Il Dolcetto della Riconciliazione

— Giulia, te lo giuro, se quel signor Enrico bussa ancora al soffitto, lo denuncio per mobbing! — Matteo, in piedi nell’ingresso, strofinava con rabbia le impronte di zampe dal linoleum. La sua voce tremava di collera, e la maglietta era zuppa di sudore nonostante la frescura della sera. Arturo, scodinzolando colpevole, masticava un papero di gomma vicino alla porta.

— Matteo, piano, i bambini dormono, — Giulia, seduta sul divano a lavorare a maglia, si massaggiò le tempie. I suoi ferri si fermarono, mentre sulle ginocchia riposava un berretto per bambini a metà. — E niente denunce, è troppo. Lui è solo… pignolo. Gli parlerò, cercherò di spiegare.

— Spiegare? — Matteo lanciò lo straccio nel secchio, gli occhi gli brillarono. — Ieri nell’androne urlava che Arturo “puzza” e “rovinava i suoi fiori”! Giulia, il nostro cane non va neanche nelle aiuole!

— Lo so, lo so, — Giulia posò il lavoro a maglia, la voce dolce ma tesa. — Ma è nostro vicino, Matteo. Se iniziamo una guerra, non vivremo più tranquilli. Farò una crostata, proverò a rabbonirlo.

Matteo sbuffò, osservando Arturo che aveva lasciato cadere il papero e ora leccava il pavimento.

— Una crostata? — scosse la testa. — Va bene, prova. Ma se scrive un’altra lamentela all’amministratore, non rispondo di me.

Giulia e Matteo, una giovane coppia con due figli — il piccolo Luca di otto anni e la piccola Sofia di sei — vivevano in quel palazzo di cinque piani da cinque anni. Adottando Arturo, sognavano passeggiate allegre e risate di bambini, ma il vicino meticoloso del piano di sopra, il signor Enrico, aveva dichiarato guerra al cucciolo. Ora l’androne era diventato un campo di battaglia, e l’odore di lana canina si mescolava alle lamentele.

Tutto iniziò una settimana dopo l’arrivo di Arturo. Giulia, tornando dalla passeggiata mattutina, notò che i gerani nei vasi all’ingresso, che il signor Enrico annaffiava con maniacale precisione, erano calpestati. Pensò fossero stati i ragazzini del quartiere, ma quella sera bussarono alla porta. Sulla soglia c’era il signor Enrico — magro, con la camicia stirata, un taccuino e una penna, come un investigatore.

— Giulia, è il tuo cane che ha rovinato i miei gerani? — la sua voce era secca, gli occhiali luccicavano sotto la fioca luce. — Li coltivo da tre anni, e ora sono distrutti!

— Signor Enrico, mi dispiace, — Giulia si irrigidì, trattenendo Arturo dal collare. — Ma è sempre al guinzaglio, lo controlliamo. Forse è stato qualcun altro?

— Qualcun altro? — strizzò gli occhi, scrivendo qualcosa sul taccuino. — L’androne puzza di cane, ci sono impronte ovunque, e dici “qualcun altro”! Toglilo, o scrivo all’amministratore!

Giulia sorrise forzatamente, chiudendo la porta. Arturo, confuso, le sfiorò le ginocchia col muso. Quella sera raccontò tutto a Matteo, che sbucciava patate in cucina.

— È impazzito? — Matteo gettò il coltello, il volto rosso. — Arturo non abbaia neanche nell’androne! Dovrei parlargli, senza tanti giri di parole.

— No, — Giulia scosse la testa, mescolando la minestra. — È solo, si attacca alle cose per noia. Proverò a rabbonirlo con una crostata.

Il giorno dopo, Giulia preparò una crostata di mele e cannella e bussò alla porta del signor Enrico. L’odore di lucido per mobili la accolse: non un granello di polvere, solo vasi di violette sul davanzale, una radio antica e un divano impeccabile.

— Signor Enrico, le ho portato una crostata, — sorrise, porgendo il pacchetto avvolto nella stagnola. — Possiamo parlare di Arturo? Non è colpa sua per i fiori, lo teniamo d’occhio.

— Una crostata? — annusò il pacchetto con sospetto. — Furba, Giulia. Entra, ma solo un minuto. Quel cane abbaia al mattino, sporca l’androne, puzza. È inaccettabile!

— Abbaia raramente, — disse Giulia, sedendosi sul bordo della sedia. — E puliamo le impronte. Forse sono stati i bambini a rovinare i fiori?

— Bambini? — sbuffò, annotando qualcosa. — I bambini non hanno zampe. Toglietelo, o agirò.

Giulia se ne andò, sentendo che la crostata non aveva funzionato. Quella sera, nell’androne apparve un avviso scritto a mano: “Si prega di rimuovere il cane! Rovina i fiori e disturba! E.R.” Matteo, vedendolo, strappò il foglio.

— È guerra! — gridò nell’ingresso. — Vado a dirgliene quattro!

— Matteo, no, — Giulia lo trattenne mentre infilava le scarpe. — Proviamo ancora. Se non funziona, decideremo.

Alla fine della settimana, la situazione era insostenibile. Il signor Enrico bussava al soffitto ogni volta che Arturo abbaiava, anche per un attimo. Appiccicava nuovi avvisi: “Il cane puzza!”, “Impronte ovunque!”, e chiamò l’amministratore lamentando “rischio sanitario”. Giulia, tornando da una passeggiata, lo trovò a misurare le impronte con un righello.

— Cosa fa? — chiese, trattenendo Arturo che cercava di avvicinarsi.

— Raccolgo prove, — aggiustò gli occhiali. — Queste impronte sono del vostro cane! Le fotograferò e le manderò all’amministratore!

— Non è Arturo, — Giulia alzò la voce. — È un cucciolo, ha le zampe più piccole! E non tocca i fiori!

— Un fantasma, allora? — annotò qualcosa. — Toglietelo, o andrò avanti!

Giulia tornò a casa furiosa. Matteo, sentendo il racconto, sbatté il giornale sul tavolo.

— Ora basta! — si alzò. — Gli dirò due parole!

— Calmati, — Giulia lo afferrò per il braccio. — Troveremo un modo, senza drammi.

Il giorno dopo, Giulia preparò un ciambellone e bussò di nuovo al signor Enrico. Lui si irrigidì sulla porta.

— Basta dolci, — incrociò le braccia. — Quel cane è una minaccia. Stamattina ha abbaiato alle sette, non ho dormito!

— Era il campanello, — sospirò Giulia. — Proviamo a trovare un accordo: noi puliamo, lei smette di lamentarsi.

— Accordi? — sbuffò. — So chi è colpevole! Toglietelo!

Giulia se ne andò delusa. Ma quella sera Sofia, aiutando ad annaffiare, notò qualcosa.

— Mamma, guarda! — indicò un vaso. — Ci sono peli di gatto! Non è Arturo!

Era la svolta.

Luca e Sofia decisero di “catturare” il vero colpevole. Si nascosero dietro i bidoni con il telefono.

— Filmeremo il gatto! — sussurrò Luca. — Così smettono di incolpare Arturo!

Il giorno dopo, filmarono Romeo, il gatto del signor Enrico, che scavava nei vasi e sgattaiolava in casa sua. Mostrarono ilCon il video in mano, Giulia sorrise mentre il signor Enrico, arrossendo, accarezzava Romeo e borbottava: “Forse… possiamo tutti vivere in pace”.

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