Il Bambino Affidato Che Ho Accolto Mi Ha Pregato di Trovare la Sua Famiglia Biologica

**Il Bambino in Affido Mi Ha Supplicato di Trovare la Sua Famiglia Biologica**

Non avrei mai immaginato che la mia vita tranquilla potesse capovolgersi, ma poi un bambino è arrivato a casa nostra, cambiando tutto. Non doveva restare, eppure ho visto crescere quel legame. Quando è arrivato il momento di lasciarlo andare, ho dovuto agire. Potevo aiutarlo a trovare il suo vero posto nel mondo prima che fosse troppo tardi?

Chi avrebbe mai detto che alla mia età mi sarei ancora messa nei guai? Credevo di aver visto abbastanza per saperla lunga, ma la vita ha un modo strano di sorprenderci.

Naturalmente, come ogni donna che si rispetti, non vi dirò la mia età, ma sappiate che ho vissuto abbastanza per riconoscere quando qualcosa non quadra.

Vivevo con mio figlio, Enrico, e sua moglie, Marta. Dicevano che fosse più comodo così, anche se a volte mi chiedevo se lo facessero per me o per loro.

Enrico e Marta non avevano figli. Non per mancanza di desideriochiunque avesse occhi vedeva che ne volevano uno. Ma qualcosa li tratteneva, una paura silenziosa che non nominavano mai. Non ho mai indagato. Alcune cose vanno lasciate alle persone.

Ultimamente, però, avevo notato la distanza tra loro allargarsi, come una crepa nelle fondamenta di una casa. Si amavano ancora, questo era chiaro, ma lamore non sempre basta a tenere insieme due persone.

Poi, una sera, Enrico e Marta rientrarono, ma non erano soli.

Tra loro cera un bambino, non più di dieci anni, il corpo rigido, gli occhi che scrutavano incerti.

“Signora Grazia, questo è Luca. Vivrà con noi,” disse Marta, con una voce più dolce del solito, quasi cauta.

Enrico gli posò una mano sulla spalla, ma il gesto non sembrò tranquillizzarlo.

Luca mi lanciò appena un’occhiata. Annuì veloce, le labbra serrate. Non una sola parola.

“Vieni, ti mostro la tua stanza,” disse Enrico, portandolo via.

Li guardai scomparire nel corridoio, la mente in cerca di una spiegazione. Un bambino? Così, dal nulla?

Per un attimo assurdo, pensai addirittura che lo avessero rubato. Non sarebbe stata la prima volta che quei due si cacciavano nei guai.

“Vuoi spiegarmi cosa sta succedendo?” chiesi a Marta, incrociando le braccia.

Lei sbirciò verso il corridoio e abbassò la voce. “Andiamo in cucina. Lì possiamo parlare.”

Sedute al tavolo, dopo un respiro profondo, Marta mi raccontò tutto. Avevano incontrato Luca al parco. Era scappato dai servizi sociali e, dopo averlo riportato, Marta ebbe unidea audace.

“Sembrava un bambino dolce,” disse, stringendo la tazza di caffè. “Potremmo prenderlo in affido, finché non trova una famiglia definitiva. Sarebbe meglio per tutti.”

“Non pensi sia sbagliato?” incalzai.

“Perché mai?”

“E se si affezionasse? E se iniziasse a vedervi come genitori? E poi dovreste mandarlo da estranei?”

Marta sospirò. “Era già in affido. Sarebbe finito da unaltra famiglia comunque. Con noi, almeno, è al sicuro.”

“Al sicuro per ora,” dissi. “Ma quando dovrete lasciarlo andare?”

Marta esitò. “Enrico la pensava come te. Ma gli ho detto che era la cosa giusta.”

Aveva una risposta per tutto. Potevo discutere, ma la decisione era già presa. A volte, bisogna lasciare che le cose seguano il loro corso.

Luca cambiò le nostre vite in modi inaspettati. Cominciammo a passare più tempo insieme, non come individui sotto lo stesso tetto, ma come una famiglia.

