« Ho trovato una bambina abbandonata sul molo di Genova dopo una tempesta, senza memoria del suo passato, e l’ho cresciuta come mia figlia. Quindici anni dopo, una nave misteriosa è approdata con sua madre. »

Il vento salato accarezzava i capelli di Ginevra mentre, strizzando gli occhi contro il sole, dava unaltra pennellata alla sua tela.

Lazzurro si fondeva nellindaco, creando quella sfumatura unica del mare al tramonto, come se volesse catturare la luce tra le dita.

A ventanni, il mare per lei era ancora un enigma un richiamo, unispirazione.

Livia le si avvicinò alle spalle, silenziosa come un gatto, e poggiò il mento sulla sua spalla, respirando lodore familiare dei colori mescolato alla brezza marina. Profumava di pesche mature e di casa.

«È troppo scuro», disse dolcemente, senza rimprovero, solo con un pizzico di preoccupazione. «Oggi il mare è calmo.»

Ginevra sorrise senza staccare gli occhi dal quadro.

«Non sto dipingendo il mare. Sto dipingendo il suono che aveva nei miei ricordi.»

Livia le accarezzò i capelli. Quindici anni erano passati da quel giorno in cui lei e Adriano avevano trovato una bambina sulla spiaggia bagnata fradicia, spaventata, con occhi tempestosi. Una bambina senza nome, senza passato, arrivata chissà come, come un messaggio dal mare.

Lavevano chiamata Ginevra. Quel nome era rimasto. Era diventato parte di lei.

Avevano aspettato. Una settimana, un mese, un anno. Annunci sui giornali, avvisi alla polizia, domande a tutti. Ma nessuno cercava una bambina dai capelli biondi e occhi di burrasca.

Era come se il mare lavesse lasciata lì e se nera dimenticato.

«Tuo padre è tornato con il pesce», disse Livia indicando casa. «Dice che le sogliole sono saltate da sole nella rete.»

Adriano era già allopera vicino alla griglia, la sua risata rimbombava nel cortile. Amava Ginevra non solo come una figlia, ma come un dono che il mare gli aveva restituito dopo avergli rubato un sogno da ragazzo.

La loro vita scorreva tranquilla, come un ruscello tra gli scogli. Lestate era giardinaggio e cene in terrazza al suono delle cicale. Linverno, rammendare le reti, scaldarsi davanti al camino, ascoltare Ginevra leggere storie che li portavano lontano.

Cerano anche litigi per i fiori appassiti, per quel ragazzo dellospedale, per i sogni di Ginevra. Adriano sperava che restasse con loro, Livia metteva da parte soldi di nascosto per lAccademia di Belle Arti. Sapeva che il talento di Ginevra non poteva rimanere chiuso in un paesino.

Ma ogni tensione svaniva appena si ritrovavano a tavola.

Ginevra posò il pennello e si voltò verso la madre.

«Mamma te ne sei mai pentita?»

Livia la guardò a lungo. Nei suoi occhi cera ancora la paura di quei primi giorni e un amore infinito.

«Neanche un secondo, cucciola. Neanche uno.»

La strinse forte, respirando lodore dei colori e del sale. In quel momento, tutto la casa, il giardino, quella figlia le sembrò fragile come un dipinto. E si sentì pronta a proteggerlo da qualsiasi tempesta.

Lidea del concorso «Talenti della Riviera» era venuta ad Adriano. Aveva battuto un dito sul giornale:

«Ecco, Ginevra. Questa è la tua occasione. Mostra loro cosa sai fare.»

Allinizio Ginevra aveva rifiutato. Esporre i suoi sentimenti era come spogliarsi davanti a tutti. Ma Livia laveva guardata con occhi pieni di speranza.

«Prova. Solo per noi.»

E Ginevra aveva ceduto.

Non uscì dal suo studio per una settimana. Poi, nel cuore della notte, lispirazione arrivò.

