Il figlio di mio marito minaccia la nostra famiglia: come allontanarlo senza drammi?

Ero seduta nella cucina del nostro piccolo appartamento a Firenze, stringendo una tazza di tè ormai freddo, con le lacrime di rabbia che mi salivano in gola. Con mio marito, Marco, avevamo costruito una famiglia, e in apparenza tutto sembrava perfetto: una casa accogliente, una macchina, un lavoro stabile. Eppure, la nostra felicità si sgretolava a causa di suo figlio diciassettenne, nato da un primo matrimonio, Matteo, che ormai viveva con noi. Passava parte del tempo con sua madre, ma si stabiliva sempre più spesso da noi, trasformando la mia vita in un incubo.

Matteo era come una spina nel cuore. Mi trattava come una serva, lasciava in giro i suoi vestiti, abbandonava i piatti sporchi, e rispondeva alle mie richieste daiuto con una scrollata di spalle. Il peggio era che si accaniva contro mio figlio di quattro anni, Luca. Lavevo visto dargli uno schiaffo sulla nuca solo perché il bambino aveva sfiorato il suo telefono. La mia piccola, Beatrice, dormiva nella nostra camera per mancanza di spazio nel bilocale. Se Matteo se ne fosse andato da sua madre, avremmo finalmente potuto sistemare una stanza per i bambini.

Ma Matteo non se ne andava. Il suo liceo era a due passi da qui, e preferiva vivere con suo padre. Passava le giornate incollato al computer, urlando nel microfono mentre giocava, impedendo a Luca di dormire. Ero esausta: cucina, pulizie, bambini e lui non muoveva nemmeno un dito per aiutare. La sua presenza era come una nuvola nera sopra la nostra casa, avvelenando ogni istante.

Avevo provato a parlarne con Marco, supplicandolo di convincere suo figlio a tornare da sua madre. La sua ex-moglie, Alessia, viveva da sola in un grande trilocale. Noi, invece, ci accalcavamo in quattro in un appartamento troppo piccolo, dove ogni angolo gridava mancanza di spazio. Era giusto? Se almeno Matteo avesse avuto un buon rapporto con i miei figli, ma lui li maltrattava. Luca cominciava a somigliargli, diventando insolente e capriccioso. Temevo che crescesse con la stessa indifferenza, la stessa arroganza.

Marco si rifiutava di agire. “È mio figlio, non posso cacciarlo”, ripeteva, cieco di fronte alla mia sofferenza. Litigavamo per Matteo quasi ogni sera. Mi sentivo come un cavallo sfinito, trascinando da sola il peso della casa, mentre mio marito chiudeva gli occhi sul comportamento di suo figlio. Ero stanca delle sue scuse, di quellamore cieco per un adolescente che distruggeva la nostra famiglia.

Un giorno, non ce lho fatta più. Matteo aveva urlato ancora contro Luca per una goccia di succo versata, e sono esplosa:
Basta! Non sei in un albergo! Se non ti piace, torna da tua madre!

Si è limitato a ridacchiare:
Questa è casa mia, non me ne vado.

Ho tremato di rabbia impotente. Marco, sentendo la lite, ha preso le parti di suo figlio, accusandomi di “non fare abbastanza”. Mi sono rifugiata in camera, stringendo Beatrice in lacrime, lasciando scorrere le mie. Perché dovevo sopportare quelladolescente insolente, mentre sua madre viveva nel comfort senza nemmeno pensare a lui?

Pensavo a una soluzione. Forse parlare direttamente a Matteo? Spiegargli che starebbe meglio da sua madre, che potrebbe prendere lautobus per il liceo? Ma temevo che si prendesse gioco di me, che Marco mi accusasse ancora di essere troppo dura. Sognavo che Matteo sparisse dalle nostre vite, che i miei figli crescessero in pace. Ma ogni suo sguardo sprezzante, ogni suo gesto brusco mi ricordava che era lì, come un intruso di cui non potevo liberarmi.

A volte immaginavo di fare le valigie e andare da mia madre con i bambini, lasciando Marco a gestire suo figlio da solo. Ma lo amavo, e non volevo distruggere la nostra famiglia. Tutto quello che volevo era una casa serena. Perché dovevo soffrire, vedere Matteo maltrattare i miei piccoli mentre sua madre si godeva la sua libertà? Ero stanca di questa rabbia, stanca di temere per i miei figli. Avevo bisogno di una via duscita, ma non sapevo dove trovarla.

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