Il formaggio dell’amica di mamma
Nessuno ricorda davvero da dove venisse zia Pina, l’amica di mamma. A me sembrava esistesse da sempre, come l’oscurità, le mosche e Toto Cutugno. La versione di papà era che fosse un’agente del governo ombra, infiltrata tra i comuni cittadini per esperimenti sociali. Il nonno, invece, era certo che fosse il quinto cavaliere dell’Apocalisse, cacciato dalla squadra per eccesso di zelo. Persino mamma non sapeva spiegare come si fossero conosciute. Zia Pina era come quella chiave misteriosa nel mazzo: inutile per qualsiasi serratura, ma troppo preziosa per buttarla.
Zia Pina non aveva né marito né figli, ma un’abbondanza di tempo libero. Donne così sono più pericolose di un’epidemia. Potresti riempirle le scarpe in cemento e gettarle in fondo al mare, ma troverebbero comunque il modo di mettere in moto attività talmente frenetiche da far subire al mondo marino una repentina evoluzione per fuggire a riva.
Se si parla di spirito imprenditoriale, zia Pina ne soffriva di una forma acuta, al punto di costringerci ogni anno a subire un nuovo progetto. Scappare era impossibile, persino fuggendo all’estero. Lei aveva il passaporto, il visto multiplo e parlava tre lingue, ma in nessuna di queste conosceva il significato della parola “no”.
Negli anni, aveva venduto cosmetici cubani che avevano regalato a mamma una morbida peluria sul labbro e una dipendenza incurabile. Poi si era messa a lavorare indumenti intimi maschili in lana merino sintetica, torturando papà con la promessa di “vigore fisico garantito”, esigendo feedback dopo un mese di utilizzo. Lui cedette dopo tre giorni. Si dice che quella sera gli abbia telefonato Adriano e abbia chiesto un autografo.
Anche il nonno ebbe la sua dose. Zia Pina gli impose integratori per “depurare l’intestino e regolare la pressione”. Dopo una settimana, finì in televisione sia al telegiornale che nelle previsioni del tempo, ogni volta che usciva di casa.
Le idee di zia Pina erano infinite: saponi artigianali all’estratto di ortica, alimenti salutari a base di coriandolo e cardo, oggetti ricavati dall’anguilla. Poteva parlare per ore dei benefici dei suoi prodotti, finché l’interlocutore non iniziava la regressione evolutiva e non si sdraiava a quattro patti. Quando ogni fede in Dio, scienza e buonsenso era svanita, abbassava il prezzo e, a quel punto, la vittima capitolava. A noi, “cari amici”, toccava di peggio: campioni gratuiti.
Un mese fa, zia Pina iniziò a produrre formaggio in casa, portandocelo in ogni stato fisico immaginabile. L’odore era indescrivibile. Credo che il nostro appartamento non sarà affittabile o vendibile per almeno un decennio, e lo stesso vale per tutto il palazzo. Solo il nonno godette del cambiamento: non lo costringevano più a lavare i calzini e lo lodavano per la sua fermezza.
Il formaggio era bizzarro: spezzava le lame della grattugia, faceva esplosioni nel microonde e spariva completamente nel forno. A volte sembrava aggredisse il resto del cibo in frigo, trasformandolo in materiale affine.
Una volta provai ad aggiungerlo alla pasta con il ketchup. Il risultato fu uranio arricchito, e ora alla mia famiglia è vietato varcare la frontiera per sette anni.
Mamma pregava pazienza. Zia Pina sosteneva che la prima partita fosse solo un esperimento e che la successiva sarebbe stata “una bomba”. Sentendo ciò, il nonno passò una settimana con un martello in mano, minacciando di diseredarci se anche solo una briciola fosse finita nel suo piatto. Per papà era peggio: amava mamma più della vita stessa (colpa sua), quindi non ebbe scelta.
Quanto a me, zia Pina dichiarò che nei ragazzi di oggi c’è l’intera tavola periodica e che potevo mangiare le tavolette di cioccolato con la carta. E che al posto del sangue, avevo olio di palma. Il suo prodotto, invece, era naturale, assicurava a mamma. E il contatore Geiger del nonno che impazziva? “Lui non è un’autorità!”, disse.
Ma accadde l’inaspettato. Il formaggio non era male. Certo, bevemmo un litro di assorbente prima di assaggiarlo e ci assicurammo di avere tutte le uscite di sicurezza libere. Però il sapore sorprese tutti: delicato, cremoso, con un retrogusto speziato e nocciolato. Mamma lo mise nei panini, papà nell’insalata, e persino il nonno, attirato dall’aroma, ne prese qualche pezzo.
Zia Pina, per una volta, aveva avuto ragione. Il suo progetto era un successo. Solo a mamma confessò che il formaggio l’aveva fatto il suo nuovo marito, uno chef che aveva quasi ucciso al primo appuntamento con una sua “zuppa al formaggio”. L’uomo passò tre giorni in flebo e, riprendendosi, annunciò di aver avuto un’illuminazione. Tra la vita e la morte aveva capito la sua missione: salvare l’umanità dalle iniziative di zia Pina. Se le venisse un’idea, l’avrebbe realizzata lui stesso, lasciandole i meriti. E poi l’aveva sposata, forse per senso di responsabilità davanti al mondo.
Da allora, seguiamo con attenzione la loro relazione. E preghiamo ardentemente che vada tutto bene.