Non avrebbe dipinto ciò che vedeva. Avrebbe dipinto ciò che sentiva.

Due paia di mani. Quelle callose di Adriano che reggevano una conchiglia. Quelle dolci di Livia che la proteggevano.

Il quadro si chiamava «Il Porto Sicuro».

Vinse il primo premio. Allunanimità.

Il giornale locale pubblicò una foto: Ginevra, timida ma felice, accanto alla sua opera. Larticolo lodava il suo talento e accennava alla sua storia la bambina trovata in spiaggia, adottata da un pescatore e sua moglie.

Tutto il paese festeggiò.

Ma poche settimane dopo, Ginevra notò cose strane. Una macchina elegante che passava lentamente davanti a casa. La sensazione di essere osservata mentre dipingeva. Poi, una sera, trovò Livia in terrazza pallida, con una busta senza mittente tra le mani.

«È per te», sussurrò.

Ginevra aprì la busta. Dentro, un foglio profumato di giglio, con una scrittura elegante:

«Ciao. Ti chiami Ginevra, ma alla nascita tuo padre e io ti avevamo chiamata Beatrice. Io sono Serena. Sono tua madre.»

Rilesse la frase. Ancora e ancora. Le lettere sfocavano. Il petto le si strinse.

Alzò gli occhi verso Livia e vide lo stesso terrore.

La lettera raccontava una storia assurda: uno yacht, una tempesta, un colpo alla testa. Ginevra era scomparsa per giorni. Trauma, amnesia. Le ricerche erano durate anni finché un assistente non aveva trovato larticolo sul concorso.

«Non voglio sconvolgerti. Voglio solo vederti. Sapere che sei felice. Ti aspetterò tra tre giorni, a mezzogiorno, sul molo. Se non verrai, me ne andrò. Per sempre.»

Quando Adriano tornò, trovò due donne pallide e una lettera spiegazzata.

La lesse e la scagliò a terra.

«Nessuno va da nessuna parte!», ruggì. «Quindici anni! E ora che sei famosa, si ricorda? Vuole i soldi o cosa?»

«Adriano, calmati», disse Livia, anche se il cuore le batteva forte.

«Ci andrò», disse Ginevra con voce ferma. «Devo andarci.»

Il giorno stabilito, andarono tutti e tre al molo. Una barca si avvicinò allo yacht. Ne scese una donna alta, elegante, in tailleur chiaro. I suoi occhi, uguali a quelli di Ginevra, erano pieni di lacrime.

«Bea», sussurrò.

Ginevra rimase immobile. Sentì la mano di Adriano sulla spalla. Quella di Livia sulla schiena.

«Buongiorno», riuscì a dire. «Io sono Ginevra.»

La conversazione fu incerta. Serena mostrò foto: un padre sorridente, lei incinta, una bambina tra le braccia. Beatrice. Un intero mondo sconosciuto minacciava di crollare.

«Non ti chiedo di venire con me», disse Serena. «Ma sei tutto ciò che mi resta. Voglio conoscerti. Offrirti opportunità. Mostrarti il mondo che ti è mancato.»

Adriano serrò i pugni.

«Non ha bisogno dei tuoi soldi! Ha una casa! Ha noi!»

«Papà, ti prego.»

Ginevra si voltò verso Serena. Nella testa un caos. Nel cuore uno strappo. Due nomi. Due madri. Due vite.

«Io non so cosa provo. Ho bisogno di tempo.»

Serena annuì, con le lacrime agli occhi.

«Certo. Ti aspetterò. Ho preso una casa in città. Ecco il mio numero.»

Le settimane seguenti furono piene di silenzi. Ginevra non dipingeva più. Adriano era una tempesta in

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« Ho trovato una bambina abbandonata sul molo di Genova dopo una tempesta, senza memoria del suo passato, e l’ho cresciuta come mia figlia. Quindici anni dopo, una nave misteriosa è approdata con sua madre. »