I nostri tre gemelli sono stati cresciuti allo stesso modo, finché un giorno uno di loro ha iniziato a dire cose che non avrebbe dovuto sapere. Quando un bambino racconta ricordi che nessun altro ricorda, una famiglia si ritrova a mettere in dubbio la realtà stessa.
Eravamo soliti scherzare dicendo che ci servivano dei fiocchi colorati solo per distinguere i nostri tre piccoli. Allinizio era una battuta, poi è diventato qualcosa di più. Ogni bambino aveva lo stesso sorriso dolce, le stesse manine piccole. Li riconoscevamo così: Marco con il fiocco blu, Dario con quello rosso e Luca con quello verde. Le loro parole spesso si intrecciavano, uno che continuava dove laltro si fermava, come se tre voci appartenessero a una sola mente.
Crescerli era come avere unanima sola divisa in tre corpi.
Ma un giorno, quellarmonia si è incrinata. Luca ha iniziato a svegliarsi piangendo. Non era spaventato dai sogni, ma scosso da ricordiricordi che nessuno di noi poteva rivendicare.
“Ti ricordi la casa con le persiane rosse?”
Non abbiamo mai vissuto in un posto del genere.
“Dovè la signora Lombardi? Aveva sempre caramelle alla menta.”
Nessuno con quel nome è mai entrato nella nostra vita.
“La macchina di papà quella verde con il cofano rotto?”
Il cuore mi si è stretto. Non abbiamo mai avuto una macchina così.
Allinizio ridevamo, pensando fosse solo fantasia. I bambini inventano mostri, regni e amici dal nulla. Ma le parole di Luca avevano una strana gravità. Riempiva pagine intere con schizzi di quella casa misteriosa: edera sui mattoni, tulipani allineati, una porta rossa enorme. Marco e Dario le ignoravano, ma Luca sembrava legato a quella visione, come se ne fosse rimasto impigliato nel cuore.
Una mattina, lho trovato a rovistare in garage, sollevando polvere da vecchie scatole.
“Sto cercando il mio guanto.”
“Tu non giochi a baseball,” ho sussurrato.
“Ci giocavo prima di cadere.”
La sua mano ha toccato la nuca. Un ricordo di dolore, non un sogno.
Abbiamo cercato risposte. Il dottor Russo, il pediatra, ci ha consigliato uno specialista in schemi di memoria insoliti. La dottoressa Elena Bianchi lo ha accolto con dolcezza.
“Quello che descrive alcuni lo chiamerebbero il ricordo di una vita passata.”
Eravamo ancora scettici, ma abbiamo iniziato a indagare. Storia dopo storia emergevano di bambini che parlavano lingue mai studiate o ricordavano posti in cui non erano mai stati. Un nome ricorreva spesso: la dottoressa Maria Conti.
Durante una chiamata, Luca ha parlato piano di un ragazzinoGiacomoche aveva vissuto a Firenze ed era morto giovane, per una caduta. Settimane dopo, i documenti hanno confermato: Giacomo Ferrari, sette anni, Firenze, 1987. È apparsa una foto, e la somiglianza era sconvolgente.
Non abbiamo condiviso la nostra paura con Luca. Invece, lo abbiamo tenuto stretto, affrontando in silenzio lo stupore e il dolore. Quella notte, mentre la casa dormiva, io e mia moglie siamo rimasti svegli, chiedendoci cosa potesse significare. Al mattino, Luca ha sussurrato:
“Penso di aver ricordato abbastanza.”
Da quel momento, i disegni sono cessati. I ricordi strani sono svaniti, sostituiti da giochi, risate e storie che solo un bambino sa inventare. Mesi dopo, è arrivata una lettera senza spiegazionidentro, una foto di una casa con la porta rossa, firmata “Signora Lombardi.” Luca lha guardata con un piccolo sorriso:
“Qui ho lasciato la mia palla.”
Oggi, a quindici anni, Luca è tranquillo e riflessivo. Raramente parla del ragazzino che un tempo descriveva, ma abbiamo imparato una cosa ferma: alcuni bambini arrivano con storie già scritte. Il nostro dovere è ascoltare, amare e accettare ciò che non può essere spiegato. Luca ci ha mostrato che anche i ricordi più strani possono portare pace.