**Provvidenza…**
**Giulia**
Era la fine di maggio, ma la calura estiva durava già da due settimane. Giulia salì sull’autobus e subito se ne pentì. L’ora di punta, la folla, l’aria pesante. La schiacciavano da ogni lato e il vestito si era già appiccicato alla pelle sudata. Qualcuno le diede una dolorosa spinta nella schiena.
“Andate avanti, qui siamo tutti di fretta! Una come te dovrebbe camminare, occupa troppo spazio,” borbottò una voce anziana dietro di lei.
“Neanche tu sei un filo d’erba, eh? Spostati!” ringhiò un uomo con voce roca, spingendola così forte da toglierle il fiato.
“Ahi, mi hai schiacciato, malandrino!” si lamentò una donna alle sue spalle.
Le porte sbatterono e l’autobus partì. Dietro a Giulia, la donna e l’uomo continuavano a spintonarsi e litigare.
“Ma che hai che sei così arrabbiata?”
“Tu stai zitto. Già non si respira, e poi c’è il tuo alito di vino!” ribatté la donna senza farsi sfuggire l’occasione.
Giulia non riusciva a vedere chi parlava. Non poteva nemmeno girarsi senza finire col naso contro una spalla. Afferrarsi a qualcosa era impossibile: le braccia incastrate, i corpi che le bloccavano la vista.
L’autobus procedeva a scatti, frenando e accelerando bruscamente. I passeggeri si muovevano come cetrioli in un barattolo, salvandosi dalla caduta solo grazie alla ressa. Dai finestrini entravano folate d’aria che rinfrescavano i volti arrossati, ma ad ogni semaforo riprendevano litigi e spintoni.
Giulia non si unì al coro di lamentele. Serrava le labbra, sognando di scendere, di respirare, di tornare a casa, liberarsi dei vestiti umidi e farsi una doccia fresca. L’autobus ripartì e la folla oscillò.
“Ehi, autista, attento! Non stai trasportando legna!” urlò l’uomo roco. “Tu stai al fresco col ventilatore, e noi qui a cuocere…”
L’autobus rallentò per fermarsi.
“Non si sale più, siamo già stretti come sardine! Qualcuno scende?”
“Io! Io scendo! Aprite le porte!” gridò Giulia, incapace di sopportare un altro minuto in quel forno.
Le porte si aprirono a fatica, lasciando uscire prima la donna, poi l’uomo e infine Giulia, che ricevette un ultimo pugno sulla spalla.
“Mucca! Solo per una fermata ci fai soffrire così!”
Giulia non fece in tempo a rispondere. La donna sparì tra la folla, le porte si chiusero e l’autobus ripartì. Decidendo di non aspettare il prossimo, Giulia si incamminò a piedi, ingoiando lacrime di rabbia. Nelle orecchie le risuonava ancora quel “Mucca!”
Se lo sentiva dire da sempre. A scuola la chiamavano “mucca”, “ippopotamo”, “mammut”. Avrebbe dovuto abituarsi, ma non ci riusciva. Era colpa sua se era nata così? I medici non trovavano nulla di sbagliato in lei.
“Mamma, perché mi hai fatta così? A chi servirò mai, grassa come sono?” piangeva tornando da scuola. “Se avessi sposato un uomo magro, sarei nata snella come te. Invece eccomi qui, condannata.”
“Non sei grassa, sei robusta. Il cuore non si comanda. Tuo padre era un bell’uomo, le donne lo guardavano. Hai preso da lui. Vediamo per chi cadrai tu,” sbuffava la madre.
“Non mi sposerò mai. Chi potrebbe amarmi così?” singhiozzava.
“Qualcuno lo troverai. Non tutti gli uomini cercano l’ossuta. E poi, molte magre ingrassano dopo i figli,” cercava di consolarla.
Giulia provò diete, digiuni, corse al mattino. Ma il corpo chiedeva cibo, e le ragazze snelle la guardavano con sufficienza.
“Ah, ecco perché il marciapiede è scivolato: c’è il grasso che cola!” commentò un ragazzo passandole accanto.
Così Giulia smise di correre, di lottare. Evitò gli specchi.
Poi sua madre si ammalò gravemente. Nemmeno allora, tra le preoccupazioni, Giulia perse peso. Neanche dopo il funerale, quando per giorni non riuscì a mangiare.
A trentatré anni, nessun amore, nessuna famiglia all’orizzonte. “Basta autobus,” decise. “Andrò a piedi.”
Ma il giorno dopo, un autobus quasi vuoto si fermò alla sua fermata. Capita. Salì, prese la tessera per timbrare, quando l’autobus partì di scatto. Giulia non fece in tempo ad aggrapparsi e venne scagliata all’indietro. “Cadrò e mi romperò la testa,” pensò…
***
**Luca**
Quella mattina Luca salì in macchina, girò la chiave, ma il motore non partì. Dopo cinque minuti di tentativi, chiamò il carro attivo e portò l’auto dal meccanico.
Arrivò in ufficio in taxi, in ritardo. Senza fretta di tornare a casa vuota, decise di camminare, ma un autobus semivuoto si fermò davanti a lui. Non prendeva i mezzi da anni. “Il 24 va proprio verso l’officina,” pensò. Senza pensarci due volte, salì.
In seguito avrebbe ripensato a quel giorno come a un segno del destino. La macchina rotta, quell’autobus, la scelta di andare dall’altro lato della città invece che a casa. Tutto era accaduto per un motivo.
Si era sposato con una donna bellissima, un modello di perfezione. Ne era orgoglioso, sotto gli sguardi ammiravoli degli uomini e invidiosi delle donne. Elena era fredda come una statua, però. Non amò mai nessuno, nemmeno se stessa. Solo il suo corpo perfetto.
Passava il tempo a studiare diete, a dimagrire, anche se ormai non ne aveva bisogno. A Luca sarebbe piaciuto vederla con qualche chilo in più, più morbida, più femminile.
Mangiava solo insalate. Presto Luca, stanco di “vivere d’erba”, le chiese di cucinare carne.
“Non lamentarti. Anche un uomo deve tenersi in forma. A pranzo mangi schifezze, la cena deve essere leggera. Se ingrassi, smetterò di amarti,” diceva Elena.
Di notte sognava bistecche succulente e sospirava nel sonno. Quando non ne poteva più, andava a cena da sua madre, che lo riempiva di cibo e brontolava: “Hai sposato una bella statua, ma che moglie è? Una vera donna sa cucinare!”
“E i figli? Li nutrirai con l’insalata? Non ha neanche la forza per portarne uno in grembo,” aggiungeva.
A Luca piaceva l’idea di una famiglia, di una moglie che sapesse fare la pasta al forno, ma amava Elena. Finché capì che non amava più la donna fredda che era diventata. Meglio solo che morire di fame accanto a una modella. Si lasciarono senza drammi.
Le notti solitarie le passava a sognare una famiglia, una moglie affettuosa, bambini. Immaginava cene rumorose, amici che lodavano i suoi piatti. Ma le donne che incontrava non lo facevano vibrare. E le magre non le guardava nemmeno.
Poi, su quell’autobus, vide una ragazza in un vestito colorato. Stava per timbrare il biglietto quando il mezzo partì di scatto. Lei, senza appiglio, venne scagliata all’indietro. SareLuca la afferrò prima che cadesse, e mentre la stringeva sentì che finalmente aveva trovato la donna che cercava, una che non aveva bisogno di essere perfetta per essere amata.