da quellabisso.” Lo guardavo senza parole: “È incredibile.” Ha annuito: “Sono venuto a ringraziarti. Quella sera ero alla fine. Volevo arrendermi, lasciarmi morire lì, su quel cartone Ma il tuo gesto mi ha dato una scintilla. Ho capito che potevo ancora lottare.” La sua voce tremava, e dentro di me si è diffuso un calore strano, nuovo. “Grazie,” ha ripetuto, stringendomi la mano. La porta si è chiusa, e io sono rimasto immobile, a fissare il vuoto, realizzando che un piccolo gesto può essere la salvezza di qualcuno.

Oggi ripenso spesso a quella notte. Alla neve bagnata, ai suoi occhi, a quel biglietto che tengo ancora nel cassetto. Non sono un eroe, né un santosolo una persona che non ha girato la testa dallaltra parte. Ma le sue parole si sono avverate. La bontà è tornata a menon con soldi o fama, ma con la certezza di non vivere invano. Lui, quelluomo senza nome, mi ha dato più di quanto io abbia dato a luifiducia nelle persone, in me stesso. Non so dove sia ora, ma spero che stia bene. E quella pizza e quel caffè sono diventati un simboloun promemoria che anche in una notte gelida puoi accendere una luce per qualcuno. E forse, un giorno, quella luce illuminerà anche la tua strada.

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Ho offerto pizza e caffè a un senza fissa dimora, e lui mi ha dato una lettera che ha cambiato tutto.