“Figlio di mia moglie ha preso la mia stanza”
— Ma sei pazzo, Daniele?! Questa è la mia stanza! — Vittorio Romano si bloccò sulla soglia, chiavi strette nel pugno, incapace di credere ai suoi occhi.
— Era tua, zio Vittorio. — Il ragazzo non alzò neppure lo sguardo dal telefono, sprofondato sul divano. — Ora è mia. Lo ha detto mamma.
— Quale mamma?! — esplose Vittorio. — Io non sono tuo zio! E dov’è il mio letto? Dov’è la mia roba?!
Daniele si strinse nelle spalle, fissando lo schermo.
— Il letto è finito sul balcone, la roba in scatoloni. Mamma dice che per te c’è comunque spazio.
Vittorio sentì la terra mancargli sotto i piedi. Vent’anni in quell’appartamento, quella stanza era il suo rifugio, la sua fortezza. E adesso un ragazzino di diciotto anni arrogante si comportava come se fosse casa sua.
— Paola! — urlò, dirigendosi verso la cucina. — Paola, vieni qui subito!
La moglie uscì asciugandosi le mani sul grembiule. Nessun segno di imbarazzo sul volto.
— Che succede, Vittorio? Perché urli?
— Che succede?! — Vittorio era fuori di sé. — Tuo figlio si è preso la mia stanza! Le mie cose sul balcone! Ma che razza di comportamento è?!
— Vittorio, calmati. — Paola parlava a bassa voce, ma con fermezza. — Daniele si è iscritto all’università, gli serve un posto per studiare. Tu puoi dormire sul balcone, è accogliente, l’ho sistemato io.
— Sul balcone?! — Vittorio non credeva alle sue orecchie. — Paola, ma sei uscita di senno? Questo è il mio appartamento! Ci sono residente, ci vivo!
— *Nostro* appartamento — lo corresse lei. — E Daniele ora vive qui. Stabilmente.
Vittorio crollò su una sedia. Due anni prima, quando aveva sposato Paola, lei gli aveva detto di avere un figlio che viveva col padre. Il ragazzo veniva qualche weekend, tranquillo, senza dare problemi. Vittorio pensava persino che avrebbero potuto andare d’accordo.
— Perché non me ne hai parlato? — chiese con voce stanca.
— Cosa c’era da dire? — Paola si sedette di fronte a lui. — Daniele è grande, gli serve una stanza. Tu puoi adattarti.
— Adattarti… — ripeté Vittorio. — Paola, lavoro a turni, ho bisogno di riposare. Sul balcone d’inverno è gelido, d’estate soffocante.
— Ti abituerai. Danny è un bravo ragazzo, non ti darà fastidio.
Vittorio la fissò. Due anni prima lei gli era sembrata una salvezza. Dopo anni di solitudine, dopo il divorzio dalla prima moglie che aveva portato via loro figlia Alessia in un’altra città, Paola era stata come una boccata d’aria. Una bella donna di quarantacinque anni, ragioniera, dolce, che sapeva cucinare. Si erano conosciuti al parco, mentre lei dava il pane ai piccioni e lui leggeva il giornale su una panchina.
— Ho un figlio — gli aveva detto. — Vive col padre, ma a volte viene da me.
— Non è un problema — aveva risposto Vittorio. — Amo i bambini.
Ed era vero. Sua figlia Alessia la vedeva raramente, l’ex moglie non favoriva i contatti. Daniele all’inizio era sembrato educato, silenzioso, senza pretese.
— Senti, Paola — provò a parlare con calma. — Possiamo trovare un’altra soluzione? Mettiamo un divanoletto in salotto per Daniele e la mia stanza rimane mia?
— No. — Scosse la testa. — Danny studia, ha bisogno di silenzio. Tu guardi solo la TV.
— Solo la TV… — Vittorio sentì qualcosa spezzarsi dentro. — Paola, torno stanco dal lavoro, ho bisogno di riposare come si deve.
