HO PRESO IN PRESTITO UN VESTITO DA SPOSA… E HO TROVATO UNA LETTERA NEL FODERO

15 aprile Ho preso in prestito un abito da sposa e ho trovato una lettera nella fodera
Il giorno in cui ho indossato quellabito da sposa, ho sentito un peso strano, non paura, non bellezza, solo una sensazione di gravità. Ho cercato di sminuirla, pensando che lavessi preso in affitto da una boutique vintage in centro a Firenze. La proprietaria mi aveva detto che labito era stato usato una sola volta, ventanni fa, pulito, conservato, intatto. Non mi importava più di quello; ero felice di potermi permettere qualcosa che non sembrava a buonamente economico. Lho portato a casa, lho appeso con cura e, ogni sera prima del matrimonio, lo fissavo con occhi sognanti: il corridoio, la musica, lui. Io ero innamorata, profonda, stolta, giovane.

La notte prima del grande giorno, mentre stiravo labito e controllavo le pieghe, ho sentito un fermo. Nella fodera, vicino allorlo, cera una cucitura insolita, un rigonfiamento piatto. Curiosa, ho preso un ago, lho aperto delicatamente e ho trovato una nota ingiallita, la scrittura sbiadita ma ancora leggibile:

«Se leggi queste righe, per favore non sposarlo. Ti prego, è pericoloso. Sono scappata per colpa dei palloni. M.»

Il cuore mi è balzato in gola. Ho girato la nota e ho trovato unaltra frase:

«SE TI HA DATO QUESTO ABITO È PERCHÉ LO HA FATTO GIA PRIMA.»

Ma lho comprato in una boutique, vero? O lha suggerito lui? Non riuscivo più a pensare chiaramente. Ho cercato il sito web della boutique, ma non cera. Ho controllato lindirizzo su Google Maps: inesistente. Ho guidato fin lì, nonostante la notte fosse avanzata e il matrimonio fosse domani. Il negozio era chiuso, le vetrine vuote, la polvere ovunque. Non cera traccia dellanziana proprietaria, né segno che fosse mai stato aperto.

Ho bussato alla porta del vicino. Un giovane dagli occhi assonnati mi ha risposto:

«Boutique? Sì, una sartoria vintage per spose, gestita da una signora»

«Quella signora chiude da quasi ventanni», ha sconvolto.

«Ma ho comprato labito proprio qui pochi giorni fa», ho insistito.

Mi ha guardato dallalto in basso, poi ha sussurrato:

«Sei la terza donna che me lo chiede in cinque anni».

Il sangue mi è gelato.

«Che è successo alle altre?»

«Una ha annullato il matrimonio e sparì», ha detto.

«Laltra è andata avanti», ha aggiunto.

«Lultima è scomparsa durante la luna di miele».

Tornai allauto, rimasi in silenzio per venti minuti, poi chiamai il mio fidanzato, Daniele. Non menzionai la nota, né il negozio, né il vicino. Gli chiesi solo:

«Dove dicevi di essere stato prima di incontrarmi?»

Ci fu una pausa, poi la sua risposta:

«Perché me lo chiedi ora?».

Allora capii che quella nota non era un caso, né lo era labito. Il domani poteva diventare lultimo giorno della mia vita.

16 aprile Il risveglio in silenzio
Mi sono svegliata in un silenzio opprimente, non di pace, ma di una strana stretta al petto. I capelli arruffati, il cuore che batteva veloce per un sogno che non ricordavo, solo il freddo e lodore di muffa. La nota era ancora sul comodino, schiacciata, stropicciata:

«SE TI HA DATO QUESTO»

La stringevo come se fosse vetro. Non volevo credere che Daniele potesse nascondere segreti talmente profondi da contaminare la seta. Ma non potevo più ignorarla. Labito era tornato nella sua scatola di avorio, vintage, ricamato a mano, ancora profumato di lavanda. Sembrava un profumo antico, forse sangue vecchio. Ho dovuto trovare risposte, ma non potevo chiedere a Daniele senza prove.

Guidai in pigiama, i capelli raccolti, senza trucco, solo con la paura. Il negozio era a dieci minuti dallalbergo, un piccolo locale incastonato tra un parrucchiere e una libreria di seconda mano, chiamato Nuove Opportunità. Non ricordavo il nome del ricevuta. Spinsi la porta, ma non cera campanello, né campanello. Solo una stanza vuota con piastrelle polverose e uno specchio rotto appoggiato al muro di fondo. Vacante, abbandonata, come se fosse rimasta così per anni.

Uscendo, un uomo che spazzava il marci pensò:

«Cerca qualcosa?»

«Il negozio di abiti, era qui due giorni fa».

«Chiusa dal 2019», rispose.

Il mio respiro si fece corto. Tornai allauto, le mani tremanti. Se il negozio non esisteva, dove avevo trovato labito? Chi aveva messo quella nota dentro?

