Oggi voglio raccontare una storia che mi ha cambiato la vita.
Vivevo in un piccolo paese di mare sulla costa ligure, dove i gabbiani volavano sulle onde spumeggianti. Quella sera, passai tutto il giorno in cucina a preparare una cena speciale: branzino al forno, patate aromatiche e persino una millefoglie, il dolce preferito di mio marito. Stanca ma soddisfatta, sparecchiai, stesi una tovaglia bianca e attesi che Luca tornasse dal lavoro. Il cuore mi batteva più forte del solito: quella sera dovevamo parlare di una cosa importante. Finalmente, sentii il rumore della chiave nella serratura, e lui apparve sulla soglia.
“Ciao, amore mio!” disse sorridendo mentre si toglieva il cappotto. “Che occasione speciale? Festeggiamo qualcosa?” Indicò la tavola imbandita con un cenno del capo.
“Tesoro, dobbiamo parlare,” dissi con voce ferma ma calma. “Riguarda la nostra famiglia.”
Luca si bloccò, il sorriso svanì e nei suoi occhi comparve un’ombra di preoccupazione.
—
“Daniela, come puoi fare una cosa del genere? È tuo figlio!” La mia voce tremava di rabbia.
“Mio figlio, e quindi?” replicò lei, sistemandosi i capelli con noncuranza. “Non lo lascio lì per sempre, solo per qualche mese!”
“Daniela, sei fuori di testa? È tuo figlio, è sangue del tuo sangue!” Trattenevo a stento le lacrime.
“Ascolta, Alessia, te l’ho già spiegato! Se sei così sensibile, prenditi tuo nipote con te! Basta, la discussione è chiusa. Con Matteo non succederà nulla in quel periodo, e appena mi sistemo lo riprendo.” Si alzò di scatto e sbatté la porta alle mie spalle.
Rimasi lì, sconvolta. Non potevo credere che mia sorella fosse capace di una cosa simile. Abbandonare suo figlio, anche solo temporaneamente, in un orfanotrofio? Era inconcepibile. Ma portare Matteo da me non era un’opzione.
Vivevamo con Luca e le nostre due figlie nell’appartamento di mia suocera, Maria Grazia. La casa, di due stanze, era stretta e lei non mi aveva mai sopportata. Anche con le nipotine era fredda, tollerandole solo per amore di suo figlio. Sapevo che Luca era l’unica luce negli occhi di Maria Grazia. Senza di lui, forse non avrebbe mai permesso che suo figlio si sposasse, soprattutto con me.
Una volta, casualmente, sentii Maria Grazia lamentarsi con le vicine: “La moglie di Luca l’ha stregato, come si spiega altrimenti il suo amore per lei?” All’inizio mi tollerava, ma tutto cambiò quando annunciai a Luca che aspettavamo un bambino. Da quel giorno, divenne insopportabile. Con suo figlio si controllava, ma non appena Luca usciva per lavoro, diventava un’altra persona: commenti taglienti, rimproveri, provocazioni. A volte pensavo di non farcela più, ma per le bambine serravo i denti e resistevo.
Non mi lamentavo mai con Luca. Temevo che non mi avrebbe creduto: amava sua madre, la considerava dolce e premurosa. E poi, come potevo dirgli che la sua “madre perfetta” mi torturava? Sognavo di andarmene, ma non avevo un posto dove andare.
Io e Daniela eravamo cresciute in un orfanotrofio. Quando arrivò il momento di lasciarlo, ci dissero che non ci avrebbero dato una casa perché avevamo ereditato una proprietà nel paese dei nostri genitori. Ma nessuno si preoccupò di verificare se fosse abitabile. Arrivate là, trovammo solo una rovina con il tetto sfondato. Vivere lì era impossibile, e lavoro in quel paesino non ce n’era. Senza perdere la speranza, tornammo in città.
