Ho preso il duplicato delle chiavi alla suocera dopo averla trovata addormentata sul mio letto.
Mamma è solo stanca, Ginevra! Non fai una montagna dal niente. Si è sdraiata a riposare, che c’è di così criminale? Non è una sconosciuta, è mia madre! la voce di Lorenzo tremava in falsetto, mentre gironzolava nervoso in cucina, afferrando il dorso della sedia come se cercasse sostegno.
Ginevra stava alla finestra, le braccia incrociate sul petto, tremando appena in grado di nascondere. Davanti agli occhi le rimbalzzava ancora la scena di unora fa: era tornata dal lavoro prima per via di unemicrania feroce, apriva la porta della camera da letto e trovava Teresa Bianchi, la suocera, distesa sul loro letto matrimoniale, sopra la coperta ma solo in biancheria intima, che russava dolcemente stringendo il cuscino di Ginevra. Sul comodino cera una tazza di tè a metà e dei biscotti morzati sparsi sul lussuoso lenzuolo di seta.
Lorenzo, mi senti? sussurrò Ginevra, la voce di ferro. È stata nella mia camera. In pigiama. Ha mangiato i biscotti. E noi non lavevamo invitata! È entrata con la sua chiave e si è messa a fare la siesta sul nostro letto. Ti sembra normale?
Deve aver avuto la pressione alle stelle! tentava di difendersi il marito, ma nei suoi occhi già cera confusione. È tornata dal mercato con le borse pesanti, ha chiesto acqua, si è sentita male. Dove poteva andare? Sul tappeto dingresso?
Abbiamo il soggiorno, con quel divano comodo. Perché non ci è andata? Perché ha scelto la nostra camera, il nostro spazio privato, dove nemmeno il gatto può entrare? E perché si è spogliata? Quando qualcuno sta male chiama lambulanza, non organizza uno striptease sul nostro letto.
In quel momento lo sportello del bagno si spalancò e comparve Teresa, già vestita, pettinata, con il suo accappatoio (quello di Ginevra) avvolto al braccio.
Ho sentito tutto! dichiarò con tono solenne, prendendo posto al suo posto al tavolo. E devo dirvi che è amaro. Io vi voglio bene, vi penso, e voi mi trattate con ingratitudine.
Ginevra si girò lentamente verso la suocera, la testa ancora pulsante, ma la rabbia era più forte di qualsiasi analgesico.
Signora Bianchi, mi spiega cosa intende per cura? Entrare in casa nostra senza chiedere? O dormire nel nostro letto?
Teresa strinse i denti, guardando il figlio in cerca di sostegno.
Lorenzo, guarda come mi dipingi. Io passavo, volevo solo portare dei fiori, perché a Ginevra il geranio secca sempre. Sono entrata, mi è venuta la testa leggera, mi sono sentita un po svenuta. Ho cercato fresco, laria condizionata, e mi sono sdraiata un attimo. Ho tolto il vestito perché faceva caldo.
E i biscotti? chiese Ginevra. Ti aiutano a tenere la pressione?
Li ho trovati nellarmadio! Il zucchero è caduto, dovevo raccoglierlo! Non mi biasimare, sono la mamma del tuo marito, ho il diritto di fare una tazza di tè a casa sua.
A casa sua, ribatté Ginevra. Dimentichi che questo è il nostro appartamento. Paghiamo insieme il mutuo, noi decidiamo le regole.
Ginevra si avvicinò al tavolo e porse la mano, palmo in su.
Le chiavi.
Il silenzio vibrò nella cucina. Lorenzo smise di girare per la stanza e si fermò davanti al frigo. Teresa arrossì, il volto si tingeva di rosso.
Cosa? chiese, come non avesse sentito.
Restituitemi il duplicato delle chiavi del nostro appartamento. Subito.
Ma sei impazzita! strillò Teresa. Lorenzo! Non vuoi che ti tratti così? Sono tua madre! E se scoppia un incendio? Se cè unalluvione? Le chiavi devono restare a me, è legge di sicurezza!
Ce la faremo da soli, tagliò Ginevra. Hai violato la nostra privacy. Hai usato le chiavi per fare la tua vita qui, non per emergenze. Non ti credo più. Le chiavi sul tavolo.
