Il Figlio Minore

— Sandro, magari non fare questo viaggio? Ho il cuore che non sta tranquillo… Davvero, chiedi a qualcuno di sostituirti, — sussurrò Lucia, cercando di nascondere il tremore nella voce.

— Questo viaggio significa soldi buoni. E presto avremo il bambino, Luce. Lo sappiamo entrambi: ogni euro conta adesso, — rispose Sandro, stringendo forte la moglie e baciando le testoline delle sue vivaci gemelline, Sofia e Ginevra.

Lucia annuì in silenzio. Il cuore le si spezzava, ma la ragione le diceva che il marito aveva ragione: il loro bilancio familiare era allo stremo. Asciugò le lacrime, seguendolo con lo sguardo, e mormorò abbracciandolo:
— Torna presto… Ti aspettiamo.

La porta si chiuse alle spalle di Sandro. Lucia si fece forza: preparò da mangiare alle bambine, poi uscì con loro a passeggiare. La giornata passò stranamente serena. Niente capricci, niente pianti, come se anche le bimbe percepissero qualcosa di inquietante.

Ogni sera alle dieci, come promesso, si chiamavano con Sandro. Lucia raccontava delle figlie che lo aspettavano, dei piccoli lavori di cucito che faceva per guadagnare qualcosa. Sandro rideva al telefono e prometteva: «Domani sarò a casa, gattina».

Ma a casa non tornò mai.

Sulla strada del ritorno, il suo camion si scontrò con un mezzo uscito di corsia. Tutto accadde troppo in fretta. Nemmeno un secondo per evitare l’impatto. Sandro morì sul colpo.

Quella stessa notte squillò il telefono. Lucia, come in trance, rispose — e il suo mondo crollò.

Barcollando, raggiunse la vicina, zia Rosa, e le chiese di badare alle bambine. Lei stessa collassò sulla porta. I medici fecero appena in tempo — un cesareo d’urgenza, un intervento complicato.

Il bambino era debole, nato prematuro. A lui mancava la forza del padre, a lei la spalla del marito.

Lucia lo chiamò come il padre — Sandro. Uscita dall’ospedale, contò i soldi rimasti. Bastavano per qualche mese. Il resto, si sarebbe visto.

La vita divenne pura sopravvivenza. Zia Rosa aiutava come poteva. Parenti vicini non ne avevano. Lucia riprese a cucire — prima per i vicini, poi il passaparola le portò altre clienti.

Le gemelle iniziarono la seconda elementare, il piccolo Sandrino l’asilo. Erano la sua speranza, la sua ancora. Ma…

Le amava di più. E Sandrino… no, non lo odiava — solo non riusciva a guardarlo senza dolore. Assomigliava sempre di più al marito perduto. E ogni volta che lo vedeva, sentiva: non l’ho trattenuto, non l’ho fermato…

Il bambino era silenzioso, buono, attento. Leggeva, aiutava, non si lamentava mai.

Alle figlie comprava vestiti nuovi, cuciva abiti per le bambole. A Sandrino sistemava i vestiti vecchi.

— Povero ragazzino… Orfano con la madre ancora viva, — sospirava spesso zia Rosa, guardandolo lavare i piatti o riordinare i giochi delle sorelle.

Il tempo volò. Le figlie crebbero, si sposarono, se ne andarono. Rimase solo Sandrino con la madre.

Finì l’istituto tecnico e trovò lavoro come ingegnere in una pasticceria a Bologna, la loro città. Lucia iniziava a perdere la vista — notti insonni, nervi a pezzi, anni di solitudine.

Sandrino si prendeva cura di lei. Cucinava, lavava i panni, la portava a passeggiare nel parco. Lei spesso sussurrava:
— Perdonami, figlio mio… Non merito il tuo amore. Vivi la tua vita, sei giovane…

Lui sorrideva:
— Ci sarà tempo, mamma. Avrò una moglie, dei figli. Potrai coccolare i nipoti.

Poi un giorno arrivò lei. Timida, riservata, Elena.

— Mamma, Elena resterà con noi. Non ha nessuno. È orfana, — disse piano il figlio.

Tre mesi dopo si sposarono. Arrivarono le figlie, i nipoti, i generi — tutta la famiglia riunita. Lucia era felice, ma sorrideva spesso nascondendo il dolore.

La diagnosi fu terribile — un male incurabile. Le restava poco, e lo sapeva.

Ma il destino le regalò un’ultima gioia — riuscì a conoscere il suo primo nipotino.

Se ne andò serena, con un sorriso sul viso, stringendo la mano di colui che un tempo non aveva saputo amare.

Il figlio più piccolo… l’unico… il più amato…

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