Il marito se ne è andato, ma lei ha solo sorriso.

Alessia sorrise appena quando Stefano le disse che se ne andava.
– Ma che ne so, che fatico questa! – Stefano camminava nervoso per la cucina. – Sempre la stessa routine! Torno da lavoro e trovo solo questo silenzio opprimente.
– Di cosa parli? – Alessia mescolava la pasta al pomodoro, le spalle leggermente rigide. Non si voltò.
– Di cosa parlo? – la imitò, ironico. – Del tuo freddo perenne! Sempre immersa nei tuoi affari, nei tuoi pensieri, nel tuo mondo dove mi sembra non esista nemmeno!
– Sono stanca, sai? Lo sai che lavoro tanto. – La sua voce era stanca, spenta.
– Lavoro, lavoro! E io? E noi? – Picchiò forte la mano sul tavolo. – Quando ti sei interessata delle mie cose per ultima volta? Quando siamo usciti insieme?
Alessia si girò lentamente. Il suo volto non mostrava emozione, solo un’ombra di stanchezza negli occhi.
– Due settimane fa al cinema, – rispose calma.
– E pure li hai passati a fissare il cellulare! – Si strinse i capelli con frustrazione. – So che non posso andare avanti così. Me ne vado.
Le sue mani tremarono appena. La forchetta sospesa sopra l’ensalata di pomodori restò ferma.
– Davvero? E dove vai a quest’ora?
– Non stasera. Intendo andarmene definitivamente. Da te, dal nostro… – Spiegò l’aria con un gesto. – Da tutto questo.
Alessia posò la forchetta con delicatezza. Anche se l’aveva previsto, le parole sembrarono echeggiare come un tuono nel cielo terso.
– Ne hai una altra, – esclamò lui, forse per non pentirsi. – Lei ti apprezza. Ti chiede di me. Ride alle mie battute.
La guardò a lungo, dopo. Fu una sorpresa per sé: non lacrime né accuse, ma un sorriso. Non amaro né arrabbiato, bensì liberatorio.
– Bene, – disse. – Quando hai in programma di trasferirti?
Stefano rimase senza parole. Si aspettava un disperarsi, urla, rimproveri. Non questa calma glaciale.
– Dài, non proverai nemmeno a salvare il matrimonio? – chiese scandalizzato.
– C’è davvero qualcosa da salvare? – Alessia si avvicinò alla finestra. – Siamo ormai due estranei, anche se condividiamo lo stesso tetto. Hai ragione: vivo nel mio mondo. E tu, evidentemente, non ci sei mai riuscito.
Stefano si perse. Gli sembrava di giocare una carta vincente e invece era inutile. Stanco, mugugnò:
– Prenderò le mie cose domani, quando sei al lavoro.
– Come preferisci, – riprese a mescolare la pasta. – Mangi?
Gli sbatté la porta in faccia senza rispondere. Alessia udì i movimenti in ingresso, il chiasso della porta esterna.
Restò sola. Spense la fiamma, spostò il tegame, si sedette. La casa fu improvvisamente tranquilla. Guardò il telefono, aprì un messaggio non letto della sua amica Giulia e scoppiò a piangere non di dolore, ma di sollievo. Sorrise, mentre le lacrime scorrevano.
«E allora? Alessiella, gliel’hai detto?»
Ma lui aveva parlato per primo. Era meglio così.
Una settimana dopo, Alessia era in un caffè di Trastevere con Giulia, la sua cara amica. Quest’ultima la fissava perplessa.
– Allora, ti dài pace? Neanche hai cercato di rimediare?
Alessia scrollò le spalle, rigirò l’uncinetto del caffè nel bicchiere.
– Cosa rimediare? Lo sai: per due anni ormai eravamo come vicini di casa.
– Ma dieci anni insieme! – esclamò Giulia. – Non ti pesa?
– Pesano, – annuì. – Ma non abbastanza da continuare a farci del male.
– Non ti riconosco, – Giulia si appoggiò al sedile. – Ti ho sempre vista lottare.
– Una volta sì, – rifletté, guardando il viale. – Ora piccolo peso sulle spalle.
– E non ti fa male? – Si avvicinò, incuriosita.
Alessia esitò.
– Mi fa male. Non perché è andato. Ma perché ho aspettato troppo a prendere una decisione. Sai, pensavo di dirglielo stessa quella sera. Persino un discorso pronto. E lui mi ha anticipato.