— Sei un egoista, Vittorio. Pensi solo a te. Io ho un figlio, devo badare a lui.
Vittorio si alzò e andò sul balcone. Effettivamente c’era il suo letto, accanto a scatoloni ammucchiati. Il balcone era vetrato, ma l’umidità si sentiva comunque. Si sedette sul bordo del letto e si prese la testa tra le mani.
Quella sera, Daniele uscì in cucina per cena. Vittorio era a tavola con una tazza di tè.
— Senti, Daniele — iniziò pacato. — Parliamo da uomini. Possiamo trovare un accordo?
— Che accordo? — Daniele aprì il frigo, tirò fuori uno yogurt. — Ora ho la mia stanza, voi la vostra. Siamo pari.
— La mia stanza è sul balcone.
— E allora? Così tu e mamma avete più spazio.
— Daniele, capisco che hai iniziato l’università, è fantastico. Ma non si tratta così la gente. Potevamo parlare, trovare un compromesso.
— Quale compromesso? — Daniele ridacchiò. — Tu non sei mio parente. Mamma è mamma, tu sei solo suo marito. *Per ora*.
— Per ora? — Vittorio si irrigidì.
— Credi sia per sempre? — Alzò le spalle. — Mamma è ancora giovane, bella. Magari trova di meglio.
Vittorio sentì il sangue salirgli alla testa, ma si trattenne. Non voleva scenate.
— Daniele, rispetto tua madre e te. Ma questo è il mio appartamento.
— Dai, su. — Sbadigliò. — Non è più tuo. Mamma dice che dopo il matrimonio tutto è in comune.
— Ci siamo sposati col mio appartamento.
— E allora? La legge è uguale per tutti.
Vittorio capì che era inutile. Il ragazzo era aggressivo e non cedeva.
Il giorno dopo ne parlò di nuovo con Paola.
— Paola, sono serio. Non riesco a dormire sul balcone. Cerchiamo un’altra soluzione, almeno temporanea?
— Vittorio, smettila di lamentarti. — Lei non lo guardò nemmeno, continuando a mescolare la pentola. — Danny è uno studente, ha bisogno di comodità. Tu sei un uomo adulto, puoi sopportare.
— Sopportare? — Non ce la fece più. — Paola, lavoro come tecnico alla centrale elettrica, è un lavoro delicato. Se non dormo, sbaglio, e potrebbe succedere un disastro.
— Non esagerare. — Scosse il mestolo. — Dormire sul balcone mica è la fine del mondo.
— È umido! Freddo! E poi, perché devo stare accampato lì, nella mia stessa casa?
Paola si girò, e nei suoi occhi Vittorio vide un freddo che non aveva mai notato.
— Perché ho un figlio, e lui viene prima del tuo comfort.
— Paola…
— Basta, Vittorio. Punto. Se non ti va bene, puoi andartene.
Lui la fissò. Dov’era finita la donna affettuosa che gli preparava la pasta al forno e gli chiedeva com’era andata la giornata? Quella che gli massaggiava le spalle dopo il turno e gli diceva che lo amava?
Quella sera, quando Daniele mise la musica a tutto volume mentre lui cercava di dormire dopo il turno di notte, Vittorio bussò alla porta.
— Spegni quella musica!
— Non sento! — urlò Daniele.
— Ti dico di spegnerla! La gente dorme!
La porta si aprì. Daniele sulla soglia, con un sorriso arrogante.
— Vai a dormire in cucina. Lì è più silenzioso.
— Non posso dormire in cucina! — esplose Vittorio. — Ho bisogno di un letto normale!
— Allora comprati un appartamento. — Alzò le spalleVittorio chiuse lentamente la porta alle sue spalle, le scale sembravano infinite mentre scendeva con la valigia in mano, realizzando che a volte l’amore si trasforma in un’estraneità silenziosa e che gli affetti più cari possono diventare, in un attimo, solo ricordi.