Trovai un bambino sotto una betulla e lo crebbi come fosse mio. Ma chi lavrebbe mai immaginato?
“Cosa fai qui?” Michele Antonelli rimase paralizzato, incapace di credere ai suoi occhi.
Sotto una vecchia betulla, raggomitolato su un tappeto di foglie secche, cera un bambino. Un ragazzino magro, di circa quattro anni, con una giacca troppo leggera, tremava mentre si stringeva a sé. I suoi occhi spaventati fissavano il guardaboschi.
Michele guardò attorno con cautela. Non cera anima viva: solo il vento che muoveva gli aghi dei pini e, ogni tanto, il crepitio di un ramo.
Si chinò con delicatezza, cercando di sembrare meno minaccioso.
“Come ti chiami, piccolo? Dove sono i tuoi genitori?”
Il bambino si strinse alla corteccia ruvida della betulla. Le labbra gli tremavano, ma invece di parole, emise solo un lieve singhiozzo.
“G Gi Gino,” sussurrò alla fine.
“Gino?” Michele allungò una mano, ma il bambino indietreggiò. “Non aver paura. Non ti farò del male.”
Il crepuscolo avvolgeva il bosco. La temperatura continuava a scendere e il bambino tremava. Chi poteva averlo abbandonato lì? Il paese più vicino era a trenta chilometri, e il viaggio era ancora più lungo.
“Vieni con me,” disse il guardaboschi con dolcezza. “A casa mia cè caldo e cè da mangiare.”
Alla menzione del cibo, negli occhi del bambino brillò un barlume di interesse.
Michele si tolse la giacca imbottita e, con cautela per non spaventare Gino, gliela mise sulle fragili spalle. Il bambino non si oppose.
“Ecco fatto,” sussurrò Michele, sollevando Gino tra le braccia.
Leggero come una piuma. Le ossa si vedevano sotto la pelle. Era chiaro che non mangiava da tempo.
Camminarono attraverso il bosco, e Michele sentì che, poco a poco, i tremori del bambino si calmavano. Presto, una piccola casetta si stagliò tra gli alberi: un portico malconcio e un sottile filo di fumo che usciva dal camino.
“Siamo arrivati,” annunciò il guardaboschi, aprendo la porta con un piede.
Lodore di erba secca e legna bruciata riempì la stanza. Il fuoco stava morendosi, proiettando luci rossastre sul tavolo grezzo e sulla panca di legno.
Fece sedere Gino sulla panca, aggiunse legna al fuoco e le fiamme ripresero vita, illuminando il volto spaventato del bambino.
“Ti riscalderai,” disse Michele, posando una pentola sul camino. “Poi parleremo.”
Il bambino mangiò avidamente, soffocandosi e tossendo di tanto in tanto. Michele lo osservava, e qualcosa di antico si mosse dentro di lui. Quanto tempo era passato dallultima volta che si era preso cura di un bambino? Dieci anni? Quindici? Da quando
No. Non ora.
“Da dove vieni, Gino?” chiese quando il piatto fu vuoto.
Il bambino scosse la testa.
“Mamma Papà dove sono?”
Scosse di nuovo la testa, e le lacrime gli rigarono le guance.
“Io non lo so,” sussurrò.
Michele sospirò. “Domani dovremmo andare in paese da Luigi Giovanni. Un bambino non può apparire dal nulla; di sicuro qualcuno lo sta cercando.”
“Stanotte resti qui,” concluse il guardaboschi. “Domani decideremo cosa fare.”
Sistemò Gino sotto una coperta vecchia ma pulita, sulla panca vicino al camino. Il bambino si rannicchiò in un angolo, con lo sguardo diffidente.
A metà della notte, Michele si svegliò per un debole singhiozzo. Gino era seduto sulla panca, con le ginocchia strette al petto, piangendo in silenzio.
“Ehi,” chiamò Michele. “Vieni qui.”
Bussò leggermente sul letto accanto a sé. Il bambino esitò, diviso tra paura e fiducia. “Dai,” lo incoraggiò Michele con dolcezza. “Non aver paura.”
Gino scese con cautela dalla panca e, dopo qualche passo incerto, si infilò sotto le coperte vicino al guardaboschi.
“Dormi,” disse Michele. “Non ti succederà nulla.”
La mattina presto, Michele si preparò per scendere in paese. Esitò, guardando Gino che dormiva sereno. Doveva portarlo con sé? Lasciarlo lì? E se si fosse svegliato da solo?
Alla fine, decise di svegliarlo.
“Andiamo in paese,” disse Michele. “Dobbiamo trovare chi ti ha perso.”
Gino aprì gli occhi allistante.
“No!” gridò, per la prima volta con voce chiara. “Non lasciarmi qui!” aggiunse, stringendo la mano di Michele.
“Perché?” Michele si chinò verso di lui. “Forse i tuoi genitori ti stanno cercando.”
Gino scosse la testa, con paura negli occhi.
“Non ho una madre,” sussurrò. “Non ho un padre.”
Una fitta trafisse il cuore di Michele: riconosceva quellespressione. La disperazione di chi ha perso tutto.
“Va bene,” disse dopo un momento. “Oggi resti qui. Ma domani andremo comunque. Hai capito?”
Il bambino annuì, ancora stretto alla mano di Michele.
Tre settimane dopo, Michele Antonelli arrivò finalmente in paese.
Prepararono una minestra sul fuoco, con patate, cipolle ed erbe raccolte nel bosco.
Le fiamme disegnavano i loro volti: uno segnato dal tempo e con la barba grigia, laltro giovane e lentigginoso. Ma i loro occhi erano identici: vivaci, seri e attenti.
“Fra una settimana inizierai la scuola,” mormorò Michele, mescolando la minestra. “Sei nervoso?”
Gino si strinse nelle spalle.
“Un po. E se i bambini mi prendono in giro?”
“Perché?” chiese Michele sorpreso.
“Perché non sono mai andato a scuola. Perché sono diverso.”
Michele posò il cucchiaio, avvicinò Gino e disse a bassa voce:
“Ascoltami bene: sì, sei diverso da loro. Ma sei meglio.” Hai affrontato un cinghiale nel bosco. Sai accendere un fuoco con un solo fiammifero. Sai che odore ha la terra dopo la pioggia.
E ora andrai in prima elementare. Nessuno sa cosa sia la scuola finché non ci va, nemmeno loro.
Gino si illuminò.
“Davvero?”
“Certo,” concluse Michele, scompigliandogli i capelli biondi. “E unultima verità: io sarò sempre qui. Sempre.”
Arrivò il primo settembre, luminoso e sereno. Gino, con una camicia nuova e lo zaino, aspettava davanti alla porta. Michele si sistemò il colletto.
“Pronto?”
Gino annuì. Insieme, percorsero la strada del paese fino alla scuola: un piccolo edificio bianco con una bandiera. I bambini entravano a frotte con mazzi di fiori e i genitori scattavano foto.
Sulla soglia, Gino rallentò.
“Papà,” disse finalmente, e Michele rimase immobile, senza voler interrompere quel momento. “Mi aspetti qui?”
“Certo,” rispose con voce roca. “Proprio qui. Va.”
Gino fece un respiro profondo e varcò la porta, mescolandosi agli altri bambini. Michele rimase fermo, osservando la porta bianca con un dolce sorriso. Una leggera brezza gli scompigliò i capelli.
Suo figlio iniziava la scuola, come doveva essere. Il cerchio si era chius