IL MESTIERE DELLA FAMIGLIA

Lo Zio Michele era un uomo buffo. Gobbo come un orsacchiotto, basso, paffuto e riccioluto. Aveva occhi piccoli, azzurri e trasparenti come caramelle di zucchero. Portava gli occhiali e aveva un’espressione infantile, piena di gioia e ingenuità.

Alessio aveva paura degli uomini. Sussultava alle voci maschili o alle loro risate. Se qualcuno gli tendeva la mano per strada, da vero adulto, a soli sei anni si nascondeva subito dietro sua madre.

“Silvia! Ma che difensore fifone che hai!” ridevano i grandi.

Ma Alessio non era fifone. Aveva protetto la vicina Lucrezia quando tre ragazzi più grandi le avevano rubato la palla. Si era messo davanti a lei e aveva detto con fermezza:

“Non toccatela! È una ragazzina. Se volete litigare, fatelo con me!”

E i ragazzi se n’erano andati.

“Guarda un po’, questo moccioso ha fegato!” avevano borbottato.

Dopo quel giorno, Lucrezia l’aveva preso per mano dicendo: “Diventiamo amici!”

E quando un gattino si era arrampicato su un albero, Alessio era salito a prenderlo da solo. Fortuna che sua madre l’avesse visto dalla finestra e fosse corsa a chiamare i vicini, che li avevano salvati entrambi. Avevano adottato il gattino e lo avevano chiamato Luna.

All’asilo, Alessio era il più coraggioso e il più bravo. Lo prendevano come esempio. Ma gli uomini, quelli continuavano a spaventarlo.

Tutto era cominciato a due anni, quando suo padre urlava e alzava le mani sulla madre. Era un uomo alto, bello, con capelli e occhi scuri, forte. Camminando per strada, tutti si voltavano a guardarlo. Simone era l’ideale di bellezza, ma non di cuore. Alessio non ricordava un solo abbraccio, una sola carezza da parte sua.

“Smettila di piagnucolare! Non sei una femminuccia. I maschi non piangono! Non devi essere un rammollito. Dormirai al buio, niente storie della buonanotte. E togliti quel peluche dal letto, non sei una ragazzina. Hai rotto la barchetta? Niente più giochi, maldestro. Vattene. Va’ a giocare. Non disturbare. Zitto!” Queste erano le parole che Alessio sentiva dall’uomo che avrebbe dovuto amarlo di più.

Molto più tardi, capì di essere stato un figlio non voluto. Suo padre non aveva mai desiderato sposare sua madre, ma i nonni lo avevano costretto.

“Ti ama, Alessio. Forse col tempo capirà. È fatto così, tesoro,” gli diceva sua madre accarezzandogli i capelli.

Ma il tempo passava, e nulla cambiava.

“Dovevi aspettare che fossi io a volere un figlio! Te l’avevo detto, romanticona. E invece è nato questo piagnucolone,” urlava suo padre.

Non gli piaceva nulla di Alessio. E il bambino, col tempo, ci si era abituato. Suo padre spesso non c’era. Poi se ne andò del tutto. Disse che avrebbe mandato dei soldi. Ma il bambino non voleva vederlo. Non era quello che desiderava. Forse un giorno.

La madre di Alessio era bellissima. Capelli lunghi e biondi come il miele, occhi grandi. Ad Alessio sembrava una sirena. Lavorava tanto.

Un giorno tornò a casa con lo zio Michele. Era il suo capo al lavoro e l’aveva offerta di accompagnarla, visto che tornava a casa carica di buste della spesa.

“Ciao, piccolino. Sono lo zio Michele. Sono passato a trovarvi. Se è un momento scomodo, me ne vado subito. Ho portato dei pasticcini. E un aeroplanino. È un vecchio modello, me l’ha regalato mio nonno. Tua mamma dice che ti piace la tecnica. E poi questo coniglietto. Guarda com’è morbido, sembra vero,” disse lo zio Michele.