Non le darò! afferrò la borsa sullo sgabello. Questo è mio figlio, casa sua, e tornerò quando voglio! Non mi impedirai! Lorenzo, difendimi!
Lorenzo si arrossò di vergogna, guardando alternatamente la moglie furiosa e la madre che cercava il coricante nella borsa.
Ginevra, forse non è il caso di esagerare, balbettò. Mamma ha capito, non lo farà più. È solo un errore. Non è comodo tenere le chiavi, se le perdiamo
Se non mi sostieni, Lorenzo, domani cambio le serrature. Dopodomani chiedo il divorzio. Non mi sono sposata per dormire in corridoio. Decidi se vuoi essere il capo di casa o il figlio di mamma, ma senza di me.
Teresa rimase immobile, una pillola in mano, aspettando che il figlio prenda le parti. Ma Lorenzo ricordò la settimana scorsa, quando la mamma aveva messo ordine nei suoi documenti e buttato una bolletta importante, quando aveva spostato i mobili in salotto per feng shui, e come Ginevra aveva pianto di impotenza.
Mamma, ti prego, restituisci le chiavi.
Cosa?! balbettò Teresa, quasi senza fiato. Mi scacci? La mia stessa figlia?
Hai esagerato. Dormire nel nostro letto è troppo. Ginevra ha ragione. Restituisci le chiavi, per favore, non farci fare un dramma.
Teresa fissò Lorenzo con occhi indagatori, poi, con mani tremanti, estrasse dal sacco il mazzo di chiavi con ladorabile ciondolo a forma di coniglio (regalo di Lorenzo) e lo scaraventò sul tavolo. Il ciondolo tintinnò.
Via! starnutì, sbattendo la porta. Niente più i miei piedi qui! Quando morirò, non venite a piangere sul mio sepolcro!
Uscì dalla cucina, sbattendo la porta così forte da far cadere il intonaco dal muro. Ginevra si lasciò cadere su una sedia, la testa che girava, lemicrania tornata a picco.
Sei soddisfatta? mormorò Lorenzo, senza guardarla. Ora la pressione le salirà, dovrà chiamare lambulanza. Sarò io a sentirmi colpevole.
Non sarai colpevole, sarai sereno, rispose Ginevra, nascondendo le chiavi in tasca. E io sarò tranquilla. Grazie, Lorenzo. So quanto ti sia costato.
Difficile non è la parola. Ora non mi parlerà per sei mesi, mi chiamerà per maledire.
Ce la faremo, disse Ginevra, avvolgendo Lorenzo da dietro. Almeno abbiamo la nostra casa, solo nostra.
Ma Ginevra sapeva che la suocera non si arrenderebbe così facilmente. Le chiavi restituite potevano non essere le uniche.
Il giorno dopo, prendendo un permesso di mezza giornata, chiamò un fabbro e fece cambiare la serratura. Lorenzo non ne sapeva nulla, voleva risparmiargli lo stress e gli avrebbe detto dopo. La serratura si è rotta, ho dovuto cambiarla, fu la scusa.
Tre giorni più tardi, sabato, mentre i due riposavano a letto, sentirono strani rumori intorno alle 10. Qualcuno tentava di inserire una chiave nella porta dingresso. Il metallo strisciava, poi un brusio, poi di nuovo silenzio.
Ginevra e Lorenzo si scambiarono uno sguardo.
Aspetti qualcuno? chiese Lorenzo a bassa voce.
No. E tu?
No.
Si alzarono in punta di piedi, avvicinandosi alla porta. Una mano aveva chiuso il buco con il dito.
Ma che diavolo! si udì dalla porta la voce familiare di Teresa. È bloccato? Ho preso la chiave rossa?
Ginevra sorrise trionfante, Lorenzo impallidì.
Ha fatto una copia, sussurrò Ginevra. Sapeva che avremmo chiesto le chiavi e si è preparata.
Il telefono squillò.
Pronto, Luisa? fu la voce di Teresa, più alta del solito. Sono davanti casa vostra, volevo fare una sorpresa, pancake, il caffè ma la chiave non gira! Sembra che abbiate cambiato le serrature!
Lorenzo coprì il viso, rosso dalla vergogna.
Allora apriamo? chiese Ginevra.
Dobbiamo, altrimenti farà un casino in tutto il palazzo.
