Il Dolciotto della Riconciliazione

*Il Dolce della Riconciliazione*

“Giorgia, lo giuro, se quel signor Paolo Romano batte ancora sul soffitto, lo denuncio per mobbing!” Antonio, in piedi nell’ingresso, strofinava furiosamente le zampe del cane sul linoleum. La voce gli tremava dalla rabbia, e la maglietta era zuppa di sudore nonostante la frescura della sera. Birillo, scodinzolando colpevole, masticava un pupazzo di gomma vicino alla porta.

“Antonio, piano, i bambini dormono.” Giorgia, seduta sul divano con la maglia tra le mani, si massaggiò le tempie. I ferri da maglia si fermarono, e sulle sue ginocchia riposava un berretto per bambini a metà. “E niente denunce, è troppo. È solo… pignolo. Gli parlerò io, cercherò di spiegare.”

“Spiegare?” Antonio lanciò lo straccio nel secchio, gli occhi gli brillarono. “Ieri nel palazzo ha urlato che Birillo ‘puzza’ e ‘gli rovina i fiori’! Giorgia, il nostro cane non va neanche nei vasi!”

“Lo so, lo so,” Giorgia posò la maglia, la voce era dolce ma tesa. “Ma è il vicino, Antonio. Se iniziamo una guerra, non avremo pace. Farò una torta, cercherò di rabbonirlo.”

Antonio sbuffò, guardando Birillo che aveva lasciato il pupazzo e ora leccava il pavimento.

“Una torta?” Scosse la testa. “Va bene, prova. Ma se scrive un’altra lettera all’amministratore, non mi ritengo responsabile.”

Giorgia e Antonio, una giovane coppia con due bambini — Matteo di otto anni e Sofia di sei — vivevano in quel palazzo da cinque anni. Con Birillo, avevano sognato passeggiate felici e risate, ma l’ipercritico vicino del piano di sopra, il signor Romano, aveva dichiarato guerra al cucciolo. Ora l’androne era un campo di battaglia, e l’aria sapeva non solo di pelo, ma anche di lamentele.

Tutto era iniziato una settimana dopo l’arrivo di Birillo. Giorgia, tornata dalla passeggiata mattutina, notò che i gerani nei vasi all’ingresso, che il signor Romano annaffiava con maniacale precisione, erano calpestati. Pensò fossero i ragazzini del quartiere, ma quella sera bussarono alla porta. Sulla soglia c’era il signor Romano — magro, con la camicia stirata, un taccuino e una penna, come un investigatore in missione.

“Giorgia, è stato il tuo cane a schiacciare i miei gerani?” La voce era secca, gli occhiali luccicavano alla fioca luce del corridoio. “Li coltivo da tre anni, e ora sono distrutti!”

“Signor Romano, mi dispiace,” Giorgia si confuse, trattenendo Birillo per il collare. “Ma è sempre al guinzaglio, lo controlliamo. Forse è stato qualcun altro?”

“Qualcun altro?” L’uomo strizzò gli occhi, annotando qualcosa. “L’androne puzza di cane, ci sono impronte ovunque, e lei dice ‘qualcun altro’? Togliete quel cane, o scrivo all’amministratore!”

Giorgia sorrise a denti stretti, chiudendo la porta. Birillo, ignaro, le strofinò il muso sulle gambe. Quella sera lo raccontò ad Antonio, che sbucciava le patate in cucina.

“È impazzito?” Antonio lanciò il coltello, la faccia rossa. “Birillo non abbaia neanche in casa! Dobbiamo parlargli, Giorgia, senza giri di parole.”

“No,” lei scosse la testa, mescolando la minestra. “È solo, si attacca alle critiche per noia. Proverò a rabbonirlo, farò una torta.”

Il giorno dopo, Giorgia preparò una crostata di mele e cannella e bussò alla porta del signor Romano. L’odore di lucido e ordine sterile la investì: nessuna polvere, nessun oggetto fuori posto, solo vasi di violette sul davanzale, una radio vecchia e un divano perfettamente rifatto.

“Signor Romano, le ho portato una torta,” sorrise, porgendo il pacchetto avvolto nella carta stagnola. “Possiamo parlare di Birillo? Non è colpa sua per i fiori, lo teniamo d’occhio.”

“Una torta?” L’uomo annusò il pacchetto come un detective. “Furba, Giorgia. Va bene, entri, ma solo un minuto. Quel cane abbaia la mattina, sporca, puzza. È inaccettabile!”

“Abbaia raramente,” lei parlò con calma, sedendosi sul bordo della sedia. “E puliamo le impronte. Forse sono stati i bambini a calpestare i fiori?”

“Bambini?” Il signor Romano annotò qualcosa. “I bambini non hanno zampe. Togliete il cane, o agirò.”

Giorgia se ne andò, sentendo che la torta non era servita. Quella sera, nell’androne apparve un avviso scritto a mano: “Si prega di rimuovere il cane dall’androne! Distrugge i fiori e disturba! F.to Romano.” Antonio, vedendolo, strappò il foglio.

“È guerra, Giorgia!” indicò il foglio. “Ora vado e gli dico due paroline!”

“Antonio, no,” lei lo afferrò per il braccio. “Riproveremo. Se non funziona, penseremo a qualcos’altro.”

Alla fine della settimana, la situazione era insostenibile. Il signor Romano bussava sul soffitto ogni volta che Birillo abbaiava, anche solo per un rumore. AffiggMa quando Sofia e Matteo filmarono il gatto del signor Romano, Micio, che scavava nei vasi, tutto cambiò: il vicino, finalmente zitto, si limitò a borbottare qualcosa sui piccioni sporcaccioni, mentre Birillo corse libero in cortile, finalmente al sicuro dalla guerra dei vicini.

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