Il marito ha insistito per un test del DNA – la madre ha complottato

Alessandro, con lo sguardo gelido, aveva deciso di fare il test del DNA sua madre lo aveva incastrato.

«Ascolta, non crescerò un bambino che non è mio Domani vado in una clinica, facciamo il test del DNA», disse con voce spenta.
«Cosa?» balbettò Fiorella, le gambe tradite dal dolore. «Davvero? Siamo tre anni insieme, non ti ho mai dato motivo»

«Allora lo vedremo», la interruppe lui, sorridendo in modo storto. «Se è mio, accetterò di essere padre, senza domande, chiederò scusa. Se non è mio»

Il telefono sul comodino vibrò. Fiorella alzò lo sguardo: era di nuovo Alessandro. Sbloccò il dispositivo e i messaggi, inviati quella notte tra un singhiozzo e una pioggia di lacrime, le cadevano addosso come pioggia dinverno.

«Allora, perché ci metti tanto?»

«Mia madre ha chiamato, chiede. Arrivi presto?»

«Fiore, non ti credo che dopo 16 ore non abbia ancora partorito! Che dicono i medici? Perché taci?»

Lultimo, inviato sette minuti fa: «Sono giù. Vieni al finestrino».

Fiorella inspirò a lungo, il pianto le si bloccò in gola. Tentò di sollevarsi sui gomiti, ma il dolore era acuto, lepidurale non faceva più effetto, muoversi era quasi impossibile.

«Dio mio» sussurrò, lasciando la testa ricadere sul cuscino.

Il telefono squillò di nuovo; doveva rispondere, Alessandro non lavrebbe lasciata in pace.
«Pronto?», ringhiò con voce rauca.
«Che non esci?», la lanciò senza nemmeno salutare. «Quante volte devo chiederti? Leggi e non rispondi!»

«Sto sotto alle finestre del secondo piano. Guarda, mostrami il figlio.»

Fiorella chiuse gli occhi.
«Alessandro, non posso.»

«Non puoi perché?»

«Non riesco a stare in piedi. Ho partorito cinque ore fa, mi hanno suturato. Non posso sedermi, è troppo doloroso. Non arriverò nemmeno al davanzale.»

Il silenzio rimase per un attimo, poi Alessandro sbottò:
«Guarda laggiù, la donna accanto al finestrino sta con il suo bambino. E tu? Sei speciale?»

«Sto male, Alessandro. Ti prego, non cominciare.»

«Cosa intendi per non cominciare? Sono il padre o no? Voglio vedere il figlio!»

«Ti rendi conto che sto qui con i fiori, come una bestia, a congelare? Alzati e avvicinati al finestrino!»

Fiorella non riuscì più a trattenersi, singhiozzò piano. Vorrebbe che lui le dicesse: «Amore mio, come stai? Riposati, ti amo», ma non accadde.

«Non posso sollevare il bambino», sussurrò. «Mi hanno vietato di alzarmi finché non sarà sera. Torna a casa, Alessandro»

Appese la chiamata, ma il telefono suonò di nuovo tre secondi dopo. Fiorella lo girò a faccia in giù, le lacrime scivolavano a dirotto, il dolore era infinito. Perché lui le trattava così?

Una infermiera entrò nella stanza, preoccupata:
«Mamma, perché piangi? Smettila subito! Calmati»

«Il latte si brucerà, il bambino morirà di fame. Ti aiuto a alzarti, è ora di nutrirlo. Che ti turba così?»

«Il marito», singhottò Fiorella. «Mi vuole far mostrare il figlio al finestrino, ma non posso»

Linfermiera schioccò la lingua, sistemò la coperta e, passandole il “tu”, le disse:
«Questi pazzi Diccelo, che il bambino può aprire gli occhi: qui è un reparto ostetrico, non un circo!»

«Ma smettila di piangere, non vale la pena.»

«Riposati, devi recuperare le forze. Prima pensa al piccolo.»

Alessandro non smise: i messaggi continuavano a piovere. Fiorella li leggeva, il freddo le si insinuava nel cuore.

«Nascondi qualcosa, vero?»

«Mostrami il bambino, è sano?»

«Forse non è mio, se lo nascondi?»

