Il Dono di una Figlia: Il Ruggito del Silenzio nella Vecchiaia

Il dono della figlia: il silenzio ruggente della vecchiaia

Maddalena Rossi si era affaccendata in cucina fin dall’alba: tagliava insalate, preparava il minestrone, infilava nel forno un pollo all’aglio, lucidava il vaso di cristallo per i fiori. Era corsa due volte al negozio — tornata con una torta e buste stracolme, aveva incontrato la vicina all’ingresso del palazzo.

«Che fai, Maddalena, prepari una festa?» domandò sorpresa Elisabetta, la vecchia amica che non si staccava mai dalla panchina sotto il portico.

«Ma certo, che domande! Arriva la mia Michelina, la mia bambina!» rispose Maddalena con gli occhi brillanti, sforzandosi per trascinare le buste su per le scale.

«Mmm…» borbottò Elisabetta, restando seduta. «Ti spezzi sempre per quella Michelina. E lei non ha neanche il tempo di chiamare sua madre… Che schifo!»

Da tempo l’amica brontolava perché Maddalena si preoccupava troppo per la figlia ormai adulta. Quella non telefonava per settimane, eppure la madre ogni giorno scrutava dalla finestra.

«Maddalena, davvero. Ti logori i nervi. Ormai noi vecchi siamo solo d’intralcio. Avresti dovuto metterla in riga tempo fa, non correre a comprare torte.»

Ma per Maddalena Rossi non era così semplice. Il cuore non è un interruttore. Michelina era l’unica ragione per cui si alzava dal letto al mattino, anche se sapeva che l’amore in cambio si faceva sempre più flebile.

Quando finalmente Michelina chiamò, dicendo con tono asciutto: «Arrivo stasera», il cuore della vecchietta cominciò a battere come un martello. Si agitò per casa, rifacendo il letto, aggiungendo ancora un piatto al menù… E poi, il suono del campanello.

Sulla soglia c’era sua figlia: alta, magra, distante, con occhiali scuri e un cagnolino al guinzaglio.

«Ciao, mamma» disse Michelina, senza un sorriso.

«Ciao, tesoro! Entra, lavati le mani, ho già preparato tutto!»

Maddalena si precipitò in cucina, sbattendo le pentole, disponeva i piatti con frenesia. Michelina la seguì in silenzio, guardandosi attorno con aria distaccata.

«Siediti, ci sono le polpette, l’insalata, e la torta è quella che ti piace!»

«Mamma, resto solo un attimo. Mi trasferisco in un’altra città. Per molto tempo. Venire qua costa troppo ed è scomodo, quindi probabilmente non ci vedremo per cinque anni. Lei è Lola. Me l’ha regalata il mio ex, senza motivo. Portarmela dietro è un peso. Tanto tu sei sola, può stare con te. Ha un anno e mezzo. Non preoccuparti, è tranquilla.»

Maddalena si bloccò. La torta, le polpette, le lenzuola fresche, il latte, la marmellata — tutto d’un tratto perse importanza. Guardò sua figlia, che nemmeno si tolse gli occhiali.

«Va bene…» riuscì a dire.

«Grazie, mamma. Ti voglio bene.» Michelina le sfiorò la guancia con un bacio, le allungò il guinzaglio e sparì dietro la porta.

Pochi minuti dopo, Maddalena era ancora in corridoio con il cagnolino tra le braccia. Non aveva mai amato gli animali. Con la sua schiena malandata, la pensione misera e la stanchezza cronica — cosa poteva farci ora?

«Andiamo, Loletta… da Elisabetta… magari la tiene lei…»

Ma appena la vicina aprì la porta, sbottò:

«Ma sei pazza, Maddalena? Come se non bastassero già i miei problemi! Mi rovinerà i mobili, porterà le pulci!»

«Ma che pulci… è di Michelina, sai com’è schizzinosa… Per favore, Elisa, tu almeno hai avuto cani in campagna…»

«E tu hai il cervello! Te l’avevo detto: non dovevi starle dietro. E adesso? Ti sei beccata un “regalino”. Portala da qualche parte e basta.»

Il cane restò muto, fissando la vecchietta con occhi scuri. C’era tutto dentro: paura, rassegnazione, e… un dolore familiare.

«Sembri proprio come me» sussurrò Maddalena. «Anche tu non servi a nessuno.»

«Fai come vuoi» brontolò Elisabetta. «Ma contami fuori.»

Da quel giorno iniziò un periodo difficile. Lola doveva uscire cinque volte al giorno. La schiena faceva male, le gambe cedevano. Ma il cane sembrava capire — pazientava, senza guaire né abbaiare. Se pioveva, aspettava sulla soglia. Se faceva caldo, riposava silenziosa sotto il letto. Col tempo, Maddalena cominciò a sentirsi… meno sola.

Anche se Elisabetta smise di parlarle. Sì, l’amicizia era finita, ma in casa ora c’era un’anima.

Passò un anno. L’ultimo della vita di Maddalena. Il cuore cedette. I vicini la trovarono in cucina, mentre il cane non si era mosso dalla porta, senza mangiare né abbaiare.

Una settimana dopo, Michelina entrò nell’appartamento. Senza avvisare.

«Che puzza…» disse con disgusto. Lola cominciò ad abbaiare.

«Zitta! La tua padrona non c’è più. Dovrò portarti via. Venderò la casa — tu qui non servi a niente.»

Al cimitero, Michelina si avvicinò alla tomba fresca.

«Grazie per la casa e i soldi. E ti lascio anche la tua Lola.»

Getto il guinzaglio e se ne andò.

Il cagnolino corse al terreno smosso, annusò l’erba e si sdraiò accanto. Sapeva che quella era casa sua.

Trascorsero due giorni. Lola non si mosse. Non mangiò. Non si alzò.

Il terzo giorno arrivò Elisabetta. Con un mazzo di fiori.

«Eccoti qui, piccola…» disse, vedendo il cane sulla tomba. «Be’, Maddalena… ti sei data tutta a tua figlia. E alla fine… ti è rimasto solo un cagnolino.»

Si accovacciò, accarezzando il pelo sottile.

«Dai. Vieni, ti porto con me. Non posso lasciarti qui. Se Maddalena ci è riuscita — posso farcela anch’io. L’importante è restare umani.»

Con queste parole prese Lola in braccio. Tra le nuvole grigie, sbucò il sole. Per la prima volta dopo una lunga settimana.

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