**Diario Personale**
Quella sera umida di ottobre, avevo indossato il mio accappatoio più caldo e posato sul tavolo un piatto di tortelli fumanti. La stanza si era riempita del profumo del forno, mentre dalla finestra entrava un vento gelido. Tutti in casa si erano affrettati a sedersi, desiderosi di scaldarsi con una tazza di tè e dimenticare l’umidità autunnale.
Mio figlio, il piccolo Luca, di dieci anni, si era seduto in silenzio, aveva preso un tortello, ma quasi non lo mangiava—si limitava a sminuzzare il ripieno con la forchetta, con lo sguardo torvo. Sembrava che avesse imparato qualcosa di serio quel giorno.
“Che succede, tesoro?” gli chiesi, sedendomi accanto a lui. “Sei così pensieroso. È successo qualcosa a scuola?”
Luca posò il tortello e rispose: “Oggi è venuto un agente di polizia a parlarci dei diritti dei bambini. Ha detto che spesso i genitori li violano.”
Alzai un sopracciglio sorpresa. “Davvero? E cosa avrebbe detto di così importante?”
“Tante cose,” cominciò Luca, con un tono da adulto. “Per esempio, non potete costringermi a fare ciò che non voglio. Voi e papà dovete rispettare la mia personalità. Ho una vita privata, e ho tutto il diritto di decidere come passare il mio tempo.”
“Vita privata?” ripetei, trattenendo a stento un sorriso.
“Esatto!” annuì convinto. “Se voglio giocare al computer dopo scuola, tu mi obblighi a fare i compiti. È una violazione della mia libertà! E poi urli se non mangio i broccoli—l’agente ha detto che è pressione psicologica! E le sculacciate? Quella è roba da codice penale! Potrei perfino essere allontanato da casa, se volessi.”
Rimasi in silenzio, appoggiata al tavolo, ascoltando mio figlio senza riconoscerlo. Ricordavo quando era piccolo, quando piangeva di notte e si stringeva a me, quando vegliavo sul suo letto, controllando ogni respiro. E ora davanti a me c’era un “cittadino con diritti”.
“E se la maestra ti trattenesse dopo le lezioni,” chiesi più piano, “chiameresti la polizia anche lei?”
“Certo! È trattenimento illegale. Posso denunciarla.”
“E se la mettessero in prigione? Non ti dispiacerebbe?”
“Be’… sì,” ammise, con una svolta incerta nella voce. “Ma… non dovrebbe violare le regole!”
Sospirai, mi voltai verso il lavandino e iniziai a lavare i piatti. Intanto Luca prese un foglio e cominciò a scrivere velocemente. Poi me lo porse con aria solenne.
Sul foglio, con la sua grafia incerta ma decisa, c’era scritto:
*Pagamento servizi: riordinare la camera – 10 euro, portare a spasso il cane – 5, fare la spesa – 3. Totale: 18 euro a settimana. Più i 25 della settimana scorsa.*
Abbassai lo sguardo sul foglietto. Un nodo mi strinse il petto. Sentii come se un muro si fosse alzato tra me e mio figlio. Mi sedetti al tavolo, presi un altro foglio e iniziai a scrivere. La mia mano tremava. A un certo punto risi, ma un attimo dopo gli occhi mi si riempirono di lacrime. Quando finii, piegai il foglio con cura e glielo consegnai.
Luca lo prese e lesse ad alta voce:
*Servizi offerti: notti insonni – migliaia, pulizie, lavatrici, pasti – ogni giorno. Preoccupazioni – senza numero. Riunioni scolastiche, ospedali, cadute, lacrime, paure, gioie, primi passi, prima parola. Le preghiere quando eri malato. Un cuore dato a te. Gratis. Perché ti amo.*
Rimase in silenzio. Poi, all’improvviso, mi si buttò tra le braccia, stringendomi forte. “Scusami, mamma… volevo solo sembrare grande. Non pensavo ti avrei fatto così male…”
Lo strinsi a me, lo baciai sulla testa e sussurrai: “Sai, piccolino… i diritti sono importanti. Ma l’amore e il rispetto contano di più. E una famiglia significa prendersi cura l’uno dell’altro, non per soldi, ma perché è così che funziona il cuore.”
Quella sera restammo seduti insieme, stretti l’uno all’altro. Fuori il vento soffiava gelido, ma in casa era caldo. Perché, finalmente, eravamo davvero di nuovo insieme.