Enrico, che prima si immergeva nel lavoro, ora tornava a casa ogni sera. Voleva esserciper aiutare, per ascoltare, per essere presente.

Vidi lo stress tra lui e Marta attenuarsi. Ridevano di più. Parlavano con calore. Tornarono la coppia di un tempo.

Marta fiorì nel ruolo di madre. Dedicava a Luca tutta la sua attenzione, aiutandolo con i compiti, assicurandosi che avesse tutto. Non sembrava più persa nei suoi pensieri. Aveva uno scopo.

Anchio mi affezionai al bambino. Era curioso, pieno di domande, sempre desideroso di ascoltare le mie storie.

“Comera Enrico da piccolo?” chiedeva, con gli occhi pieni di stupore. Io ridevo e gli dicevo la veritàEnrico era un guaio fin dal principio.

Iniziai a chiedermi se lo avrebbero adottato. Ma non spettava a me chiederlo.

Poi, una sera, Enrico rientrò con unespressione seria. Qualcosa non andava.

“Cosè successo?” chiesi.

“Hanno trovato una famiglia per Luca,” disse Enrico. “Vogliono adottarlo.”

Le mani di Marta si bloccarono sul piatto che stava asciugando. Forzò un sorriso. “È meraviglioso. Avrà finalmente una vera famiglia.” Ma la sua voce tremò.

Guardai entrambi. “E lo date via così?”

Enrico si sfregò le tempie. “Era il piano. Ero contrario fin dallinizio. Ma laffido era solo temporaneo. Non abbiamo tempo per un bambino adesso.”

“Avete retto perfettamente in questi mesi.”

“Abbiamo avuto aiuto,” disse Enrico, guardandomi. “E anche così, è stato difficile.”

Stavo per ribattere quando sentii dei passettini sulle scale. Luca era sulla soglia, il corpo teso, le mani strette a pugno.

“State mentendo,” dissi piano. “Avete bisogno di lui tanto quanto lui ha bisogno di voi, se non di più.”

Il viso di Luca si incrinò. Girò sui tacchi e corse via. Non dissi altro. Scossi la testa e andai in camera mia.

Quella notte, non riuscivo a dormire. La casa era troppo silenziosa.

Poi, poco prima dellalba, sentii qualcosaun rumore nel corridoio. Mi alzai, ma era vuoto. Poi, la porta dingresso si chiuse.

Mi affrettai fuori. Una figurina camminava lungo la strada, con uno zaino sulle spalle.

“Dove credi di andare, giovincello?” chiamai.

Luca si voltò, gli occhi sgranati. “Oh, signora Grazia! Cosa fa qui?”

“Tu cosa ci fai qui?”

“Voglio trovare la mia vera famiglia,” borbottò. “Se Enrico e Marta non mi vogliono, troverò qualcuno che lo faccia. I servizi sociali devono avere dei documenti, ma non me li fanno mai vedere.”

“E come pensi di fare?”

Luca scrollò le spalle.

Sospirai. “Daccordo. Ti aiuterò io.”

I suoi occhi si illuminarono. “Davvero?”

Annui. “Tutti meritano una famiglia.”

Arrivammo davanti allufficio dei servizi sociali. Ledificio sembrava freddo, ostile. Luca si agitava, guardandomi.

“Come pensi di prendere quei documenti?” sussurrai.

Luca si morse il labbro. “Forse potrebbe distrarre la guardia?”

Sospirai. “Va bene. Ma sbrigati.”

Entrammo. Lodore era di vecchia carta e disinfettante. Con un ultimo sguardo, Luca sparì verso gli archivi.

Mi avviai decisa verso lufficio di sicurezza. Bussai. Una giovane guardia mi aprì.

“Sì?”

Era il momento di fare la vecchietta indifesa.

“Oh, cielo,” dissi, stringendomi il petto. “Mi sono persa. Le gambe miTornai verso casa con Luca, sapendo che finalmente aveva trovato la famiglia che cercava.

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