– Ma perché non mi hai mai detto che si era rotta?
– Non volevo neanche ammetterlo davanti a me stessa. – Bevve un sorso. – Lo sai, invidia la sua fidanzata. Non per lui. Ma per la sua audacia. Sapeva cosa voleva e l’andava a prendere. Io stavo aspettando… che non so.
– E adesso? – si rilassò Giulia.
– Adesso vita. – Alessia sorrise per la prima volta. – Sai, cambio lavoro. Mi hanno offerto un progetto creativo…
– Fermati, – Giulia alzò la mano. – Prima il marito, ora il lavoro… Vuoi ribaltare l’esistenza?
– Non ribaltare, finalmente iniziare. – Guardò l’orologio. – Devo andare. Oggi incontro il capoprogetto.
– Aspetta, – la trattenne. – Sei davvero bene? Io mi preoccupo.
Le strinse la mano.
– Sto bene. Forse, per la prima volta.
A sera, tornò in un appartamento vuoto. Stefano aveva preso le sue cose, lasciando strani vuoti. Camminava lentamente per le stanze, osservando assenze: la sua rasoiere, il laptop, i calzini in giro.
Suonò il cellulare. Sullo schermo comparve il nome della suocera.
– Ciao, zia Lucia, – si sedette sul divano.
– Alessiellina, perché succede così? – La voce tremava. – Stefano non capisce niente, urla che vi siete separati!
– Così è, – rispose tranquilla. – Abbiamo deciso che era meglio per entrambi.
– Ma come? Avete reso una bella coppia! Forse non ha senso provare a sistemare?
Alessia sospirò. Amava la suocera, ma non aveva voglia di dettagli.
– Zia Lucia, abbiamo preso questa decisione. A volte le strade sono diverse.
– Era per colpa di quell’altra? – Le parole tagliavano. – Gli ho detto che non la vorrò mai in casa. Alessiellina, sai che ti considero mia figlia…
– Non è solo per lei, – la interruppe. – Siamo invecchiati l’una dall’altro. Lo sentivamo entrambi.
– E tu? Sei forte?
– Sto bene, – sorrise. – Addirittura, iniziano una nuova vita. Cambio lavoro, un piccolo restauro…
– Restauro? Subito?
– Perché no? Sempre ho sognato una cameretta luminosa e un angolo per i progetti creativi.
Dopo la chiamata, restò a lungo davanti alla finestra. Piovigginava. «Che strano, – pensò. – Ne ho paura di sola, ma ora sembra giusto». Cominciò a stilizzare l’acquisto per il restauro, quando suonò il citofono.
Stefano, umido e fradicio.
– Ho dimenticato qualcosa, – mugugnò, entrando.
Alessia annuì e tornò al suo elenco. Si fermò in salotto.
– Allora fai un rinnovamento?
– Sì, volevo da sempre. – Non alzò lo sguardo.
– Uno da sola ti va?
– Certo. Assumerò i muratori per le grandi operazioni, il resto lo farò io.
Stefano si mise in imbarazzo, come volesse aggiungere qualcosa.
– Tutto bene? – chiese infine.
– Bene, – sorrise. – Tu come sei?
– Okay, – abbassò la testa. – Vivrò con Elena per ora. Poi, forse, un’appartamento.
– Bene, – annuì. – Sono contenta che vada meglio.
– Sinceramente? – Si irrigidì. – Non ti ci credo.
– Per davvero, – disse ferma. – Tutti meritano felicità. Anche tu.
Restò a fissarla come mai prima.
– Non capisci, – disse. – Sei totalmente diversa.
– E forse meglio, – scrollò le spalle. – Le trasformazioni sono utili.
Quando lui uscì, restò con l’elenco, i pensieri tornavano a lui. “Diversa”. Qual era? Quella timida, adattabile, sempre a subire. Ricordò gli anni passati a rimandare i suoi sogni, la paura di cambiare, di dispiacere.
Si sedette davanti allo specchio. Stessa Alessia: capelli castani, occhi marroni, rughe sottili negli angoli. Ma qualcosa era diverso nella sua espressione, nel portamento.
«Sì, – pensò. – Sono davvero diversa. E pare bene».