Tornai da mia zia, Francesca, una donna tranquilla che ha visto troppo nella vita per stupirsi. Quando entrai con la scatola, mi guardò e mise subito il tè. Mostrai la nota, raccontai tutto. Si rattristò:

«Mi ricorda una ragazza che ho conosciuto, Morena, che usò un vestito di seconda mano il giorno del suo matrimonio, da una bottega che in realtà non era una bottega».

«E cosa le è successo?», chiesi.

«Si è sposata con luomo sbagliato, e il vestito cercò di avvertirla».

«Stai dicendo che il vestito è maledetto?», dissi.

Non rispose, ma mi ordinò di bruciare la nota, di gettare via il vestito. Non lo feci. Quella notte, al ritorno, la scatola era già aperta e sopra il vestito cera unaltra piccola nota:

«Ti restano sette giorni».

Il cuore mi si fermò. Non ero ancora sposata.

17 aprile Sette giorni
Mi guardai la nota, cinque parole: «Ti restano sette giorni». Era posata sul vestito che avevo preso in affitto da quella piccola bottega nascosta tra due vecchi palazzi, una bottega che ora sembrava non esserci mai esistita. Le mie dita tremavano mentre la raccoglievo. Unaltra lettera, più ordinata, più ferma, ma altrettanto pesante:

«Sette giorni per cosa?»

Daniele non credeva alle maledizioni, ma la paura ha il potere di far credere anche i più razionali. Chiamai il numero sul ricevuto di noleggio, nessuna risposta.

Il giorno dopo cercai su internet Second Chances boutique Italia, ma non trovai nulla: né attività, né pagine Facebook, né una recensione su TripAdvisor. Era come se il luogo fosse svanito dalla terra.

Allora Phola, la mia migliore amica, mi telefonò:

«Sembri aver visto un fantasma», disse.

Le raccontai tutto: la prima nota, la seconda, il negozio vuoto, il vicino.

«Forse sei solo sopraffatta dallo stress del matrimonio», mi consigliò.

Anche se non spiegava le note, non spiegava il negozio chiuso.

Quella sera posai labito sul letto, accarezzai le cuciture, poi aprii la fodera. Trovai un piccolo rigonfiamento vicino allorlo. Con un paio di forbicine sottili feci un piccolo taglio. Dentro, avvolto in plastica, cera un vecchio fotogramma. Era sbiadito, gli angoli strappati, ma riconobbi il sorriso della donna che mi aveva dato labito, più giovane, accanto a unaltra donna con lo stesso vestito. Sul retro cera scritto: «Anche lei lo usò. 1997».

Il nome mi era sconosciuto. Cercai limmagine sul web, senza risultato. Il volto della seconda donna mi sembrava familiare, ma non riuscivo a collocarlo. Poi ricordai un archivio obitorio: una donna morta nel 1997, causa incidente inspiegabile.

Mi alzai dal letto con il cuore che batteva freneticamente. Dove erano quelle donne ora?

18 aprile La seconda nota
Non dormii. La seconda nota ardeva nella mia mano, quasi calda: «Ti restano sette giorni». Era uno scherzo? Un avvertimento? O una macchinazione di marketing di una boutique fallita? Qualunque fosse, aveva funzionato. Il mio pensiero girava come una giostra rotta.

Al mattino, Daniele mi chiamò due volte, ma non risposi. Avevo bisogno di spazio, di risposte, e forse di coraggio. Tornai al luogo dove avevo trovato il negozio, controllai ogni angolo, ogni vicolo, ogni retrobottega. Nuove Opportunità non compariva online, non aveva sito, né social, né ricevuta nel mio sacchetto. Era come se avessi immagin. Ma labito era reale, così come le note.

Ricordai il nome che mia zia aveva menzionato: Morena. Non era comune. Cercai Morena matrimonio vintage e Lago di Como su Google. Allinizio nulla, poi apparve un vecchio forum con un post:

«Sposa con vestito vintage Scomparsa 48 ore dopo il matrimonio».

Il thread mostrava una foto di Morena, sorridente, al fianco di un uomo che mi sembrava familiare, ma non riuscivo a identificarlo. I commenti parlavano di rapimento, fuga volontaria, una bottega senza nome ufficiale. Un utente scrisse: «Bastava sapere dove era, la signora era più anziana, discreta, diceva che ogni vestito trova il suo proprietario».

Più leggevo, più il caso somigliava a unincognita.

Scrissi a Daniele:

«Dobbiamo parlare, ma non del matrimonio».

Rispose subito:

«Stai bene? Dove sei?».

Ignorai il secondo messaggio e andai da Zainab, la mia amica.

«Hai, hai trovato unaltra nota, vero?», disse, aprendosi.

Le mostrò la scatola, le note, il negozio vuoto. Zainab propose di consultare un esperto di tessuti, sperando di ricostruire lorigine del vestito.

