«— Ho preparato delle frittelle, — disse la suocera… Alle sette del mattino, di domenica»

— Vi ho fatto le crespelle — disse la suocera… Alle sette di mattina, di domenica.

Quando ho sposato Alessandro, le mie amiche mi sussurravano invidiose: «Sei fortunata! Hai la suocera perfetta». E in effetti, all’inizio, Rosanna Lombardi sembrava una donna delicata, ragionevole e, soprattutto, gentile. Non dava consigli non richiesti, non faceva la maestrina e perfino al nostro matrimonio ha fatto un brindisi dicendo che «non avrebbe mai ostacolato la nostra felicità».

Sono passati cinque anni. E quella donna dolce non la riconosco più. Perché ora ogni domenica è lì, sulla soglia di casa alle sette del mattino, con un vassoio di crespelle fumanti, un barattolo di marmellata e una voce che sembra tarata al volume massimo: «Tesori, svegliatevi! Vi ho portato la colazione!»

Tutto era cominciato in modo innocente. Dopo il matrimonio, io e Ale abbiamo vissuto a casa di sua madre a Verona, nel suo bilocale. Io cercavo di essere educata, non contraddirla, aiutare in casa. All’inizio filava tutto liscio: niente litigi, niente scenate. La suocera non trovava da ridire, se non qualche rimprovero sul modo in cui spolveravo o sulla temperatura con cui lavavo gli asciugamani. Ma erano sciocchezze, no?

Due anni dopo, finalmente abbiamo messo da parte abbastanza per l’anticipo e comprato un appartamento nuovo dall’altra parte della città. Ho tirato un sospiro di sollievo: finalmente un po’ di privacy. Rosanna veniva solo il weekend, avvisando prima. Ci faceva persino piacere vederla: portava torte salate, aiutava con le piccole cose, a volte badava al nostro gatto, Gattino, quando partivamo.

Ma non è durato. A un certo punto, Rosanna ha accennato che voleva trasferirsi più vicina: «Non si sa mai, quando arrivano i nipoti… bisogna dare una mano!» Io e Ale ci siamo guardati, ma non abbiamo detto nulla. Ha insistito perché la aiutassimo a vendere il vecchio appartamento e a comprarne uno nuovo… nel nostro stesso palazzo. All’ho pensato: vabbè, manterremo le distanze.

Peccato che le distanze siano svanite in fretta. Appena si è trasferita, tutto è andato a rotoli. Rosanna ha ottenuto da Ale un mazzo di chiavi di scorta — «per sicurezza» — e ha iniziato a presentarsi senza avvisare. Tornavo dal lavoro e in cucina c’era già la minestra pronta: «Ho pensato di coccolarvi un po’!» E poi stirava i miei vestiti, lavava la mia biancheria intima, riordinava gli armadi — «volevo solo sistemare un po’». Una volta l’ho trovata in camera nostra a cambiare le lenzuola. Senza chiedere. Senza bussare.

Ho provato a spiegare ad Ale che era un’invasione. Che per me era pesante. Che mi sentivo un’ospite in casa mia. Ma lui scrollava solo le spalle: «Lo fa a fin di bene, no? Vedi quanto si impegna».

E a me viene da gridare: non ho chiesto né crespelle, né marmellata, né camicie stirate! Voglio svegliarmi la domenica quando mi pare. Voglio girare per casa in pigiama, non infilarmi la vestaglia di corsa perché «è arrivata la mamma». Voglio vivere da donna adulta nella mia casa, non come una ragazzina ancora sotto tutela.

Ma se glielo dico chiaramente, si offenderà. Si offenderà tanto da piangere. E dirà che sono ingrata, che ha dato tutto se stessa e io la caccio via.

Come si fa a spiegare che prendersi cura non significa controllare? Che aiutare non vuol dire imporsi? Che l’amore non si misura in piatti di crespelle?

Non lo so. Ma sono stanca. E con ogni domenica mattina, con ogni suono anticipato del campanello, dentro di me cresce la disperazione. Dov’è finita la pace di una casa tutta per sé? È davvero un sogno così impossibile?

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