Io e Tommaso ci siamo sposati poco più di un anno fa. Prima stavamo insieme da quasi tre anni, e credevamo di conoscerci in ogni dettaglio. Ma si è rivelato che la vera prova non sono le confessioni romantiche sotto la luna, bensì la vita quotidiana insieme. Prima vivevamo separati: io a Milano, lui dai suoi genitori in un paese vicino. Ero fermamente contraria a convivere prima del matrimonio. Pensavo che se una persona ama, aspetterà. Tommaso ha aspettato. Ma, purtroppo, la sua pazienza non è andata oltre.
Non appena abbiamo iniziato a vivere insieme, la magia è svanita. Sono rimaste solo le bollette, le pulizie e le critiche infinite. E la cosa più dolorosa? Non venivano solo da mio marito, ma anche da sua madre.
Tommaso è impulsivo, testardo e, a quanto pare, piuttosto tradizionalista. Per lui una donna non deve solo lavorare, ma essere una specie di divinità multitasking: preparare la pasta al forno, lavare i pavimenti, stirare la biancheria e, nel frattempo, sorridere come in una pubblicità.
Ho provato a spiegargli che viviamo nel ventunesimo secolo, che anch’io ho un lavoro, la stanchezza, i malanni. Non posso trasformarmi in una domestica dopo otto ore passate al computer. Lui non mi ascoltava. Per lui era ovvio: pulire e cucinare sono doveri femminili.
I primi mesi ho cercato di tacere. Sopportavo, sperando fosse solo questione di abitudine. Pulivo come potevo, cucinavo, a volte ordinavo da mangiare se non facevo in tempo. Ma un giorno Tommaso è tornato dal lavoro, cupo come una tempesta, si è seduto in cucina e, senza neanche guardarmi negli occhi, ha detto:
“Con mia mamma ne abbiamo parlato… e abbiamo concluso che come massaia non vali granché. Non ti impegni abbastanza. Dovresti pulire di più e cucinare decentemente. Come fa lei.”
Sono rimasta di sasso. Non solo era insoddisfatto, ma aveva pure consultato sua madre, discusso di me, ed emesso insieme a lei una sentenza. Io, a quanto pare, non ero all’altezza. Facevo schifo.
E non importa se contribuisco alla metà delle spese di casa, se mi sfinisco di lavoro e vorrei pure io tornare in un appartamento pulito, dove non mi criticano ma mi aspettano con una cena calda—non preparata da me, ma per me.
Si lamenta che niente è “come lo fa sua mamma”. Certo che no! Sua madre è in pensione, ha le giornate libere, niente scadenze o riunioni online. Io invece vivo di corsa, sempre. Ma mi impegno. Ieri, per esempio, ho passato due ore ai fornelli, e lui ha commentato che le polpette “non avevano la crosticina giusta”.
Lui, tra l’altro, non si affretta mai a fare le sue parti. La lampadina del corridoio è rotta da tre settimane. Il water perde—e pazienza. Ma, secondo la sua logica, queste sono “sciocchezze”. Se invece c’è un po’ di polvere in salotto, è una tragedia.
Una volta ho perso la pazienza e gli ho proposto un compromesso: avrei lasciato il lavoro per diventare la perfetta casalinga. Cucinare, pulire, stirare le camicie. A patto che lui si assumesse tutte le spese.
E lui mi ha risposto:
“E perché mai dovrei mantenerti senza motivo?”
Insomma, vuole una moglie perfetta—ma senza sborsare un euro. Che lavori, pulisca, cucini, sorrida e sia pure grata per il privilegio di vivere con lui. Altrimenti, divorzio. Lui, guarda un po’, non vede alternative.
Io invece non vedo il senso di continuare questa relazione. L’amore non equivale alla schiavitù. Sono pronta a compromessi, ma non all’annullamento. Non sono la sua domestica, la sua cuoca gratis, e neanche un argomento di discussione con sua madre. Sono una donna. E merito rispetto. Non rimproveri da un marito che, a quanto pare, non è ancora cresciuto.