**Diario di un uomo – Storia di amore e scelte**
Le gru volavano nel cielo, disegnando traiettorie leggere come sospiri…
Giulia si svegliò e si stirò con un senso di pace. Poi si chiese che giorno fosse. Girò la testa per controllare l’ora e lo sguardo le cadé su un vestito bianco appeso alla porta dell’armadio. Lo aveva lasciato fuori per non sgualcirlo. I ricordi la travolsero come un’onda, togliendole il fiato.
Quando l’aveva provato in negozio, per un attimo le era sembrata la scelta giusta. Luca non c’era più. Ma Federico era lì, presente, affettuoso, brillante e bello. Non c’era più nulla da fare. Tra poche ore avrebbe dato quel vestito per andare in Comune, scortata dal corteo nuziale.
Un brivido le corse lungo la schiena. Distolse lo sguardo dal vestito, simbolo del suo tradimento.
Il giorno prima l’aveva confessato alla madre. Pallida, stremata dalle chemio e dagli interventi, la donna l’aveva fissata con occhi scavati.
“Lo capisco, tesoro. Ma Luca non c’è più.”
“Scomparso, ma non morto!” aveva ribattuto Giulia. “Potrebbe essere prigioniero. Fanno gli scambi, no?”
“Giulietta, e anche se tornasse… Hai visto le notizie? Se per miracolo fosse illeso, la mente sarebbe distrutta. Hai solo ventiquattro anni. La vita è appena iniziata. E poi, vi siete frequentati così poco…”
“Mamma, gli ho promesso di aspettarlo. Se mi sposo, lo tradisco. E se tornasse? Come potrei guardarlo in faccia?” La sua voce s’era fatta strozzata, soffocata dal pianto.
“Non urlare. Anche lui ha promesso di tornare. La guerra è così: facile fare promesse, difficile mantenerle. Se fosse vivo, non avrebbe fatto sapere qualcosa?” La madre l’aveva abbracciata.
Giulia aveva appoggiato la testa sulla sua spalla, sentendola respirare con fatica, come se nei polmoni avesse della carta spiegazzata.
«Ha ragione. Federico ha fatto tutto per noi. Ha portato mamma nella migliore clinica di Milano, pagato le cure. L’ha salvata, letteralmente. Sta ancora facendo la chemio, ma c’è speranza. E se dovesse stare male di nuovo? Non abbiamo soldi, lui è l’unica soluzione. Non posso dire di no… È mia madre, sogna dei nipoti… E io sono un’egoista…»
Si asciugò le lacrime.
“Tutto andrà bene, mamma. Non preoccuparti.”
La madre sospirò, osservandola di sfuggita e facendole un segno della croce, convinta che non se ne accorgesse.
“Non fare la stupida. Un uomo come Federico non si lascia scappare,” l’aveva rimproverata l’amica Silvia, senza nascondere l’invidia.
“Allora sposalo tu. Sei più bella di me.” Silvia aveva scosso la testa, mormorando: “Pazza.”
“Gli devo tutto, capisci?” si era infiammata Giulia. “E glielo dovrò per sempre. È come una prigione volontaria. Lui può fare quello che vuole, io non ho diritto di lamentarmi. Perché gli de-vo tut-to!”
“Sciocchina. Vivete un po’ insieme, se non ti piace, divorzi. Che problema c’è?”
Quelle parole avevano deciso tutto. Ma più si avvicinava il matrimonio, più il cuore di Giulia si faceva pesante. «Divorziare? Non mi lascerà mai. Ha speso un patrimonio per me e mamma… E dove scappo? Non posso abbandonare mia madre. Morirebbe. Ha appena ripreso a mangiare. È una trappola. Se solo mi scrivesse “sono vivo”, annullerei tutto…»
Federico diceva di amarla, non aveva insistito sull’intimità, anche se un paio di volte aveva sfiorato l’insistenza. Il ristorante era prenotato, gli ospiti illustri invitati. Ci sarebbe stato anche il vice-sindaco. Non voleva umiliarlo, farlo sembrare uno stupido abbandonato. Non aveva fatto nulla di male, aveva aiutato sua madre…
La madre entrò nella stanza.
“Non sei ancora pronta? Tra dieci minuti arrivano per pettinarti e truccarti. Alzati e fai la doccia. La colazione è in tavola.”
Giulia saltò giù dal letto e corse in bagno. La domanda «cosa faccio?» rimase sospesa nell’aria, lieve come una brezza.
Si lavò in fretta, con i capelli bagnati si sedette a tavola. Per non ferire la madre, bevve un sorso di caffè e addentò un panino. Il boccone le si bloccò in gola.
“Basta, mamma, non ce la faccio. Mi sento male.”
“Neanche io mangiai prima di sposare tuo padre. Poi bevvi dello spumante e pensai: mi vergognerò davanti a tutti.” La madre rise, poi si contorse.
“Cosa?”
“Mi tirano i punti.”
In quel momento suonò il campanello.
“Vado io,” disse la madre, dirigendosi verso l’ingresso. Il cuore di Giulia batteva come un uccello impazzito.
Cominciò il caos con parrucchiere e trucco. A Giulia non importava del suo aspetto. Ma quando si vide allo specchio, sussultò. Davanti a lei c’era la stella hollywoodiana Monica Bellucci.
Aveva chiesto un look naturale, senza acconciature esagerate. E aveva avuto ragione. La madre si mise una mano sul cuore, gli occhi lucidi.
La stylist se ne andò, Silvia aiutò Giulia a indossare l’abito.
“È troppo presto,” protestò lei.
“Non è vero. Se serve sistemare qualcosa?” La madre aveva detto che non mangiava.
“Anche tu…” sospirò rassegnata.
Un altro squillo.
“La mamma apre?” chiese Silvia, allacciando il vestito.
Giulia alzò le spalle.
“Non muoverti!” la rimproverò Silvia.
Il campanello suonò di nuovo e Silvia corse ad aprire, lasciando Giulia con la schiena scoperta. Lei tese l’orecchio. Sentì un trambusto e la voce di Silvia:
“Non puoi, porta sfortuna.”
“Sono arrivato prima per assicurarmi che la mia sposa sia perfetta,” insisté Federico.
“Lo è, credimi. Non ti faccio entrare.”
L’abito di seta scivolava dalle spalle. Giulia continuava ad aggiustare le sottili bretelle. Poi tutto tacque.
Aspettò un attimo, sollevò la gonna per non inciampare e socchiuse la porta. Nessuno. Scalza, uscì nel corridoio. Solo il fruscio del tessuto. Arrivata in cucina, si bloccò. Silvia le voltava le spalle. I ricci biondi le cadevano sulle spalle, le mani di Federico, come piccole ali bianche, le cingevano la vita.
Perché notò quelle mani? Si baciavano, dondolandosi. Una vampata di calore le salì al volto. Indietreggiò, tornò di corsa in camera. Bloccò la porta con una sedia. Bastava per un po’.
Si avvicinò alla finestra. Terzo piano. L’asfalto sotto.
Si liberò con fatica dall’abito, che scricchiolò. La stoffa cadé ai suoi piedi come neve. Lo calpestò, senza più curarsene.
“Giulia, apri, Federico è andato via,” chiamò Silvia. Scosse la maniglia, la sedia traballò.
“Un attimo!” rispose con voce roca. Indossò jeans e maglietta.
«Non posso saltare, allora resta la porta.» Tirò via laE mentre usciva di corsa dal palazzo, incontrò lo sguardo di un uomo in divisa che le sorrideva timidamente, e in quel momento capì che la vita, a volte, sa offrire seconde possibilità quando meno te l’aspetti.