Ho sposato una donna con 3 figli quando nessuno voleva aiutarli

Nei tempi sovietici, accompagnavo una donna con tre bambini, completamente sola al mondo.

“Andrea, ma sei serio? Ti porti a casa una commessa con tre figli? Hai perso la testa?” mi disse Vittorio, il mio coinquilino, dandomi una pacca sulla spalla con un sorriso.
“E che cè di strano?” risposi senza staccare gli occhi dallorologio che stavo smontando con un coltellino, guardandolo di sottecchi.

Era lanno 1978, e la nostra piccola città viveva tranquilla, senza fretta. Io, un trentenne scapolo, passavo le giornate tra la fabbrica e il letto della pensione. Dopo listituto tecnico, la mia vita era sempre la stessa: lavoro, partite a dama, televisione e rare uscite con gli amici.

A volte guardavo fuori dalla finestra e vedevo i bambini giocare in cortile. Mi tornavano in mente i sogni di una famiglia. Ma poi li scacciavo subito che famiglia potevo mai avere in una stanza di pensione?

Tutto cambiò una sera piovosa di ottobre. Ero entrato in un negozio a comprare il pane. Ci ero passato mille volte, sempre uguale. Ma quel giorno, dietro il bancone cera lei Rosalba. Prima non lavevo mai notata, ma quella volta il mio sguardo si fermò su di lei. Occhi stanchi ma dolci, con una luce nascosta in fondo.

“Bianco o integrale?” chiese con un sorriso appena accennato.
“Bianco…” borbottai, confuso come un cane sotto la pioggia.

“Appena sfornato, fresco,” disse, avvolgendolo velocemente e porgendomelo.

Quando le nostre dita si sfiorarono, sentii una scossa. Cercai le monetine nelle tasche, mentre la osservavo di nascosto. Semplice, con un grembiule, sui trentanni. Stanca, ma con una forza dentro.

Qualche giorno dopo, la vidi alla fermata dellautobus. Rosalba lottava con delle borse, mentre tre bambini le giravano intorno. Il più grande, Vincenzo, quattordicenne, serio, reggeva un sacco pesante, la bambina teneva per mano il più piccolo.

“Lasci che la aiuti,” dissi, prendendo le borse.

“Non serve, grazie…” cominciò lei, ma io le caricai già le cose sullautobus.

“Mamma, chi è questo?” chiese il piccolo, senza filtri.
“Zitto, Sole,” lo sgridò la sorella.

Durante il viaggio, scoprii che abitavano vicino alla fabbrica, in un vecchio bilocale. Il maggiore era Vincenzo, la figlia Loredana, e il piccolo Sole. Rosalba era vedova da anni e tirava avanti da sola con la famiglia.

“Si campa, non ci lamentiamo,” disse, con un sorriso stanco.

Quella notte non riuscii a dormire. Avevo ancora negli occhi il suo sguardo, la voce di Sole, e dentro di me si risvegliava qualcosa di dimenticato come se mi aspettasse una svolta.

Da allora, iniziai a passare più spesso dal negozio. Compravo latte, biscotti, o entravo senza motivo. I colleghi in fabbrica ridevano.

“Andrea, ma che fai? Tre volte al giorno dal droghiere questa sì che è amore,” scherzava Pietro, il mio caporeparto.

“Servono cose fresche,” rispondevo, voltandomi.

Ora sediamo con Rosalba nel nostro nuovo appartamento, ascoltando le risate dei bambini e sapendo che questa famiglia è il più grande regalo che la vita mi abbia mai fatto.

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