Ecco la storia adattata alla cultura italiana:
“Sai, ti racconto una storia… Un marito troppo fiducioso e quella bottiglietta sospetta.”
“Siamo arrivati, mamma.” – Leo aprì la portiera dell’auto alla madre.
Anita uscì e alzò lo sguardo verso le finestre del suo appartamento. Sospirò.
“Che c’è mamma, ti senti male di nuovo?”
“No, no, tesoro.” – Gli guardò negli occhi, pieni di autentica preoccupazione. “Ho passato tutta la vita in questo appartamento. Prima con i miei genitori, poi con tuo padre. Qui ti ho portato dopo il parto. Eri così bello…” Fece una pausa. “Ti ricordi quando comprammo le tende dopo la ristrutturazione? E ora…” – Gettò un altro sguardo alle finestre.
Quante ore aveva passato affacciata alla finestra della cucina, aspettando di vedere il suo Nicola tornare! Appena lo scorgeva attraversare il cortile, controllava che la cena non si fosse freddata. Lasciava sempre il gas acceso sotto il bollitore – Nicola amava il tè bollente, rigorosamente con lo zucchero semolato. Quello raffinato o i dolci non li voleva neanche sentire. Abitudini di chi viene dalla campagna.
“Andiamo mamma” – la interruppe il figlio, toccandole delicatamente il braccio. “Immagino che Irene si sia stancata ad aspettarci.”
“Irene…” – sussurrò Anita. “Non è mai venuta a trovarmi. Aspettava forse la mia morte?”
“Basta così, mamma” – la interruppe brusco il figlio.
Salirono al secondo piano del vecchio palazzo nel centro città. Leo aprì il pesante portone sul quale erano ancora visibili i segni della targhetta con il nome di suo nonno: “Prof. Leone Ferranti”.
La nuora sbucò dalla stanza, sbuffò e scomparve di nuovo.
“Entra pure mamma, ora ti preparo un tè al limone, come piace a te” – disse Leo.
Anita entrò nella piccola stanza che un tempo era stata di Leo, e prima ancora la sua, da ragazza. Si sedette con fatica sul divano consunto, appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi.
“Come andrà ora?” pensò.
***
Anita si era sposata tardi. Suo padre, professore universitario, vedeva in lei la sua erede, voleva che continuasse la sua ricerca scientifica. Aveva molti pretendenti. “Non avere fretta, figlia mia. A quei ragazzi interessa il nome di tuo padre, non te” – diceva la madre.
Ma a trent’anni si innamorò di un goffo giovane ricercatore. Suo padre lo adorava, prevedeva per lui un grande futuro. Forse per questo acconsentì al matrimonio. Un anno dopo il padre andò in pensione, lasciando la cattedra al genero. Lui e la madre si trasferirono in campagna, lasciando l’appartamento ai giovani.
Con Nicola vivevano bene, ma non riuscivano ad avere figli. Anita aveva perso le speranze quando finalmente successe. Che gioia! Quando nacque Leo, la ricerca scientifica passò in secondo piano. Anche Nicola voleva che si occupasse solo del bambino.
Lui lavorava giorno e notte all’università. Scriveva saggi, libri. Non mancarono gli invidiosi. Quando Leo, chiamato così in onore del nonno, era già alle medie, Nicola morì d’infarto. Non sopportò le calunnie di chi lo chiamava arrivista, falso intellettuale che aveva fatto carriera sposando la figlia del professore. Non resistette, morì.
Anita restò sola con il figlio. Non tornò più all’università – che professoressa poteva essere ormai? Aveva dimenticato tutto. Vendette la casa di campagna lasciatale dai genitori. I soldi bastavano per vivere. Poi Leo si laureò, trovò lavoro.
Quando il figlio portò a casa Irene, capì che era seria e che opporsi era inutile. Leo era pazzo di quella bella ragazza. Ma il cuore di madre le diceva che c’era qualcosa che non andava. Le chiese: “Di dove sei? Chi sono i tuoi genitori?” Irene rispondeva in modo evasivo. Leo, innamorato, le chiese di smetterla di tormentare la fidanzata.