Lorenzo girò la maniglia e aprì. Teresa, con una padella di pancake sotto il braccio, una coperta, il cellulare e le chiavi, si precipitò dentro quasi perdendo lequilibrio.
Oh, sveglia! esclamò, senza alcun imbarazzo. Ho fatto i pancake, i tuoi preferiti!
Cambiate le serrature, mamma, rispose Lorenzo, freddo come il ghiaccio. Apposta, così non ci saranno più sorprese.
Che sorprese? fece finta la suocera, con occhi da innocente. I miei pancake con ricotta, i tuoi preferiti.
Mamma, tre giorni fa ti sei scagliata contro di noi, hai buttato le chiavi e hai detto che non avresti più messo piede qui. Oggi provi a intrufolarti con una copia. Capisci che è offensivo?
Non è una copia! È il vecchio mazzo che avevo dimenticato nel cappotto invernale! Volevo solo una colazione a letto!
Unanziana vicina, la zia Valeria, usciva dal pianerottolo con il sacco della spazzatura, e rimase a fissare la scena.
Teresa! Che casino di prima mattina! Pensavo fossero ladri!
Ladri? ribatté la suocera. Hanno rubato il mio figlio, hanno cambiato le serrature, non mi lasciano entrare!
Ah, cara, ti ho sentita per dieci minuti, pensavo fossero ladri. Ma sei tu in visita senza avvisare? Con la tua chiave?
E allora? rispose Teresa. È mio figlio!
Io non mi intrometto nella vita dei miei nipoti. Loro hanno la loro privacy. Se ti sforzi così, non ti piacerà.
Teresa arrossì, la vergogna dipinta sul volto. Ora tutti nel palazzo avrebbero saputo del suo tentativo di scassinare.
Basta, basta! sbottò, alzandosi. Questo posto è un manicomio!
Premette il pulsante dellascensore e se ne andò, con la borsa in spalla.
Lorenzo prese la teglia di pancake dal tavolo.
Mamma, portali via. Non ci servono.
Lanciali! gridò, salendo sullascensore. O dagli cani!
Le porte si chiusero.
Tornarono in casa, chiusero la porta sulla nuova serratura, quella con due soli mazzi di chiavi.
I pancake puzzano di buono, commentò Lorenzo, posandoli sul piano.
Non li mangeremo, replicò Ginevra. Magari aveva qualcosa di malevolo dentro.
Lorenzo scoppiò a ridere, prima timido, poi a crepapelle, finalmente rilassato.
Hai ragione. Lasciamo stare. Preparo delle uova strapazzate, da soli, nella nostra cucina, senza pubblico.
Va bene, sorrise Ginevra, sentendo la pressione dellemicrania svanire.
Fecero colazione insieme, pianificando il weekend. Teresa non le chiamò per due settimane. Lorenzo, tentato, voleva telefonare, ma Ginevra lo fermò:
Dagliela tempo. Se chiama ora, pensa di aver vinto, e ricomincia tutto. Deve capire che le regole sono cambiate per sempre.
Un mese dopo, Teresa ricomparve al lavoro, chiedendo di portare il gatto dal veterinario. Lorenzo laiutò, tornò a casa sereno.
Come va? chiese Ginevra.
Tutto bene. Allinizio era silenziosa, poi ha detto di portare il tuo ricordo di cetrioli sottaceto che avevo promesso anni fa.
Segnale di pace? rise Ginevra.
Sì, e ha chiesto il tipo di tè che bevevi in camera.
Ginevra annuì.
Gli compro il tè, prendo i cetrioli. Ma le chiavi, Lorenzo, non gliele daremo più. Mai più.
Mai più, confermò Lorenzo. Il comfort mio e di Ginevra è più importante dei capricci di una madre. E se vogliamo fiori, li compriamo noi.
Da allora nella loro casa regnava la quiete. Teresa continuava a dare consigli non richiesti, ma solo al telefono o in visita concordata. Capì che la porta della vita di suo figlio si apriva solo da dentro, e per entrarci bisognava bussare educatamente, non forzare con la chiave di cura materna.
Ginevra poté finalmente rilassarsi nel suo appartamento. Cambiò la biancheria, comprò un nuovo accappatoio, e sapeva che al suo ritorno lattendeva silenzio, ordine e il suo piccolo paradiso personale. Perché i confini non sono muri, ma porte che permettono di amarsi a distanza di sicurezza.