«Solo le madri mostrano il primo figlio. Tu ti nascondi.»

Il panico la travolse. Come poteva cambiare così, dopo tre anni insieme?

Convinta di aver sposato un uomo affidabile, di aver trovato una roccia su cui appoggiarsi, si rese conto di aver sbagliato. Con il dolore che le spezzava il petto, allungò la mano verso il cesto del neonato.

Il piccolo dormiva, il nasino rugoso, la pelle rossa come tutti i neonati. Un velo di pelliccia scura spuntava sulla testa.

Scattò una foto, le mani tremanti sfumarono limmagine, ma il volto era chiaro. Premé «Invia».

La risposta arrivò subito.

«Che cosè?»

Fiorella scrisse: «Il nostro figlio. Michele.»

Alessandro richiamò subito:
«Fiorella, sei pazza?»

«Di cosa parli?»

«Guardalo! È nero!»

«Che nero, Alessandro? Sei impazzito? È rosso, è appena nato!»

«I capelli!», urlò, tanto che Fiorella staccò il telefono. «Io ho i capelli castani, tu sei biondo tinto, ma i miei sono chiari. E questo è come carbone! È di chi? Del vicino? Del tassista?»

Fiorella scoppiò:
«Sei fuori di testa! La maggior parte dei neonati ha i capelli scuri, poi cambiano! La pelle è rossa perché i vasi sono vicini! Chiedi a un dottore!»

Alessandro, infuriato:
«Basta! Non sono cieco. I bambini nascono bianchi se i genitori sono bianchi. E questo è chiaro, per questo non ti avvicini al finestrino.»

Fiorella, quasi senza fiato, bloccò il suo numero. Il piccolo gorgogliava nel suo cesto, chiedendo attenzioni.

Con le gambe che quasi cedettero, prese Michele al petto.
«Stai bene, piccolo,» sussurrò, accarezzandolo, inghiottendo lacrime salate. «Stiamo bene, siamo qui luno per laltro, non ci serve nientaltro. Va bene, tesoro?»

Tre giorni al reparto ostetrico passarono come una nebbia. Fiorella dormiva poco: allattava, cambiava pannolini, ascoltava i medici, ma una sola domanda le girava nella testa: come tornare a casa?

Alessandro non chiamava più. Solo messaggi freddi: «Cosa comprare?», «A che ora prendo?». Niente «ti amo», niente «mi manchi».

***

Il foglio di dimissione sembrava una farsa. Fiorella uscì nella hall, pallida, con occhiaie che nemmeno il correttore poteva nascondere. Uninfermiera la seguì, portando un pacco con nastro azzurro.

Alessandro era alla porta, con un mazzo di rose appassite, probabilmente comprate al chiosco del mercato. Il volto di pietra non tradiva alcuna gioia.

Accanto a lui, la madre, Irene Bianchi, si dimenava da un piede allaltro.

«Congratulazioni!», esclamò linfermiera con voce forzata, porgendo il pacchetto al padre.

Alessandro prese il bambino, facendo una smorfia. Tenne il pacchetto con le braccia tese, guardando oltre la testa di Fiorella. Non posò gli occhi sul volto del figlio.

«Grazie», brontolò.

Irene Bianchi aprì il pacchetto.
«Che piccino! Dorme? Per fortuna è venuto. Andiamo a casa, non stiamo più qui.»

Il viaggio verso casa fu silenzioso. Alessandro guidava con veicoli bruschi, accelerando e frenando come un matto. Fiorella, seduta dietro, stringeva forte Michele.

«Stai più attenta», sbottò, quando la macchina sobbalzò su un buco. «Stai trasportando un bambino!»

«Guida come sai fare», replicò lui, guardando lo specchietto retrovisore. «Se non ti piace, vai a piedi.»

***

A casa il silenzio fu rotto da un suono di pentola. Alessandro buttò le chiavi sul tavolo, senza togliersi le scarpe, e andò in cucina.

«Cè qualcosa da mangiare?», gridò.

Fiorella rimase senza parole.

«Alessandro, sono tre giorni al reparto. Sono appena entrata! Da dove prendo il cibo?»