Ad Anita non piacque che nessun parente di Irene, neppure i genitori, vennero al matrimonio.
“Ha un rapporto difficile con la madre e il patrigno, e il padre naturale è malato” – si giustificò Leo.
E Anita cedette. L’importante era che Leo fosse felice. Avrebbe sopportato, avrebbe amato la nuora, pur di vedere il figlio contento.
Anita cucinava per tutta la famiglia, ma Irene storceva il naso: “Non mangio dolci, devo mantenere la linea”. A stento assaggiava qualcosa.
“Ma per chi cucino allora?” si lamentava Anita.
“Mamma, lasciala in pace. Che mangi quello che vuole” – la difendeva Leo, che spesso cenava al ristorante.
Irene diceva di lavorare, ma usciva la mattina e tornava a pranzo o poco dopo. Con buste di negozi costosi, sempre con un’acconciatura nuova.
Prima lei e Leo chiacchieravano a lungo, confidandosi. Lui le parlava dei suoi progetti, chiedeva consigli. Ora stava sempre in camera con Irene, senza uscire quasi mai.
“Datti pace, almeno non ti chiedono di vendere l’appartamento” – la consolava un’amica.
Anita si stringeva il cuore. Non voleva perdere quel appartamento nel centro storico, con i suoi alti soffitti, le ampie scale e le grandi finestre dove avevano vissuto generazioni della sua famiglia. Chissà, forse un giorno quella ragazza avrebbe stregato Leo al punto da fargli fare qualsiasi cosa, persino contro la madre.
Poi arrivò la buona notizia: Irene aspettava un bambino. Anita si calmò. Con un bambino, avrebbero avuto bisogno di aiuto, e lei era lì. Significava che per ora l’appartamento era al sicuro. Cambiò stanza con i giovani – al bambino serviva spazio e aria.
Ma Anita cominciò a notare di addormentarsi spesso, anche di giorno, cosa che non le era mai successa. Si svegliava con la testa pesante, come imbottita di ovatta. Ragionava lentamente, dimenticava tutto.
Voleva chiamare un’amica, ma non trovava la rubrica. La cercava per giorni, poi la trovava in piena vista. Gli occhiali li trovava nei posti più strani, persino nel frigo. Li avrà messi lei? Non osava dirlo a Leo.
Con lo scambio di stanza, aveva ceduto anche il suo ruolo a Irene. Uscire dalla stanza le metteva soggezione. Passava le giornate lì dentro, dormendo. La stanza era in fondo al corridoio, quando si svegliava di notte per andare in bagno, le gambe non rispondevano, le girava la testa. A volte non arrivava in tempo. Si preoccupava – non era vecchia, queste cose non le erano mai successe.
Una notte Anita si svegliò e vide una sagoma vicino al letto. Le parve di vedere Nicola. Sentì la risata di Irene e trasalì.
Quando Leo tornò dal lavoro, Irene gli corse incontro, raccontando che sua madre non riusciva nemmeno ad arrivare in bagno, che l’aveva scambiata per suo padre. Ormai era finita.
Anita cercò di spiegare, ma le parole non le uscivano. Leo non capì e chiamò l’ambulanza.
In ospedale non trovarono nulla. Il giorno dopo stava già meglio, parlava normalmente. Non trovarono cause per le vertigini, la nausea, la debolezza. La tennero una settimana e la dimisero. In ospedale Anita ebbe molto tempo per pensare a cosa le stesse succedendo.
***
“Mamma, ti ho portato il tè” – sentì e aprì gli occhi.
Leo era lì con una tazza di tè e un piattino di biscotti.
“Grazie, figlio mio” – sorriseE mentre sorseggiava il tè preparato da suo figlio con amore, Anita finalmente capì che la vera felicità era tornare a vivere senza paure, ritrovando la forza di proteggere ciò che le era più caro.