Il Custode del Nostro Spazio

**Il Giardiniere del Nostro Cortile**

Nei primi crepuscoli autunnali, Giulia faceva ritorno a casa. I lampioni, come al solito, non brillavano tutti, e nei cortili non c’era luce. Davanti al portone, ogni autunno si formava una grande pozzanghera, e le macchine parcheggiate non lasciavano spazio per aggirarla. Ma quel giorno, nonostante il pioviggine incessante, la pozzanghera era sparita.

Giulia aprì la porta d’ingresso e si voltò. La luce del portone illuminava l’asfalto bagnato e scintillante. «Non è un’idea mia. Un miracolo, davvero.»

L’ascensore l’aspettava al piano terra, cosa insolita. Di solito, alla sera, era fermo all’ultimo piano. Le porte si aprirono, invitandola a entrare. «Fantastico. No, decisamente è successo qualcosa di magico», pensò Giulia, salendo. Premette il pulsante e lanciò un rapido sguardo al suo riflesso nello specchio appannato.

Un viso spento e stanco, con occhi tristi, la fissava. Giulia distolse lo sguardo e, per abitudine, sistemò una ciocca di capelli sfuggita al berretto. Ma in quel momento, la cabina sobbalzò e si fermò. Le porte si aprirono con un cigoglio, lasciandola sul pianerottolo.

«Sono a casa», disse ad alta voce, accendendo la luce e scacciando l’oscurità che avev riempito l’appartamento.

Sei mesi prima era morta sua madre. Da allora, fra l’appartamento vuoto, Giulia trovava solo solitudine, silenzio e ricordi. Non aveva fretta di tornare e spesso rimaneva in ufficio dopo l’orario. Tutti i colleghi se ne andavano alle sei precise, ma lei restava. Sistemava i documenti, pianificava il lavoro per il giorno dopo. I colleghi non la amavano, la consideravano pedante e intransigente. Ma lei era solo abituata a lavorare con precisione, e pretendeva lo stesso dagli altri.

Prima, a casa, l’attendeva la madre malata, e non c’era tempo per rilassarsi o compiangersi. Prima della malattia, sua madre era stata un’insegnante severa, e aveva cresciuto la figlia con rigore. Giulia aveva imparato a fare tutto alla perfezione per non deluderla, pur con una certa resistenza interiore. E ora era diventata esigente come lei.

Aveva avuto un solo amore nella vita, ma la relazione era finita prima del matrimonio. Sua madre stava già male, e Giulia non aveva voluto trasferirsi dal fidanzato, non poteva abbandonarla. Lui, però, non aveva accettato di vivere in un piccolo appartamento con la futura suocera inferma.

Così, a trentadue anni, Giulia era rimasta sola. Gli uomini in ufficio erano sposati o incapaci di stare senza una nuova conquista. E lei non usciva mai, se non per lavoro. Prima per la madre, ora per la stanchezza e l’indifferenza verso la propria vita. L’attendeva una serata solitaria davanti alla televisione o con un libro.

Un sabato, Giulia si svegliò tardi, si stiracchiò e guardò fuori dalla finestra. Il cortile era coperto da un velo di neve, su cui si stagliavano le impronte scure. Quindi non aveva gelato, e la neve si sarebbe sciolta presto. Le venne voglia di camminare su quel manto bianco, lasciando anche le sue tracce. Si affrettò in bagno.

Ci vuole tanto per essere felici? Un po’ di neve e un fine settimana tranquillo. Dopo colazione, Giulia si vestì e uscì.

«Giulietta, vai al mercato? Mi compri un filone e del pane?» le chiese una voce alle sue spalle.
Era la vicina del primo piano, affacciata alla finestra socchiusa.

«Certo. Ti serve altro?» chiese Giulia.

La vecchietta ci pensò un attimo.

«No, solo pane e filone.» La finestra si richiuse.

Perfetto, almeno aveva uno scopo. Giulia si diresse al mercato, evitando le impronte già tracciaIn primavera, quando i fiori sbocciarono nel cortile, Giulia e Dario si sposarono tra le risate dei vicini e il sole che splendeva su una nuova vita insieme.

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