«Allora ordina. O devo cucinare io? Lavoravo mentre tu riposavi», rispose, sputando la parola «riposavo» con una nota di scherno.

Fiorella mise Michele nella culla, quella che avevano scelto insieme un mese prima, e si avvicinò alla cucina.

«Parliamo, per favore», chiese, appoggiandosi alla porta. Il dolore alle gambe non le permetteva di stare in piedi.

Alessandro, con il telefono in mano, pose il cellulare.
«Va bene, ti ascolto.»

«Allora, ho consultato i ragazzi e mia madre», disse Fiorella, facendo eco alla sua voce.

«I ragazzi?», sbuffò lui. «Stai discutendo di nostro figlio con i ragazzi?»

«Sto discutendo la situazione!», sbatté la mano sul tavolo. «Fiorella, basta drammi. Il bambino non è somigliante a me. Per niente!»

«Ha tre giorni, Alessandro! Non assomiglia a nessuno!»

«Non cercare di convincermi!», rise, alzandosi di scatto. «Non sono un idiota, Fiorella! Lo vedo. È scuro. Gli occhi quasi neri. Non ce ne sono nella nostra famiglia.»

Si avvicinò, quasi toccandola.

«Allora facciamo così. Non crescerò un figlio che non è mio Domani trovo una clinica, facciamo il test del DNA.»

«Che?», Fiorella crollò in ginocchia. «Sei serio? Siamo tre anni insieme, non ti ho mai tradito»

«Lo vedremo», la interruppe con un sorriso storto. «Se è mio, accetterò di essere padre, senza domande. Se non lo è»

Michele piangeva nella culla.

«Vai a calmarlo», ordinò Alessandro, voltandosi verso la finestra. «Chiama, piange come un pazzo. Certo, è un frullato. Il suo carattere non è il mio, io ero calmo»

Fiorella guardò la sua ampia schiena, la maglietta che aveva stirato prima del parto, e capì che luomo che conosceva era sparito. Non le rimaneva più nulla.

Silenziosa, si voltò e prese il bambino, stringendolo al petto; il piccolo si calmò subito, avvertendo il calore materno.

«Shh, piccolo, shh Sono qui. Mamma è accanto a te»

Alessandro tornò nella stanza cinque minuti dopo.

«Allora? Accetterai il test o hai paura?»

Fiorella lo guardò dritto negli occhi.

«Fallo», rispose, ferma. «Trova la clinica, paga ciò che serve. Fai il tuo test.»

«Finalmente», sbuffò lui, soddisfatto. «Così è più facile. Almeno non devo fare scenate qui.»

«Ma ricorda, Alessandro», interruppe Fiorella, la voce ferma. «Quando arriverà il risultato e dirà che sei il padre»

«Sì?», lui si irrigidì, intuendo il cambiamento nel tono.

«capirai che hai perso non solo me, ma anche il figlio. Perché non ti perdonerò mai più.»

«Stai confondendo le cose, mi stai incolpando mentre ho bisogno di te», replicò lui, sbattendo la mano.

«Basta con le sceneggiate. Non sono manipolazioni. Poi ti ringrazierai per aver chiuso le domande.»

Si alzò, accese la TV, e mise un telefilm. Fiorella guardò il piccolo, gli occhi scuri che tanto avevano infastidito Alessandro, ora delicati contro la sua pelle.

«Va bene», sussurrò, baciandogli la fronte. «Che si sistemi. Che si risolva con la sua carta.»

***

Due mesi passarono. Una mattina il telefono di Fiorella squillò: era lex marito. Allinizio non voleva rispondere, ma alla fine accettò la chiamata.

«Fiorella, per favore», implorò Alessandro. «Torna a casa! Ho capito tutto! Mi dispiace per il test! Sono sicuro che Michele è mio! Pagherò gli alimenti, ogni centesimo, anche se il tribunale decide diversamente. Ti prego, torna.»

Fiorella rifiutò il richiamo. Alessandro fece il test, il risultato fu positivo, e lei chiese subito il divorzio, gli alimenti e la divisione dei beni.

Si trasferì in un appartamento che i genitori le avevano affittato. E, alla fine, visse felice. Perché aveva lasciato dietro di sé il traditore.

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