Stefano tornò dopo due settimane, per prendere ultimi documenti. Alessia stava finendo di arredare. L’appartamento era nuovo: toni turchesi in salotto, pesca delicata in camera da letto e un’insalata di marmo in cucina, scelta da lei stessa.
– Ma… – rimase a bocca aperta. – Hai tutto rimesso a nuovo.
– Tutto, – fece un cenno. – I fogli e il dossier sono nello studio.
Stefano camminò per la casa, osservò i cambiamenti.
– Hanno cambiato anche la mobilia.
– Sì, sta tutto meglio. – Si mise al suo fianco. – E si vede di più.
Sul mobilecasetto con le foto, ritagli con lei e i genitori, amiche, mare, montagna.
– Non ci sono più i nostri ritratti? – c’era una punta di rabbia.
– Sono nell’album, – lo guardò dolcemente. – Hanno riguardato il passato. Qui, – indicò la stanza, – costruisco il presente.
– E come va il tuo presente? – La girò verso di sé.
– È mio, – disse semplice. – Ed è quello che conta.
Fece un cenno come a capire.
– Sai, ti sei vista bene. Sembrar fresca, rinnovata.
– Grazie, – sorrise. – Mi sento meglio. E tu?
Si rese conto di essere crollato.
– Non tanto, – confessò. – Con Elena va male. È esigente. Non pensavo che sarebbe cambiato così in fretta.
– Ti aspettavi che piangesse e pregasse di tornare? – chiese curiosa.
– Forse, – arrossì. – Forse sì.
– Forse non ci conoscevamo abbastanza bene come pensavamo.
Stava per uscire, quando:
– Alessi, hai mai… provare una volta? Capisco di aver sbagliato, ma… potremmo…
Scosse la testa.
– No, Stefano. Non è una separazione o un dolore. È la consapevolezza che siamo persone diverse. Ora trovo finalmente me stessa. Non voglio perdermi di nuovo.
A sera, aprì il balcone, fece entrare l’aria. Fuori c’erano gli odori di primavera e il profumo di ciclamino. Suonò il cellulare: Giulia l’avvertì di una mostra d’arte.
– Passo io alle sette, prometto interessante!
– Mi va bene, – rispose. – Ah, finito il restauro, vieni per inaugurazione.
– Inaugurazione? Non hai spostato casa.
– Sì, – rise. – Dall’antica vita alla nuova.
Sono passati sei mesi. Alessia sedeva in un bar lieto vicino al Tevere, aspettando Giulia. La sua vita è cambiata: nuovo lavoro non solo soddisfa, ma guadagno anche bene. Ha החדש amici, inizia yoga, recentemente iscritta a corso di spagnolo, da tanto desiderava.
Entra Stefano. La vede subito, si ferma, ma si avvicina.
– Ciao, – sembra stanco. – Posso?
– Certo, – indica sedia. – Come te la passi?
– Okay, – scrolla le spalle. – Sto con Elena.
– Mi spiace.
– Non mi spiace. – Sorride amaro. – Ho saltato come in abisso con la testa. Pensavo libertà, felicità, vita nuova. Invece, stesse problematiche. Solo persona diversa.
Alessia non parla.
– E tu, da sola? – chiede con attenzione.
– Sì, – sorrise. – Non significa solo.
– Sembri felice, – con un po’ di invidia.
– Lo sono, – risponde semplice.
– Alessi, io spesso penso: Forse ci siamo precipitati? Dovevamo provare a sistemare?
Alessia guarda fuori, barche su Tevere.
– A volte la fine non è fine, ma inizio. Lo ringrazio per gli anni passati. Ma mi ringrazio per la sua decisione. Forse, altrimenti, non avrei mai trovato coraggio per cambiar.
– E non ti pente? – chiede dubbioso.
– Pento solo di aspettare tanto.
Giulia le indica da strada.
– Devo andare. Contenta di vederti.
Stefano la guarda uscire. Ricorda quel sorriso quando gli disse sì, quando capì. Ora capiva: non amaro, non arrabbiatissimo, ma liberatorio. Sorriso di qualcuna che finalmente possedesse proprio vita.
E Alessia, lasciando bar, inala l’aria. Non ha mai sentito vita così forte in sé. Non era più la moglie o la metà altrui. Era un mondo intero, completo e pieno di possibilità. Ama questa donna, coraggiosa, aperta alle trasformazioni, pronta a vita iniziata.

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