Ho perso la voglia di aiutare mia suocera quando ho scoperto quello che aveva fatto. Ma non riesco comunque ad abbandonarla.

Ho perso il desiderio di aiutare mia suocera quando ho scoperto ciò che aveva fatto. Eppure, non riesco a lasciarla sola.

Avevo due figli. Ogni figlio aveva un padre diverso. La mia primogenita era una figlia. Giulia oggi avrebbe sedici anni. Suo padre, Andrea, le pagava regolarmente il mantenimento e rimaneva presente nella sua vita. Anche se Andrea aveva ormai una nuova moglie e due bambini con lei, mai si dimenticava di Giulia.

Al contrario, mio figlio Francesco non era stato così fortunato. Solo due anni fa, il mio secondo marito si ammalò improvvisamente e, dopo tre giorni passati in ospedale, ci lasciò. È passato del tempo, ma ancora oggi faccio fatica a credere che non ci sia più. Ancora mi sorprendo a guardare la porta, aspettandomi che possa entrare, sorridere e augurarmi una buona giornata. Poi mi scivolano le lacrime e piango per ore intere.

Durante tutto quel periodo buio, Maria, la madre del mio defunto marito, mi è stata accanto con grande sostegno. Anche per lei fu una grande sofferenza: il mio uomo era il suo unico figlio. Ci aggrappavamo luna allaltra per non crollare, cercando conforto insieme, raccontandoci storie e memorie di chi non cera più. Telefonavamo spesso, ci facevamo visita a vicenda e parlavamo di lui.

Per un periodo pensammo persino di andare a vivere insieme, ma poi lei cambiò idea. Sono così passati sette lunghi anni. Io e Maria abbiamo avuto sempre un rapporto splendido, quasi come quello di due amiche.

Ricordo che quando scoprii di aspettare un bambino, Maria accennò, per qualche strana ragione, al test di paternità. Aveva visto, raccontò, un programma alla televisione su un uomo che aveva accudito per anni un figlio non suo, scoprendo la verità solo in seguito. Le risposi subito che quelle eran stupidaggini.

Se un uomo dubita dessere il padre, allora non farà mai realmente il padre, lo sarà solo alla domenica! le dissi.

Lei rispose, dicendomi che si fidava di me e che credeva fosse davvero il figlio del suo ragazzo. Ero convinta che, appena fosse nato il bimbo, Maria mi avrebbe chiesto di fare il test. Invece non ne parlò mai più.

Questestate, Maria si ammalò gravemente. La sua salute si aggravò in poco tempo, così decidemmo che sarebbe stato meglio trasferirla vicino a casa mia. Insieme ad unagenzia immobiliare, cercavamo un appartamento per lei.

Ma poi Maria fu ricoverata in ospedale e avevamo bisogno dellatto di morte di suo marito per alcune pratiche. Lei non poteva muoversi, così andai io nel suo vecchio appartamento a cercare il documento. Mentre frugavo nella cartella tra le sue carte, trovai un altro documento, curioso e inaspettato. Era un test di paternità. E lessi che quando Francesco aveva soltanto due mesi, Maria aveva fatto fare il test che confermava chi fosse il padre.

Sentii la rabbia montare dentro di me. Scoprii così che Maria, nonostante tutto, non si era mai fidata davvero di me! Non potei trattenermi e le raccontai ciò che avevo visto. Ora lei continua a chiedermi scusa: dice che fu una follia, che si pente amaramente di quella decisione sciocca. Ma io non riesco a placarmi. Mi sento tradita: lei ha taciuto per tutti questi anni!

Sento di non voler più aiutare Maria. Daltra parte, so che non ha nessuno al mondo che possa sostenerla.

Non voglio privare mio figlio della nonna, quindi continuerò a starle vicino. Ma il calore e la fiducia che cerano tra noi, quelle purtroppo, non torneranno mai più…

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