Ho vissuto come serva per i miei figli fino a 48 anni, poi ho scoperto la vera vita.

Giovanna sedeva sul vecchio divano nel suo appartamento a Napoli, fissando la carta da parati sbiadita che non cambiava da vent’anni. Le sue mani, segnate da anni di pulizie, cucina e bucato, riposavano inerti sulle ginocchia. Era madre di tre figli, una moglie che aveva sempre messo la famiglia al primo posto. Ma a 48 anni, si era resa conto di una verità amara: non era stata una madre, né una moglie, ma una serva. Una serva nella sua stessa casa, dove i suoi desideri e i suoi sogni si erano dissolti nella routine infinita.

I suoi figli—Marco, Sofia e Aurora—erano il centro del suo universo. Dalla loro nascita, Giovanna aveva dimenticato cosa significasse pensare a se stessa. Si alzava alle cinque del mattino per preparare la colazione, li accompagnava a scuola, controllava i compiti, lavava i loro vestiti mentre i suoi rimanevano a prendere polvere nell’armadio. Quando Marco si era ammalato da bambino, lei aveva vegliato notti intere, dimenticandosi di dormire. Quando Sofia aveva voluto fare danza, Giovanna aveva risparmiato su tutto pur di pagarle le lezioni. Quando Aurora aveva desiderato un nuovo telefono, lei aveva accettato lavori extra per accontentarla. Non aveva mai chiesto cosa volesse, davvero. Credeva che il suo ruolo fosse quello di dare, fino all’ultima goccia.

Suo marito, Alessandro, non era da meno. Tornava dal lavoro, si sedeva davanti alla televisione e aspettava la cena come fosse scontato. “Sei una madre, è il tuo dovere,” diceva quando Giovanna osava lamentarsi della stanchezza. Lei taceva, inghiottendo le lacrime, e continuava a correre come un criceto nella ruota. La sua vita si riduceva a una cosa sola: rendere felici gli altri, anche se a lei non rimanevano che briciole del loro affetto. I figli crescevano, diventavano più indipendenti, ma le richieste non diminuivano. “Mamma, prepara qualcosa di buono,” “Mamma, lavami i jeans,” “Mamma, dammi soldi per il cinema.” Giovanna obbediva, come un automa, senza rendersi conto che la sua stessa vita le sfuggiva di mano.

A quarantotto anni, si sentiva un’ombra. Nello specchio vedeva una donna con occhi stanchi, capelli grigi che non aveva mai tempo per tingere, e mani ruvide per il lavoro. La sua amica, Beatrice, un giorno le aveva detto: “Giovanna, vivi per gli altri. Ma tu, dove sei?” Queste parole l’avevano colpita, ma aveva scrollato le spalle. Poteva fare altrimenti? Era una madre, una moglie, il suo dovere era prendersi cura della famiglia. Ma dentro di lei, qualcosa aveva cominciato a bruciare—una piccola scintilla che presto avrebbe cambiato tutto.

Il momento decisivo arrivò all’improvviso. Quel giorno, Sofia, ormai grande, le aveva detto con noncuranza: “Mamma, hai sbagliato di nuovo a lavare i miei vestiti, sono rovinati!” Giovanna, che aveva passato la notte a stirare, si era bloccata. Qualcosa dentro di lei si era spezzato. Guardò sua figlia, i vestiti sparsi per la stanza, i piatti sporchi in cucina, e capì: non poteva più. Non voleva. Quella sera, non preparò la cena. Per la prima volta in vent’anni, si chiuse in camera e pianse—non per il dispiacere, ma per la consapevolezza che la sua vita era passata senza di lei.

Il giorno dopo, Giovanna fece ciò che non aveva mai fatto: andò dal parrucchiere. Seduta sulla poltrona, guardò lo specchio mentre il parrucchiere tagliava i suoi capelli spenti, e sentì che ogni ciocca caduta era un peso che abbandonava. Comprò un vestito—il primo da decenni—senza chiedersi se sarebbe piaciuto ai figli o al marito. Si iscrisse a un corso di pittura, il sogno della sua giovinezza abbandonato per la famiglia. Ogni piccolo passo era come un respiro dopo anni sott’acqua.

I figli rimasero scioccati. “Mamma, ora non cucini più?” chiese Marco, abituato alle sue attenzioni. “Cucinerò, ma non sempre. Imparate a cavarvela,” rispose Giovanna, con voce tremante tra paura e determinazione. Alessandro borbottò, ma lei non aveva più paura del suo malumore. Cominciò a dire “no,” e quella parola divenne la sua salvezza. Non smise di amare la sua famiglia, ma per la prima volta mise se stessa al primo posto.

Ora, un anno dopo, Giovanna guarda il mondo con occhi nuovi. Dipinge quadri che espone alle fiere locali. Ride più spesso di quanto pianga. Il suo appartamento a Napoli non è più un magazzino di cose altrui—è il suo spazio, dove si sente profumo di caffè e colori. I figli hanno cominciato ad aiutare in casa, anche se non subito. Alessandro ancora brontola, ma Giovanna lo sa: se non accetterà la sua nuova vita, lei se ne andrà. Non è più una serva. È una donna che, a 48 anni, ha finalmente trovato se stessa.

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Ho vissuto come serva per i miei figli fino a 48 anni, poi ho scoperto la vera vita.