Ho preso in braccio Michele e siamo scesi insieme per le scale bagnate

Oggi ho riletto quelle pagine del mio diario, quelle che profumano ancora di pioggia e ricordi amari. Era una sera di novembre quando sono uscita con Michele tra le braccia, scendendo le scale bagnate del palazzo. Le gocce dacqua entravano dalla porta semiaperta, inumidendomi i capelli. Le strade di Milano erano deserte, nemmeno i cani osavano avventurarsi con quel tempo. Sentivo il freddo penetrare nelle ossa, ma non avevo un posto dove andare.

Ho vagato per ore con mio figlio stretto a me, fino a quando la signora Giovanna, una vicina anziana, mi ha visto tremare e mi ha offerto riparo nel suo piccolo ma accogliente appartamento. Mi ha asciugato i capelli, preparato una tazza di tè caldo e sistemato un lettino improvvisato per Michele. Quella notte ho pianto in silenzio, fissando il soffitto, sapendo che qualcosa doveva cambiare.

I giorni seguenti furono duri. Cercavo lavoro, ma nessuno voleva assumere una madre sola con un bambino. I soldi per la spesa finivano, e lumiliazione negli sguardi di chi mi conosceva faceva più male della fame stessa. Riccardo ed Elisa si comportavano come se non esistessi, e io mi sentivo cancellata dalla loro vita come un segno di matita svanito.

Poi, una settimana dopo, arrivò una lettera ufficiale. Allinizio temevo fosse una notifica delle autorità, forse un debito dimenticato. Lho aperta con mani tremanti, ma quelle parole mi cambiarono la vita: *”Gentile signora Clara Bianchi, la informiamo che è lunica erede del patrimonio della defunta signora Adele Marini, sua zia lontana…”*

Lho riletta tre volte. Non potevo crederci. Adele, che avevo incontrato solo una volta da bambina, mi aveva lasciato tutto: una villa imponente alla periferia di Firenze, conti bancari consistenti e, soprattutto, azioni in una rispettabile azienda commerciale.

Andai subito dal notaio e, passo dopo passo, entrai in possesso delleredità. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentii che il sole splendeva anche per me. Comprai vestiti nuovi, diedi a Michele tutto ciò che non aveva mai avuto: giocattoli, abiti caldi, cibo buono. Ma soprattutto, gli diedi sicurezza.

Gli anni passarono. Imparai a gestire gli affari di mia zia e, con sorpresa di tutti, mi rivelai brava. Investii con intelligenza, circondandomi di persone fidate. Lentamente, il mio nome divenne noto nel mondo degli affari. Una donna forte, elegante, misteriosa. Nessuno ricordava più i giorni in cui ero stata cacciata sotto la pioggia.

Riccardo ed Elisa, invece, non erano più al vertice. La loro azienda vacillava: errori di gestione, decisioni affrettate, partner persi… tutto accumulato come una valanga. Cercarono investitori, ma le porte si chiudevano davanti a loro.

Una mattina, il mio avvocato mi chiamò:
*”Signora Clara, lazienda degli Esposito è in vendita. Hanno debiti ingenti. Se vuole, può partecipare allasta.”*

Il cuore mi sussultò. Era il momento. Il destino mi stava offrendo loccasione che avevo sognato quella notte di pioggia, quando mi avevano cacciato con mio figlio in braccio.

Andai allasta vestita con un tailleur elegante, i capelli raccolti in uno chignon impeccabile. Nessuno mi riconobbe. Ero unaltra donna, non più quella disperata e umiliata.

Quando annunciarono il nome del vincitore, i volti di Riccardo ed Elisa impallidirono. Io, Clara Bianchi, ero la nuova proprietaria della loro azienda. Non li guardai nemmeno. Firmai i documenti con un sorriso sereno.

Quella sera, Riccardo venne nel mio ufficio. Tremava, invecchiato, le spalle curve dalla disperazione.
*”Clara… ti prego… non lasciarci per strada. Senza questa azienda siamo finiti.”*

Lo fissai. Era lo stesso uomo che mi aveva cacciato, che mi aveva detto che io e nostro figlio eravamo un peso. Adesso mendicava pietà.
*”Riccardo,”* risposi fredda, *”la vita è strana, vero? Allora ti dissi che avresti rimpianto. E quel giorno è arrivato.”*

Anche Elisa provò a supplicarmi, le lacrime le rigavano il viso. Ma io vedevo solo la donna che mi aveva spinto fuori sotto la pioggia, con un bambino spaventato tra le braccia.
*”Clara, abbiamo sbagliato. Eravamo accecati dallorgoglio. Abbi pietà!”*

Sorrisi amaramente.
*”Pietà? Ne avete avuta voi, quando mi avete cacciata? Quando Michele vi supplicava di non lasciarlo andare? Allora non vi importava.”*

Li lasciai andare a testa bassa. Lazienda era mia, loro non avevano più nulla.

Oggi Michele è diventato un ragazzo forte e intelligente. A volte gli racconto di quella notte di pioggia. Gli dico che non deve mai perdere la dignità, anche quando il mondo gli volta le spalle.

E ogni volta che vedo Riccardo per strada, con abiti logori e occhi spenti, provo una strana pace. Non per vendetta, ma per giustizia.

Perché quella notte di pioggia, anni fa, avevo giurato che un giorno avrebbero rimpianto. E così è stato.

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