La sua voce era dolce, tranquilla. Rimase incerto sulla soglia. Alessio era immobile, in silenzio. Aveva paura.

“Va bene, Silvia. Me ne vado. Il piccolino vuole stare con te,” disse lo zio Michele, posando i pacchetti e dirigendosi goffamente verso la porta.

Si muoveva proprio come un orsetto. Alessio sorrise senza volerlo. E gli corse incontro.

“Non andare via, zio!”

Lo zio Michele lo sollevò tra le braccia. Profumava di colonia, di pane appena sfornato e di casa.

“Ma che bel bambino che sei! Oh, quanto sei bello! Quando sarai grande, tutte le ragazze ti cercheranno! Silvia, ma guarda com’è carino! Non ne ho mai visti di così!” esclamò con affetto.

Da quel giorno, lo zio Michele cominciò a far loro visita. Si sedeva a terra, anche in giacca e cravatta, e giocava con Alessio. Gli leggeva storie e gli portava libri. Se la madre era stanca, cucinava lui. Era bravo a fare di tutto: minestre, polpette, torte squisite. Il padre di Alessio non aveva mai toccato un fornello. Non si versava neanche il caffè da solo. Diceva che non era roba da uomini.

“Perché cucini, zio Michele?” chiese timidamente Alessio.

“Mi piace, Alessio. Vengo da una famiglia numerosa, sono il più grande. La mamma e il papà erano sempre occupati, dovevo badare agli altri. E poi, è divertente! Preparare qualcosa con amore, nutrire chi ami. Tua mamma torna stanca dal lavoro, lasciala riposare,” rispondeva lo zio Michele.

“Ma anche tu sei stanco. Anche tu hai lavorato,” obiettò Alessio.

“Io sono forte, non mi fa niente. D’estate andremo nella mia casa in campagna, è bellissimo. C’è una ranocchia nel pozzo. Te la farò vedere. Andremo a pescare. Racoglieremo margherite per la mamma!” e lo zio Michele strinse Alessio a sé.

Il bambino lo aggrappò con le sue manine. Più di ogni altra cosa, voleva che lo zio Michele restasse per sempre.

Un mese dopo, incontrarono suo padre per strada. Per caso. Era con una donna e barcollava leggermente.

“Chi è questo? Hai già trovato un sostituto, Silvia? Così in fretta! Non c’era di meglio di questo qui? Solo questo orrendo omuncolo?” rise il padre.

La donna al suo fianco fece lo stesso.

Lo zio Michele tacque.

“Papà, questo è lo zio Michele. Non insultarlo!” disse Alessio.

“Cosa? Ripeti, moccioso! Ti è spuntata la voce? Che razza di zio Michele?” e il padre afferrò lo zio Michele per il bavero.

“No! Papà! Ti prego, no!” urlò Alessio, aggrappandosi alla gamba del padre.

Da quel giorno, i nonni paterni cominciarono a portare più spesso Alessio a casa loro. Criticavano la madre. Lo zio Michele. Dicevano che il vero padre era uno solo. E che lo zio Michele non contava nulla.

Alessio ne parlò con lo zio Michele.

“Hanno ragione, piccolino. Lui è tuo padre, devi rispettarlo e amarlo. Perdonami se vengo a casa vostra… forse sarebbe stato meglio che non ci fossi io,” scuoteva la testa lo zio Michele.

“No! Non sarebbe cambiato niente! Non te ne andare, zio Michele!” supplicava Alessio.

Crescendo, la casa era diventata un luogo calmo e accogliente. Lo zio Michele era sempre in movimento. Lavorava, coltivava qualcosa nella casa in campagna. Cucinava, faceva conserve, leggeva ad Alessio. Gli insegnava a costruire oggetti di legno. Gli comprE quando, anni dopo, Alessio divenne capitano e navigò per mari lontani, portò sempre con sé il ricordo dello zio Michele, perché aveva capito che la vera grandezza non sta nell’apparenza, ma nell’amore che si dona senza chiedere nulla in cambio.

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