Il diritto a seguire il proprio cammino

Un raggio di sole accecante filtra attraverso le tende, illuminando i volti tesi attorno al tavolo da pranzo, ma nemmeno il suo calore riesce a sciogliere il gelo che avvolge l’ampio salotto.

— Io e Ginevra vorremmo vivere qui per un paio d’anni — dice Matteo con fermezza, cercando di nascondere il tremore nella voce. — Ci aiuterà a risparmiare per un appartamento nostro.

Ginevra, seduta accanto a lui, si tormenta il bordo della tovaglia. Di fronte a loro, Elisabetta, la madre di Matteo, resta immobile con un coltello in mano, come se volesse tagliare non il pane ma l’idea stessa. Vittorio, il padre, sorseggia il tè pensieroso, evitando gli sguardi.

— Vivere qui? — Elisabetta posa lentamente il coltello. — Con questa… tua moglie?

— Sì, mamma, con mia moglie — ribatte Matteo, sottolineando le ultime parole. — Siamo stanchi di affittare. Sarà temporaneo, finché non avremo abbastanza per il mutuo.

— Abbiamo lo spazio — interviene Vittorio, mettendo giù la tazza. — Due stanze sono vuote. Perché non aiutare i ragazzi?

Elisabetta lancia al marito un’occhiata carica di rimprovero:
— E a me qualcuno ha chiesto il parere? Devo tollerare un’estranea in casa mia?

— Ginevra non è un’estranea — replica Matteo, sentendo la rabbia ribollirgli dentro. — È la mia famiglia.

— Famiglia! — sbuffa la madre. — È un capriccio, Matteo. La vedo dentro e fuori. Pensi che ti ami? A lei interessa il nostro appartamento, i tuoi soldi, la tua parte!

Matteo stringe i pugni. È la solita storia, ripetuta infinite volte. Dal primo giorno in cui ha conosciuto Ginevra, sua madre l’ha odiata senza motivo, senza ragione. Forse perché è stata lei a rompere l’equilibrio, a sottrarre Matteo al controllo materno.

— Mamma — cerca di mantenere la calma — un terzo di questa casa è mio, per volontà della nonna. Ho il diritto di viverci.

Elisabetta impallidisce:
— Mi stai minacciando? Tua madre? È stata lei a suggerirtelo, vero? Ti ha insegnato a ricattarmi?

— Basta, Lisa — interviene Vittorio alzando la voce. — Matteo ha ragione. Anche questa è casa sua.

— Allora che viva nel suo terzo! — Elisabetta si alza di scatto. — Nella soffitta! O in terrazza!

Matteo si alza lentamente, esaurita la pazienza:
— Bene. Se non vuoi fare a modo mio, venderò la mia parte. E credimi, troverò dei vicini che ti faranno pentire. Ti immagini vivere con chi ascolta musica a tutto volume o colleziona serpenti?

— Non oserai — sibila Elisabetta.

— Hai una settimana per decidere — dice Matteo, dirigendosi verso l’uscita. — Poi chiamo l’agenzia immobiliare.

Nell’ingresso si ferma, cercando di calmare il tremore. Non ha mai sfidato così sua madre. Ma per Ginevra, per il loro futuro, è pronto a tutto.

Tornato nell’appartamento in affitto, Matteo legge l’ansia negli occhi di Ginevra.
— Com’è andata? — chiede lei, già intuendo la risposta dal suo volto cupo.

— Come al solito — si lascia cadere sul divano. — Mio padre è con noi, mia madre contro. Ma le ho fatto capire: o ci ospitano o vendo la mia parte.

Ginevra fa una smorfia:
— Matteo, forse è meglio lasciar perdere…

— No — taglia corto lui. — Non mi arrendo. Deve accettarti.

Passa una settimana senza risposta. L’ottavo giorno, Matteo chiama l’agenzia:
— Voglio vendere la mia quota. Velocemente e a poco prezzo.