Cercavo di non ricordare tutte le difficoltà che affrontammo. Ma poi la fortuna mi sorrise: conoscii Luca. Ci sposammo, e poco dopo nacquero le nostre gemelle. A Daniela andò peggio. Viveva in una stanza affittata con il piccolo Matteo, di cui non parlava mai del padre: una volta soltanto accennò che era sposato e che non c’era futuro per loro.
Matteo aveva un anno in meno delle mie figlie, e io lo adoravo. Daniela sembrava volergli bene, ma la sua decisione recente mi aveva sconvolta. Aveva conosciuto “l’uomo dei suoi sogni”, Vittorio. Non l’avevo mai incontrato, ma secondo lei era perfetto. Io la pensavo diversamente. Un uomo vero, pensavo, non avrebbe mai respinto il figlio della donna che amava, anche se non era suo. Vittorio invece aveva insistito che Matteo andasse in un istituto—”temporaneamente”. Daniela, accecata dall’amore, aveva accettato.
Cercai di convincerla, ma lei si intestardì: “Vittorio si abituerà, e poi riprenderemo Matteo.” Sapevo che non sarebbe successo. Matteo avrebbe seguito le nostre orme, e a Daniela sembrava non importare. Ma io non potevo permettere che mio nipote finisse in un orfanotrofio.
Portarlo da Maria Grazia era impossibile—sopportava a malapena me e le bambine. Ma non potevo nemmeno stare zitta. Decisi di parlarne con Luca. Era mio marito, mi amava, doveva aiutarmi.
Passai tutto il giorno a cucinare e preparare la torta, creando un’atmosfera serena per la conversazione. Quando tornò, mi feci coraggio e gli raccontai tutto.
Ma la sua reazione mi lasciò senza fiato. Invece di sostenermi, iniziò a gridare, chiamando in aiuto sua madre. Maria Grazia e Luca mi accusarono a turno. Mia suocera urlò che dovevo essere grata per il tetto sotto cui vivevo, invece di “portare in casa un bambino estraneo”. Luca annuiva, come se io e le nostre figlie fossimo estranee.
Alla fine mi diedero un ultimatum: dimenticarmi di mio nipote e vivere alle loro condizioni, o andarmene. Sentii il terreno mancarmi sotto i piedi.
La mattina dopo, feci le valigie per me e le bambine e me ne andai. Non sapevo dove andare, ma restare in quella casa era impossibile. Poi ricordai che una donna in farmacia mi aveva parlato di un centro di aiuto per donne in difficoltà. Decisi di rivolgermi a loro.
Al centro mi accolsero con calore. Quando seppero della situazione di Matteo, mi permisero di portarlo con me. Fu l’inizio di una nuova vita.
Una settimana dopo, Luca si presentò al centro. Mi implorò di tornare, giurando che ci mancava. Ma tra le righe, lasciò capire che i vicini lo criticavano, insieme a sua madre, per aver “cacciato la moglie e le figlie”. Quelle parole misero tutto in chiaro. Capii che Luca non voleva me, ma la sua reputazione. Lo mandai via.
Dopo quel discorso, mi rimase un’amarezza profonda. Come aveva potuto fingere amore per tutti quegli anni? Non trovavo risposte.
Due settimane dopo, una delle operatrici, Francesca, mi propose di trasferirmi in un piccolo paese vicino. Aveva una casetta modesta ma abitabile e mi avrebbe aiutata a trovare lavoro. Accettai senza pensarci due volte. Non temevo il lavoro, e una casa era ciò che ci serviva.
Ben presto, io e i bambini ci trasferimmo in campagna. Ci aiutarono a iscrivere le bambine e Matteo all’asilo, ma dovemmo chiamare Daniela per i documenti. Arrivò, sistemò la burocrazia per suo figlio, ma non resisté a un ultimo rimprovero: “Se l’avessi lasciato all’orfanotrofio, non avresti avuto problemi.”Litigammo, e Daniela se ne andò, lasciando Matteo con me, mentre il sole del tramonto tingeva di oro i campi di grano, e capii che, nonostante tutto, la felicità era ancora possibile.