Ho sempre desiderato essere nei panni di mio fratello, ma presto tutto è cambiato.

Mi sono sempre immaginato al posto di mio fratello, ma poi tutto è cambiato.

Mia madre rimase incinta di me a diciotto anni. Mio padre ci lasciò non appena seppe la notizia: non voleva una famiglia, solo feste infinite e amici. I genitori di mia madre, i miei nonni, erano furiosi. In un piccolo paese vicino a Firenze, avere un figlio senza marito era una vergogna, e mio nonno la cacciò di casa gridando: “Non voglio vedere una figlia così irresponsabile!” Non posso neanche immaginare come si sentisse, giovane, sola e con un neonato tra le braccia. Ma ce l’ha fatta: si iscrisse all’università a distanza, trovò un lavoro, si fece in quattro. Le assegnarono una stanza in un dormitorio e iniziammo la nostra vita a due. Sono cresciuto più in fretta di altri bambini: andavo a fare la spesa, pulivo, riscaldavo il cibo. Giochi? Non c’era tempo. Fin da piccolo ero il suo sostegno, l’unico uomo della sua vita.

Non mi lamentavo mai, ne ero fiero. Ma presto entrò nella nostra vita Vittorio. Mi piaceva: portava caramelle, cioccolatini, si prendeva cura di mamma. Lei rifiorì accanto a lui e un giorno disse: “Io e Vittorio ci sposeremo e ci trasferiremo in una casa grande”. Ero felice, sognavo un vero padre e speravo che Vittorio lo diventasse. All’inizio, tutto sembrava una favola. Avevo un angolo tutto mio, potevo rilassarmi, ascoltare musica, leggere libri. Vittorio aiutava mamma e i suoi occhi brillavano di gioia.

Poi annunciò che aspettava un bambino. Poco dopo, Vittorio disse: “Sandro, dovrai trasferirti nel ripostiglio. Diventerà la cameretta”. Non capivo: c’erano tante stanze in casa, perché proprio io? Il giorno seguente i miei oggetti erano già ammucchiati in un ripostiglio stretto, appena sufficiente per un letto. Era ingiusto, ma rimasi zitto, ero abituato a sopportare.

Quando è nato mio fratellino Marco, è iniziato l’incubo. Le sue grida non mi facevano dormire e andavo in giro come un fantasma. I voti a scuola sono calati, gli insegnanti mi rimproveravano, e mamma gridava: “Devi essere un esempio per tuo fratello! Basta farci vergognare, fannullone!” Marco è cresciuto e mi hanno affidato nuove responsabilità: portarlo a spasso, spingere il passeggino nel cortile. I ragazzi ridevano di me, arrossivo per la vergogna, ma tacevo. Tutto il meglio – giocattoli, vestiti – era comprato per Marco. Chiedevo qualcosa per me e Vittorio rispondeva seccamente: “Non ci sono soldi”. Portavo Marco all’asilo, lo riprendevo, lo nutrivo, pulivo casa, vivendo nell’attesa che crescesse e mi desse la libertà.

Marco è andato a scuola e mamma mi ordinava di aiutarlo con i compiti. Era viziato, capriccioso, studiava male e i miei tentativi di farlo ragionare finivano con lui che si lamentava da mamma. Lei stava sempre dalla sua parte e io ricevevo rimproveri: “Devi avere pazienza, sei il maggiore!” Lo spostavano di scuola in scuola, ma falliva ovunque. Alla fine lo iscrissero a una scuola privata dove ignoravano le sue insufficienze in cambio di soldi. Io invece andai in un istituto tecnico per meccanici: non perché lo volessi, ma per scappare di casa.

Poi corsi a distanza, lavoro: lavoravo giorno e notte, risparmiando per una mia casa. Mi sposai, trovai la pace. E Marco? Vittorio gli regalò un appartamento, ma vive ancora con i genitori, affitta l’alloggio e spende i soldi in stupidaggini. Non vuole lavorare, ozia davanti alla TV. Un Natale ci riunimmo dai genitori. È arrivata la sua ultima fidanzata, Elena. Ho sentito per caso il loro discorso in cucina.

“Sei fortunata con il fratello,” diceva a mia moglie, Anna. “Sandro è così lavoratore, responsabile. Perché Marco non è così? Gli chiedo di andare a vivere insieme, di costruire una famiglia, ma lui si attacca solo alla mamma. Ha i soldi dell’affitto, ma a che serve?”

“Sì, Sandro è bravissimo,” sorrise Anna. “Lascia stare Marco, non ti merita. Non sarà mai un buon marito.”

Mi immobilizzai. Marco cambiava ragazze come i guanti, ma nessuna restava, mamma le cacciava tutte, ritenendole indegne del suo “figlio d’oro”. E lui non si opponeva, vivendo nella sua pigrizia come in un bozzolo. A quel punto capii: non lo invidio più. Tutto ciò che avevo sognato, essere al suo posto, era vuoto. Il destino mi ha dato sfide, ma mi ha anche ricompensato. Ho una famiglia, una moglie amorevole, una figlia, una casa costruita con le mie mani. Sono fiero di me stesso e per la prima volta nella vita non mi dispiace non essere Marco. La mia vita è la mia vittoria, sofferta e autentica.

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