Il destino bussa alla porta

In un piccolo paesino di mare, dove i gabbiani gridavano sopra le onde, Ginevra trascorse tutta la giornata affaccendata in cucina. Preparò una cena profumata: pesce al forno, patate alle erbe e persino il suo amato dolce, una millefoglie. Stanca ma soddisfatta, sparecchiò il tavolo, lo coprì con una tovaglia bianca e si sedette ad aspettare il marito dal lavoro. Il cuore le batteva un po’ più forte del solito – quel giorno aveva una conversazione importante da affrontare. Finalmente, nella serratura cigolò una chiave, e sulla porta apparve Matteo.

«Ciao, amore mio!» sorrise lui, levandosi il cappotto. «Che occasione speciale? È una festa?» annuì verso la tavola imbandita, piena di piatti appetitosi.

«Matteo, dobbiamo parlare seriamente» disse Ginevra con voce bassa ma ferma. «Riguarda la nostra famiglia.»

Matteo si bloccò, il suo sorriso svanì lentamente e nei suoi occhi comparve un’ombra di preoccupazione.

«Fiorella, come puoi fare una cosa del genere? È tuo figlio!» la voce di Ginevra tremava di indignazione.

«Mio figlio, e allora?» sbuffò Fiorella, sistemandosi i capelli. «Non lo sto abbandonando per sempre, solo per qualche mese!»

«Fiorella, sei fuori di te? È tuo figlio, la tua stessa carne!» Ginevra tratteneva a stento le lacrime.

«Ascolta, Ginevra, te ho già spiegato tutto! Se sei così compassionevole, prenditi tuo nipote a casa tua! Basta, la discussione è chiusa. Con Marco non succederà nulla in pochi mesi, e appena mi sistemo, lo riprendo subito.» Con un gesto brusco, Fiorella si alzò e sbatté la porta uscendo dalla stanza.

Ginevra rimase da sola, sconvolta. Non riusciva a credere che sua sorella fosse capace di una cosa simile. Abbandonare il figlio, anche solo temporaneamente, in un orfanotrofio? Era inconcepibile. Ma prendere Marco con sé non era una possibilità.

Lei e Matteo vivevano con le loro due figlie nell’appartamento della suocera, Elisabetta. L’appartamento di due stanze era angusto, e la suocera non sopportava la nuora. Anche con le nipoti era fredda, tollerandole solo per amore del figlio. Ginevra sapeva che Matteo era la luce degli occhi di Elisabetta. Se non fosse stato per lui, probabilmente la suocera non avrebbe mai permesso al figlio di sposarsi, soprattutto con Ginevra.

Una volta, Ginevra aveva sentito per caso Elisabetta lamentarsi con le vicine: «Quella ragazza ha stregato mio figlio, come si spiega altrimenti il suo affetto per lei?» All’inizio, la suocera era stata tollerante, ma tutto cambiò quando Ginevra e Matteo annunciarono di aspettare un bambino. Da allora, Elisabetta divenne insopportabile. In presenza del figlio si tratteneva, ma appena Matteo usciva per il lavoro, si trasformava: commenti taglienti, rimproveri, frecciate. A volte Ginevra pensava di non farcela più, ma per le bambine serrava i denti e sopportava.

Con Matteo non si lamentava mai. Dubitava che le avrebbe creduto – lui adorava quella madre che considerava dolce e premurosa. E poi, come dirgli che la sua “madre perfetta” tormentava la moglie? Ginevra sognava di andarsene, ma non aveva un posto dove andare.

Lei e Fiorella erano cresciute in un orfanotrofio. Al momento dell’uscita, gli dissero che non avrebbero avuto una casa – c’era quella in campagna ereditata dai genitori, ma nessuno si era preoccupato di verificare se fosse abitabile. Arrivate al villaggio natale, le sorelle trovarono solo una casupola diroccata col tetto sfondato. Vivere lì era impossibile, e lavoro non ce n’era. Senza perdere la speranza, tornarono in città.

Ginevra cercava di non ricordare tutte le difficoltà passate. Ma la sorte le aveva sorriso – aveva incontrato Matteo. Si sposarono, e presto nacquero le gemelle. Fiorella, invece, ebbe meno fortuna. Viveva in una stanza affittata con il piccolo Marco, di cui non amava parlare del padre, se non per dire una volta che era sposato e che con lui non c’era futuro.

Marco aveva un anno in meno delle gemelle di Ginevra, che lo adorava. Fiorella sembrava amare il figlio, ma la sua decisione recente aveva sconvolto Ginevra. Fiorella aveva conosciuto “l’uomo dei suoi sogni”, un certo Vittorio. Ginevra non lo aveva mai visto, ma secondo la sorella era perfetto. Lei non la pensava così. Un uomo vero, pensava, non avrebbe respinto il figlio della donna che amava, anche se non era suo. Vittorio, invece, insisteva perché Marco fosse mandato in un orfanotrofio – “temporaneamente”. Fiorella, accecata dall’amore, accettò.

Ginevra provò a dissuaderla, ma Fiorella rimase irremovibile: «Vittorio si abituerà, e poi riprenderemo Marco.» Ma Ginevra sapeva che non sarebbe successo. Marco avrebbe rivissuto la loro stessa infanzia, e a Fiorella, pareva non importare. Ma Ginevra non poteva permettere che il nipote finisse in un orfanotrofio.

Sapeva che portare Marco dalla suocera era impossibile – Elisabetta già sopportava a stento lei e le gemelle. Ma non poteva nemmeno tacere. Decise di parlare con Matteo. Era suo marito, la amava, doveva aiutarla.

Tutto il giorno Ginevra preparò la cena, cucinò una torta, per creare un’atmosfera serena per il discorso. Quando Matteo tornò, raccogliendo tutto il suo coraggio, gli raccontò tutto.

Ma la reazione del marito la lasciò sbalordita. Invece di sostenerla, Matteo scatenò una lite, chiamando in aiuto la madre. Elisabetta e il figlio gridarono insieme, accusando Ginevra. La suocera urlò che doveva essere grata per il tetto sopra la testa, invece di “portare a casa un bambino che non è suo”. Matteo annuiva, come se Ginevra e le figlie fossero estranei.

Alla fine, le diedero un ultimatum: dimenticarsi del nipote e vivere secondo le loro regole, o andarsene. Quando lo sentì, Ginevra sentì il terreno mancarle sotto i piedi.

La mattina dopo, radunò le bambine e se ne andò. Non sapeva dove dirigersi, ma restare in quella casa era insopportabile. Improvvisamente ricordò che alla clinica una donna le aveva parlato di un centro d’aiuto per donne in difficoltà. Decise di provare a rivolgersi lì.

Al centro la accolsero con calore. Saputo della situazione con Marco, le permisero di portarlo. Così, per Ginevra iniziò un nuovo capitolo.

Una settimana dopo, Matteo si presentò al centro. La supplicò di tornare, giurando che le mancava lei e le figlie. Ma tra le righe lasciò capire che i vicini li criticavano per “aver cacciato la moglie con le bambine”. Quelle parole misero tutto in chiaro. Ginevra capì: Matteo non cercava lei, ma la sua reputazione. Lo cacciò via.

Dopo quel discorso, le rimase un sapore amaro nel cuore. Come aveva potuto fingere per anni, parlando d’amore? Non trovava risposta.

Due settimane dopo, una volontaria del centro, Anna, le propose di trasferirGinevra accettò con gratitudine e, con i bambini al seguito, trovò finalmente la pace in una nuova vita, costruita con fatica ma ricca di amore e dignità.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

1 + nineteen =

Il destino bussa alla porta