Il Dono della Figlia: Il Ruggito del Silenzio della Vecchiaia

Il dono di una figlia: il silenzio ruggente della vecchiaia

Lucia De Santis si affaccendava in cucina fin dall’alba: tagliava insalate, preparava il minestrone, infilava in forno un pollo al rosmarino e lustrava il vaso di cristallo per i fiori. Scese due volte al mercato e tornò con una torta e borse piene di provviste, inciampando nella vicina all’ingresso del palazzo.

“Ma che festa è oggi, Lucia?” chiese sorpresa Lidia Rossetti, vecchia amica e presenza fissa sulla panchina sotto il portone.

“Ma certo che è festa! Arriva la mia Annina, la mia piccola!” rispose Lucia con gli occhi lucidi, trascinando a fatica le borse su per le scale.

“E va bene…” borbottò Lidia, rimanendo seduta. “Ti affanni sempre per quella tua Anna. E lei non trova nemmeno il tempo per una telefonata… Che schifo!”

L’amica da tempo si lamentava che Lucia fosse troppo tenera con la figlia ormai adulta. Anna non chiamava per settimane, eppure la madre ogni giorno si affacciava alla finestra sperando.

“Lucia, ma davvero. Ti logori i nervi per niente. Oggi noi vecchi siamo solo un peso. Avresti dovuto metterla in riga, non correre dietro a torte e regali.”

Ma per Lucia non era così semplice. Il cuore non è un interruttore. Anna era l’unica ragione per cui si alzava ogni mattina, anche se sapeva che l’amore in cambio si faceva sempre più flebile.

Quando finalmente Anna chiamò e disse asciutta: “Passo stasera”, il cuore della vecchia batteva come un tamburo. Si agitò per casa, rifacendo il letto, aggiungendo ancora una pietanza… E infine, il campanello.

Sulla soglia c’era sua figlia: alta, magra, distante, occhiali scuri e un cagnolino al guinzaglio.

“Salve, mamma,” disse Anna, senza un sorriso.

“Ciao, tesoro! Entra, lavati le mani, ho preparato tutto!”

Lucia si precipitò in cucina, posate e piatti che tintinnavano, sistemando i piatti con frenesia. Anna la seguì in silenzio, guardandosi attorno con aria indifferente.

“Siediti, ecco le polpette, l’insalata, la torta che ami tanto!”

“Mamma, sono qui solo un attimo. Mi trasferisco in un’altra città. Per anni. Viaggiare fin qua costa e scomodo, non ci vedremo almeno per cinque anni. Questa è Lulù. Me l’ha regalata il mio ex, non so perché. Portarmela dietro è un problema. Tanto vivi sola, tienila tu. Ha due anni. Non preoccuparti, non fa rumore.”

Lucia si bloccò. La torta, le polpette, le lenzuola fresche, il latte, la marmellata… tutto d’un tratto perse significato. Fissò la figlia, che neppure si tolse gli occhiali.

“D’accordo…” riuscì a dire.

“Grazie, mamma. Ti voglio bene.” Anna le baciò la guancia, le allungò il guinzaglio e sparì dietro la porta.

Pochi minuti dopo, Lucia era ancora nell’ingresso con il cagnolino tra le braccia. Non aveva mai amato gli animali. Con la schiena malandata, la pensione misera e la stanchezza cronica, cosa ne avrebbe fatto?

“Andiamo, Lulù, da Mariuccia… magari la prende lei…”

Ma appena la vicina aprì, esclamò:

“Ma sei pazza, Lucia? Come se non avessi già abbastanza problemi! Mi rovinerà i mobili, porterà le pulci!”

“Ma non ha pulci… era di Anna, è schizzinosa… Ti prego, Lidia, tu almeno in campagna hai avuto cani…”

“E tu hai un cervello! Te l’avevo detto: non strisciarle ai piedi. E ora guarda. Eccoti il ‘regalo’. Portala via, e basta.”

Il cane taceva, solo due occhi scuri fissavano la vecchia. C’era tutto: paura, rassegnazione, e… un dolore familiare.

“Siamo uguali, tu ed io,” sussurrò Lucia. “Nessuno ci vuole più.”

“Fai come vuoi,” borbottò Lidia. “Ma senza di me.”

Cominciarono giorni duri. Lulù voleva uscire cinque volte al giorno. La schiena doleva, le gambe crollavano. Ma il cane pareva capire: restava fermo, senza guaire. Nella pioggia, aspettava sulla soglia. Nella calura, si rannicchiava muta sotto il letto. E lentamente, Lucia smise di sentirsi… così sola.

Anche quando Lidia smise di parlarle. Sì, un’amicizia finita, ma in casa ora c’era un’anima.

Passò un anno. L’ultimo per Lucia. Il cuore cedette. I vicini la trovarono in cucina, mentre il cane non si era mosso dalla soglia, senza mangiare, senza abbaiare.

Una settimana dopo, Anna tornò. Senza preavviso.

“Che puzza…” disse disgustata. Lulù iniziò ad abbaiare.

“Zitta! Non c’è più padrona qui. Dovrò prenderti. Vendo casa, tu qui non servi.”

Al cimitero, Anna si avvicinò alla tomba fresca.

“Grazie per la casa e i soldi. E ti lascio anche la tua Lulù.”

Lasciò cadere il guinzaglio e se ne andò.

Il cagnolino annusò l’erba e si sdraiò accanto al tumulo. Sapeva che quella era casa sua.

Passarono due giorni. Lulù non si mosse. Non mangiò. Non si alzò.

Al terzo giorno arrivò Lidia, con un mazzo di fiori.

“Eccoti qua, piccola…” disse, vedendo il cane sulla tomba. “Così è andata, eh, Lucia… Tutta alla figlia. E alla fine… solo un cagnolino ti è rimasto.”

Si chinò, accarezzando il pelo arruffato.

“Va bene. Vieni, ti porto con me. Non posso lasciarti qui. Se Lucia ce l’ha fatta… posso farcela anch’io.”

Prese Lulù tra le braccia. E dall’ombra di un cielo grigio, spuntò il sole. Per la prima volta dopo una lunga settimana.

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