Tre giorni dopo, i primi “compratori” bussano alla porta dei genitori: due uomini tatuati che odorano di alcool. Vittorio li accoglie con un sorriso:
— Entrate pure, date un’occhiata! Una quota in un bel appartamento, in centro!

— E dove sarebbe il nostro terzo? — borbotta uno, scrutando il salotto. — Dormiamo in bagno?

— Questa è una questione legale — fa l’occhiolino Vittorio. — Tecnicamente, l’appartamento è in comproprietà.

Elisabetta, sentendo il rumore, esce dalla camera:
— Chi sono questi? — la sua voce trema di indignazione.

— Dei potenziali acquirenti, cara — risponde tranquillo il marito. — Sono interessati alla quota di Matteo.

— Fuori! — urla lei. — Nessuno vivrà nella mia casa!

Il giorno dopo arrivano una coppia eccentrica, che parla della sua collezione di insetti tropicali. Elisabetta impallidisce sentendo parlare di “ragni innocui grandi come una mano”. Il terzo visitatore è peggio: un uomo che si definisce un amante delle meditazioni notturne con i tamburi.

Al quarto giorno, Elisabetta cede e chiama Matteo:
— Vuoi davvero vendere a dei pazzi?

— Ti avevo avvertito — risponde lui freddo. — Avevi una possibilità.

— Va bene — mormora a denti stretti. — Che venga la tua Ginevra. Ma ci saranno delle regole!

Quella sera, Matteo va da solo a discutere le condizioni. Ginevra resta a casa: non vuole che subisca altre umiliazioni.

— Dimmi le tue regole — dice, guardando la madre negli occhi.

— Niente sue cose in salotto o in cucina — inizia Elisabetta. — Se cucina, pulisce. E niente ospiti!

— Ora le mie condizioni — incrocia le braccia Matteo. — Io e Ginevra prendiamo la camera e lo studio. Useremo tutta la casa come voi. E soprattutto: smetterai di insultarla. Un solo affronto e vendo la mia parte. Senza avvertimenti.

Elisabetta serra i denti, ma annuisce:
— D’accordo. Ma è temporaneo.

Il trasloco avviene una settimana dopo. Ginevra e Matteo portano solo l’essenziale, lasciando i mobili nell’appartamento affittato. Vittorio li aiuta a portare le scatole:
— Ecco la vostra stanza. Sistematevi.

— Grazie, papà — Matteo abbraccia il padre.

Elisabetta resta in disparte, le braccia conserte. Ginevra cerca un contatto:
— Salve, Elisabetta. Grazie per averci ospitato.

— Figurati — risponde secca, tornando in cucina.

Da subito inizia una guerra silenziosa. Elisabetta evita di parlare direttamente con Ginevra, passando ogni comunicazione tramite Matteo o Vittorio. Nasconde le stoviglie, accende l’aspirapolvere alle sette del mattino quando dormono, controlla che tutto sia perfetto dopo che Ginevra ha cucinato.

Ginevra cerca di non reagire. Si occupa delle pulizie, della lavanderia, prepara la cena, sperando in un briciolo di rispetto. Ma un giorno trova il suo taccuino strappato nel cestino. Un’altra volta, la sua crema per il viso è spremuta nel lavandino.

— Mi odia — confessa a Matteo dopo due mesi. — Forse dovremmo andarcene.

— No — risponde lui. — Non molleremo. Parlerò con lei.

La conversazione è dura. Matteo ricorda alla madre della minaccia di vendita. Elisabetta esplode:
— Sei diventato un estraneo, Matteo! Mi ricatti per quella ragazza!

— Non è ricatto — dice fermo. — SonoElisabetta finalmente abbassa lo sguardo, e con un sospiro ammette: “Forse è ora di cambiare,” mentre fuori il sole del pomeriggio tinge di oro le strade di Roma.

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