Il passato non ti lascia andare finché non lo aggiusti…
Il locale era pieno. Matteo aveva prenotato un tavolo per tempo per festeggiare il suo compleanno, altrimenti non sarebbero entrati. Erano arrivati con il sole ancora alto, e ora fuori era buio. I condizionatori ronzavano a piena potenza, la musica pulsava. Lungo le finestre, luminarie natalizie lampeggiavano di una luce bluastra, dando alla sala un’aria festosa. Mancava solo l’albero.
«Matty, andiamo a ballare», gli sussurrò all’orecchio sua moglie, Viola, appoggiando la testa sulla sua spalla. Davanti al bancone, due coppie già ballavano su un piccolo spazio libero.
«Invita Luca, io resto qui», rispose Matteo strizzando l’occhio all’amico.
«Voglio ballare con te. Solo un giro», insistette lei.
«Davvero, ragazzi, ballate pure. Io devo andare. Mamma mi ha già riempito di messaggi. Non voglio mettere alla prova la sua pazienza. Matty, buon compleanno ancora», disse Luca alzandosi, stringendo la mano dell’amico e dirigendosi verso l’uscita.
«Noi restiamo ancora, vero? Qui fa così fresco», sentì Luca mormorare alle sue spalle la voce di Viola.
Appena uscito, l’afa umida della notte estiva lo avvolse, nonostante fosse tardi. Aveva bevuto poco, eppure la testa gli girava, le gambe molli. Forse era il caldo. Il telefono vibrò in tasca. Lo estrasse con fatica.
«Luca, dove sei? Torno presto? Sono preoccupata», la voce di sua madre era tesa.
«Mamma, sto arrivando, tranquilla.»
«Come faccio a non preoccuparmi? Sono quasi le undici», il rimprovero nella sua voce era chiaro.
«Mamma, arrivo…» Premette il tasto per riagganciare.
Accelerò il passo, respirando profondamente per smaltire l’alcol.
Un’onda di fastidio gli serpeggiò dentro. Aveva ventiquattro anni, era un uomo, eppure sua madre lo tempestava di chiamate alla minima uscita serale, come se fosse ancora un ragazzino. Come avrebbe mai potuto frequentare una ragazza? *Scusa, tesoro, mamma vuole che torni presto?* Dentro di sé, Luca era furioso con lei, ma nel profondo capiva le sue paure e non osava contraddirla apertamente. No, non era un mammone. Semplicemente sapeva perché fosse così protettiva.
Tredici anni prima era morta sua sorella, Beatrice. E il giorno dopo il funerale, suo padre era crollato per un infarto, incapace di sopportare il dolore. E lui, Luca, si sentiva responsabile di entrambe le morti. Così almeno credeva. Nessuna parola, nessuna rassicurazione lo aveva mai liberato da quel senso di colpa.
«Avevi solo undici anni. Cosa avresti potuto fare contro tre uomini adulti? E poi, era troppo tardi per intervenire. Non sei scappato per vigliaccheria, hai cercato aiuto», gli ripeteva spesso Matteo.
Era vero, ma Luca continuava a incolparsi. Quel peso gli impediva di costruire relazioni con le ragazze. Gli sembrava che anch’esse sapessero della sua codardia. Persino Viola. L’aveva conosciuta per prima, erano usciti un paio di volte, si erano persino baciati, e al buio del cinema era stata lei a prendergli la mano. Ma poi Luca l’aveva presentata al suo amico Matteo.
«Viola e Matteo—è destino», aveva scherzato lui.
E poco dopo, Viola gli aveva confessato di essersi innamorata di Matteo. Cosa poteva fare? Non si può costringere nessuno ad amarti. Si erano sposati sei mesi fa, e Luca era stato testimone. Un pizzico di rimpianto l’aveva provato, ecco. Viola era splendida in quel vestito bianco.
«Quando porterai una ragazza a conoscermi?», chiedeva sua madre.
«Quando ne troverò una come te, la sposo subito», scherzava lui.
E non mentiva. Sua madre era slanciata, bella, nonostante i suoi cinquantadue anni, anche dopo il doppio lutto e i capelli che erano diventati grigi in una notte. Beatrice le somigliava. Snella e delicata, con lineamenti fini, la pelle olivastra e gli occhi grigi. Luca adorava guardarla mentre si pettinava i lunghi capelli. A casa li legava sempre in una coda o li raccoglieva con una mollettina. Ma quando usciva, li scioglieva con un gesto leggero, e onde luminose le scendevano lungo la schiena. Con gli anni, sarebbe diventata ancora più simile a sua madre.
Avevano una famiglia unita. Suo padre adorava la moglie, era orgoglioso di sua figlia, felice di avere un figlio maschio. Beatrice stava per finire il liceo, aveva già sostenuto il primo esame di maturità. Sognava di iscriversi all’università, diventare insegnante. Ma la vita l’aveva strappata via in una calda sera d’estate. Per sempre diciassettenne.
Le strade vuote e buie gli riportavano ricordi che avrebbe voluto dimenticare. Ma il senso di colpa non lo abbandonava, lo tormentava giorno dopo giorno. Non passava giorno senza che Luca pensasse a sua sorella, senza che si rimproverasse per la sua vigliaccheria.
Riservata, minuta, casalinga, Beatrice lo prendeva in giro, chiamandolo «piccoletto». Luca si vantava con gli amici di avere una sorella così bella, come se fosse merito suo. I ragazzi più grandi lo adulavano per scoprire chi le piaceva. Stirava, passava l’aspirapolvere, pelava le patate con una dedizione che la rendeva elegante anche nei gesti più semplici.
Se non fosse scappato quella volta… Quando suo padre era morto, a Luca era venuta un’idea: doveva rimediare. Se fosse morto anche lui, la punizione sarebbe stata scontata, la colpa lavata via, e tutto sarebbe tornato come prima. A undici anni, quella soluzione gli sembrava perfetta.
Sua madre, nonostante il dolore, aveva intuito il suo stato d’animo. Una sera, prima di dormire, era entrata nella sua camera—quella che un tempo condivideva con Beatrice—e sedendosi sul divano gli aveva chiesto di non lasciarla sola. Se anche lui se ne fosse andato, non avrebbe avuto più ragione di vivere.
A Luca sembrava che non si fosse mai ripresa dalla perdita della figlia e del marito. E così, per pietà, aveva rimandato i suoi piani.
***
I rami degli alberi si incurvavano sopra il marciapiede, bloccando la luce dei lampioni. La strada era un alternarsi di chiaroscuri. Qualche auto sfrecciava verso casa. Nel fruscio degli pneumatici sull’asfalto, gli sembrava di sentire il rumore della pioggia. E in effetti, un po’ d’acqua avrebbe fatto comodo.
Tra tre mesi avrebbe festeggiato il suo compleanno, ma a casa. Niente locali. La mamma avrebbe preparato tutte le sue pietanze preferite… Gli amici di Luca e le compagne di Beatrice adoravano passare del tempo da loro. Beatrice. Perché continuava a ripensare a lei? Se solo non fosse scappato…
***
Quel giorno era un’altra calda sera d’estate. Beatrice era rimasta a studiare a casa di un’amica.
«Perché non è ancora tornata? E il telefono l’ha lasciato qui. Lu, sai dove abita questa Martina? Vai a chiamarla», aveva detto sua madre. «No, aspLuca strinse la mano di Sofia, guardando sua madre cullare la piccola Beatrice tra le braccia, e per la prima volta in tredici anni, sentì che il passato finalmente poteva essere lasciato andare.