Lesperto, fingendosi studente di cinema, esaminò labito. È cucito a mano, fine anni 80, forse su misura. Ma la fodera non è originale. Questa cucitura è stata fatta dopo, più trasandata.

Chiese di vedere la cucitura. Cè qualcosa di rettangolare qui, imbottito. Un taschino nascosto?

Le mie mani si strinsero.

Lesperto consigliò di aprirlo, ma avvertì che potremmo danneggiare lintegrità del vestito.

Quella notte, nella cucina di Zainab, con la sua scatola di ricami, aprii le piccole cuciture. Tra seta e cotone trovai una piccola tasca di velluto nero. Dentro cera un anello dargento con incisi due iniziali: DO.

Il mio cuore si strinse. Le iniziali corrispondevano a Daniele.

«Non può essere», sussurrò Zainab.

«Mi ha dato labito?», chiesi.

Negò.

19 aprile Confronto con Daniele
Presi lanello, tornai a casa di Daniele, labito chiuso nel bagagliaio. Quando aprì la porta, il suo volto si addolcì:

«Finalmente sei qui. Ti preoccupavi».

«Ho una domanda da farti, e voglio la verità».

Gli mostrei lanello.

«Lo conosci?», gli chiesi.

Gli occhi si spalancarono, ma non riconobbe nulla.

«Dove lhai preso?», insistetti.

Era visibilmente agitato.

«Non avrei dovuto trovarlo», balbettonò.

«È tuo da tempo, prima di me. Perché lo hai cucito nella fodera del mio vestito?».

Passò una mano fra i capelli.

«Posso spiegare, ma non qui, non ora. Per favore, aspetta».

Non aspettai. Salii in macchina, il telefono vibrò: un messaggio anonimo, sola frase: «Non lasciarlo mettere quellanello».

20 aprile La corsa notturna
Non tornai a casa. Continuai a guidare, il messaggio illuminava lo schermo come se respirasse. «Non lasciarlo mettere quellanello». Leggevo, cercando senso.

Mi fermai sotto il Ponte di Rialto, spensi il motore. Il silenzio era denso. Aprii di nuovo la tasca di velluto, lanello era semplice, ma sembrava velenoso.

Chiamai Zainab.

«Dì che non sei più con lui», mi disse.

«Mi sono allontanata, non riesco a dormire», risposi.

Raggiunsi la sua casa in pochi minuti. Entrò in casa con la veste di casa, senza trucco, i capelli raccolti in un bun disordinato.

«Non so più chi è il mio promesso sposo», dissi, crollando sul divano.

«Hai guardato bene lanello?», chiese, accendendo la torciare del cellulare.

Accese la torcia sul retro delle incavi e trovò una data quasi invisibile: 07072018.

Il mio cervello scattò: cinque anni fa, Daniele e io non eravamo nemmeno usciti.

Cercai la data su Google. Nessuna notizia, solo un piccolo blog locale del 2018 che annunciava: «Morena e Davide si sposano a Como, cerimonia discreta».

Davide il vero nome di Daniele.

«Daniele si è sposato con una Morena cinque anni fa?», chiesi, scioccata.

«No, impossibile deve essere una coincidenza», balbettò Zainab, ma il suo sguardo tradiva dubbio.

Il giorno dopo chiamai Daniele, ma non lo salutai.

«Il tuo nome completo è Davide, vero?», dissi freddamente.

Silenzio.

«Ti sei sposato con Morena, vero?», continuai.

Niente.

«Parla, Davide», dissi.

«Ci siamo sposati, è finita. È sparita, tutti pensiero. Lanello lho perso», rispose infine, con voce rotta.

«E ora è qui, nel mio vestito, perché?», lo incalzai.

«Non posso spiegare tutto al telefono. Ma non approfondire, è pericoloso».

Mi confessò che aveva nascosto lanello perché temeva che qualcuno potesse usarlo contro di lui.

21 aprile Il piano di Zainab
Zainab ed io ci sedemmo davanti a una lavagna:

Chi ha lasciato le note?
Morena?
Qualcuno che odia Davide?
Qualcuno che vuole avvertirmi?

Cerchiamo la risposta.

La seconda nota era infilata nella mia Bibbia: «Ti restano sette giorni».

Perché ora, a pochi giorni dal matrimonio?

Sentivo che il vestito non voleva che andassi via.

Appesi labito alla porta della mia camera, come se aspettasse.

«Se vuoi qualcosa da me, parla ora, prima che sabato ti porti guai», dissi ad alta voce.

Le luci tremolarono due o tre volte, poi labbraccio del vestito scomparve.

Quella notte sognAl mattino, mentre lalba rosava il silenzio della chiesa, trovai labito arrotolato al primo gradino, con una nuova lettera che mi chiedeva di camminare via e ricominciare, e così lasciai dietro di me la paura, il passato e quel velo di seta, scegliendo la libertà.

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