I cumuli della sorte

Cumuli di destino

Matteo, avvocato trentacinquenne di Milano, odiava il Capodanno con la stessa intensità con cui amava le circolari dellAgenzia delle Entrate. Per lui, festeggiare non era altro che una corsa a ostacoli: dilemmi su regali perfetti per colleghi che a malapena sopportava, brindisi forzati e limmancabile cena aziendale.

Questanno lo studio aveva deciso di superarsi, prendendo in affitto un elegante agriturismo fuori città, come se bastasse un po di campagna a migliorare le dinamiche da open space.

Matteo sfrecciava nel suo impeccabile SUV nero, ascoltando per lennesima volta un podcast sul diritto tributario, già pronto con un piano dazione chirurgico: fare presenza per sessanta minuti, sorseggiare uno spumante, scambiare due chiacchiere calibrate con i capi e filarsela come un ninja verso il comfort della sua poltrona e della tivù.

Quando arrivò, il posto brulicava come Piazza Duomo durante la settimana della moda. Persone variopinte ridevano a comando, creando unatmosfera che oscillava tra il cabaret e loratorio.

Matteo si appropriò del suo flute e si appostò contro un muro, modello tapparella: rigido ma attento. Girava lo sguardo su quella ruota panoramica di entusiasmo programmato, sentendosi palesemente un marziano teletrasportato in una dimensione dove la felicità era legge non scritta.

***

Ed è proprio lì che la vide. Lei non era la più appariscente o la più rumorosa, anzi. Era un po in disparte, vicino alla finestra, a contemplare la tormenta che stava imbiancando la campagna lombarda.

Indossava un semplice abito blu notte e teneva in mano un bicchiere di succo (che, in quelloceano di prosecco, pareva quasi una dichiarazione di guerra). Tuttavia, non sembrava per nulla triste o solitaria: piuttosto assorta, in un universo tutto suo.

Matteo si accorse che lei assomigliava esattamente a come si sentiva lui.

Brutta serata per tornare a Milano, buttò lì, avvicinandosi (perché, si sa, non tutti i cavalli di battaglia si vincono con originalità).

Lei si voltò e gli regalò un sorriso sincero, distante anni luce da quelli stiracchiati che imperversavano nella sala.

Ma la bellezza? rispose lei indicando la nevicata. Quando nevica così, sembra che tutti i problemi spariscano sotto il ghiaccio.

Matteo quasi trasalì. In qualche modo si era preparato a tutto, tranne che a una risposta del genere.

Matteo, si presentò lui.

Bianca, rispose lei stringendogli la mano. Faccio parte dellufficio contabilità. Credo di averti incrociato in ascensore un paio di volte.

Si zittirono. Ma non era quel silenzio da appuntamento imbarazzante. Era più simile a quello di una vecchia coperta: familiare e confortevole.

La bufera fuori andava intensificandosi. Un annuncio dagli altoparlanti tagliò in due la sala: strade bloccate, bisogna rimanere fino a domattina. Il panico fece la sua comparsa, in compagnia della delusione.

Matteo bestemmiò sottovoce (in dialetto, si intende). Addio, strategia ninja.

E allora, avvocato, pronto a dormire in un letto pieghevole? domandò ironicamente Bianca.

Ammetto che durante lesame di Stato non ci avevano avvisato di questa evenienza, rise lui. E tu?

Ho sempre con me un ottimo caricabatteria e un libro, rispose lei. Meglio parare tutti i colpi.

Fu proprio quella sera, smascherati e liberati dai piani, che iniziarono davvero a parlare.

Alla luce di un lampione ghiacciato, Matteo apprese che Bianca era una fan sfegatata dei film in bianco e nero anni Cinquanta, mentre lui li trovava più soporiferi di una lezione di diritto comparato, ma promise che avrebbe ceduto purché gli spiegasse il fascino segreto di certi capolavori.

Matteo confessò di voler mollare tutto un giorno e aprire una caffetteria con pasticcini e libri polverosi, Bianca ammise con pudore di disegnare ad acquerello (passione nascosta più del pandoro a Natale) che non aveva mai mostrato a nessuno.

Si accovacciarono in un angolo, dimenticando drappi, glitter e DJ set, sorseggiando non spumante ma tè bollente da un termos (previdente, Bianca aveva pensato proprio a tutto).

Lei gli raccontò del suo gatto, Cesare, professionista nel cacciare fiocchi di neve dal davanzale, lui rievocò i pomeriggi con la nonna che gli insegnava a preparare la torta di miele. Custodie di tenerezza, insomma.

A mezzanotte niente trenini né «Auguri!» urlati; solo uno sguardo complice.

Auguri, Matteo, sussurrò Bianca.

Auguri, Bianca, rispose lui.

Quella notte, niente suites di charme ma una saletta riempita di lettini pieghevoli. Erano vicini. Parlarono a voce bassa fino allalba, scambiandosi sogni e un paio di risate, mentre la neve finalmente smetteva di danzare.

Quando il mattino dopo le strade furono liberate, uscirono insieme. Il mondo era bianco, lucido, freschissimo. Il sole rifletteva sulle montagne di neve come uno specchio troppo pulito.

E tu, ora, dove vai? chiese Matteo.

Autobus. Casa.

Beh potrei accompagnarti.

Bianca lo osservò, con occhi che sorridevano ancora di più.

E se ti dicessi che mi va di camminare ancora un po in questo silenzio gelato, fino alla fermata? replicò lei.

Matteo capì. Forse non era affatto una coincidenza.

Era linizio di qualcosa di nuovo. E di vero.

Allora vengo con te, rispose deciso.

E partirono, tra i cumuli intonsi, insieme, nel primo giorno dellanno. Lasciando orme che conducevano chissà dove, verso un futuro tutto da sognare.

E chissà, magari funziona davvero.

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