Il marito portò un’altra
Ginevra osservò con occhio critico il suo abito… Quel vestito bianco, comprato per pochi spiccioli in fretta e furia durante i saldi, le sembrava troppo semplice. I pizzi che aveva scelto con cura, ma senza averli ben guardati, ora apparivano un po’ dozzinali.
“E va bene,” pensò, “l’importante è che piaccia ad Ettore.” Sospirò. Con quell’abito si sarebbe sposata. Ettore… Era stato il suo sogno, il suo amore a prima vista. Anche se, a essere sincera, non incarnava affatto l’immagine del principe azzurro. Piuttosto, era una sorta di… vichingo impetuoso, con una chioma ribelle di capelli biondi, spalle larghe e uno sguardo birichino negli occhi azzurri.
Ginevra sapeva, anzi, ne era certa: l’amore sarebbe arrivato così. All’improvviso. A prima vista. Come nei romanzi. Per meno non si sarebbe accontentata.
Il trillo del telefono la trascinò di nuovo alla realtà. Naturalmente, era la mamma, che avrebbe cercato ancora di convincerla a desistere.
“Ginevra, tesoro mio, ascoltami, ascolta chi ha più esperienza di te!” —ovviamente la mamma piangeva, forse da una settimana— “Quale matrimonio dopo un mese di conoscenza? Non vi conoscete nemmeno!”
Quante volte avrebbe ripetuto la stessa cosa?
“Per il vero amore non serve altro,” sussurrò Ginevra, sognante, “Te l’ho già spiegato mille volte. È amore a prima vista! Come al cinema!”
“Al cinema, Ginevra, raccontano favole!” ribatté la mamma. “Nelle favole scrivono che vissero ‘felici e contenti’, poi cala il sipario e non si sa più nulla! Nella vita vera, dopo il ‘felici e contenti’ arrivano le bollette, i figli, il lavoro… Hai almeno scoperto dove lavora? Che cosa fa? Quali sono i suoi progetti?”
Ginevra non seppe cosa rispondere. Con Ettore non ne avevano mai parlato. Tutte le loro conversazioni si riducevano a dichiarazioni appassionate.
“Lavora… qualcosa nella logistica,” rispose evasiva, cercando di evitare dettagli, perché la mamma era capace di andare a verificare.
Lavoro, lavoro… Per fortuna non le aveva chiesto dei suoi hobby. Perché di quelli sapeva ancora meno: principalmente uscite con gli amici a bere aranciate e ore passate al computer fino a tardi. Ma cosa importava, quando il cuore le scoppiava d’amore?
Il telefono passò al papà.
“Ginevra, che futuro puoi avere con un uomo che non conosci? Non sai nemmeno dove lavora!”
“Ma la nonna e il nonno ci sono riusciti, e si sono sposati ancora più in fretta! Appena si conobbero, corsero in Comune.”
“Non tutte le storie finiscono allo stesso modo. Se a qualcuno è andata bene, è stato un caso su un milione,” replicò il padre. “Pura fortuna.”
“E a me andrà bene!”
“Ginevra!”
“Scusa, devo andare. Ettore è arrivato,” tagliò corto, chiudendo la chiamata prima che potessero insistere.
Ettore arrivò con un abito blu scuro, appena comprato, ma già sgualcito e di una taglia sbagliata. La giacca gli stava larga sulle spalle, i pantaloni si raggruppavano goffamente sulle scarpe. In mano stringeva un mazzo di margherite, legate con un nastro semplice. Margherite di campo, raccolte chissà dove. Ma a Ginevra sembrarono i fiori più belli del mondo.
“Pronta?” le chiese.
Lei annuì, sentendo le mani tremare dall’emozione. Fece un respiro profondo e uscì di casa, lasciandosi alle spalle dubbi, rimproveri e buonsenso. Andava incontro al suo destino, così credeva.
In Comune tutto fu rapido e terribilmente banale.
L’impiegata, con un’espressione stanca, recitò il discorso di rito sull’amore e la fedeltà coniugale. Ettore infilò goffamente l’anello al dito di Ginevra, e sorrisero per i flash delle macchine fotografiche dei pochi parenti di lui. Dalla parte di Ginevra non c’era nessuno. I genitori, offesi dal suo rifiuto di ascoltarli, avevano boicottato il matrimonio.
Dopo la cerimonia, andarono a casa di Ettore, che da quel giorno sarebbe stata anche la sua. Sulla tavola, coperta da una tovaglia a fiori, c’erano panini al salame, una ciotola di insalata russa e pomodori e cetrioli affettati. I parenti di Ettore—zia Concetta, che aveva preparato tutto controvoglia, zio Bruno, eternamente afflitto dai postumi della sbornia, e la cugina Anna, con uno sguardo invidioso—si congratularono e, dopo una breve permanenza, se ne andarono. Avevano facce così cupe che sembrava un funerale, non un matrimonio. A Ginevra venne un groppo in gola, ma cercò di ignorarlo.
Quando l’ultimo ospite se ne fu andato, Ettore sospirò sollevato.
“Ecco fatto,” disse, “ora siamo marito e moglie! Per sempre!”
La fece volteggiare per la stanza, e Ginevra rise di felicità.
Ma quella stessa sera, appena tre ore dopo, cominciò il vero circo, come avrebbe detto la mamma di Ginevra. Ettore, annoiato dopo la partenza dei parenti, annunciò che festeggiare con la famiglia era una cosa, ma con gli amici un’altra. E senza pensarci due volte, se ne andò a far baldoria, lasciando Ginevra sola nel loro nuovo nido.
“Torno presto! Non posso dire di no ai ragazzi, vogliono festeggiare con me, come faccio a rifiutare in un giorno così?” gridò, scomparendo in un lampo.
“Presto” si trasformò nell’alba.
Ettore tornò ubriaco fradicio, senza ricordare nulla. Balbettò scuse per averla lasciata sola, poi crollò sul letto e si addormentò all’istante. Ginevra lo coprì in silenzio.
Il mattino portò con sé i postumi della sbornia di lui e l’amaro disincanto di lei. Capì di aver commesso un errore enorme sposandolo così in fretta. Ma ammetterlo a sé stessa, figuriamoci ai genitori, non voleva. Era amore, no? Poteva cambiarlo. L’amore compie miracoli, no? Avrebbe fatto di lui un marito esemplare.
La vita con Ettore divenne un’altalena di emozioni, piena di svolte improvvise e sorprese. Era imprevedibile. Poteva sparire un weekend intero senza avvisare. Spendere lo stipendio in una nuova console o in un costoso visore per videogiochi, lasciando il bilancio familiare in rosso. Litigare per un piatto non lavato o una bottiglia di latte dimenticata, poi ricoprirla di complimenti cinque minuti dopo.
Una volta comprò un quadro astratto, incomprensibile a Ginevra, che ritraeva forme geometriche disordinate.
“Un capolavoro!” esclamò lui. “Non capisci nulla d’arte!”
Neanche lui ne capiva, e non gliene importava. Era un capriccio momentaneo.
Ginevra osservò quei segni incomprensibili, pensando che con quei soldi avrebbero potuto comprare una lavatrice nuova, rotta da un mese. Ma non disse nulla.
Ettore lavorava come manager logistico in una piccola attivitàGinevra capì che l’amore vero non è un sogno da inseguire, ma una scelta da costruire ogni giorno, e finalmente trovò la forza per voltare pagina e cercare la felicità che meritava.






