Il passato ti tiene, finché non lo rimedi…

Il passato non ti lascia andare finché non lo aggiusti…

Il bar era pieno. Marco aveva prenotato un tavolo in anticipo per festeggiare il suo compleanno, altrimenti non avrebbero trovato posto. Erano arrivati quando il sole splendeva ancora, e ora fuori era buio. I condizionatori funzionavano a pieno regime, la musica suonava. Lungo le finestre, le luci natalizie lampeggiavano di un blu tenue, creando un’atmosfera festosa. Manca solo l’albero.

“Marco, vieni a ballare,” sussurrò sua moglie Francesca, appoggiando la testa sulla sua spalla. Sul piccolo spazio davanti al bancone già ballavano due coppie.

“Invita Luca, io resto seduto,” rispose Marco strizzando l’occhio all’amico.

“Voglio ballare con te. Solo una volta,” insistette Francesca.

“Davvero, ragazzi, ballate, non preoccupatevi di me. Io vado. Mia madre mi sta già tempestando di messaggi. Meglio non mettere alla prova la sua pazienza. Marco, ancora auguri per il tuo compleanno,” disse Luca, alzandosi, stringendo la mano all’amico e dirigendosi verso l’uscita.

“Noi restiamo ancora un po’, vero? Qui fa così fresco,” sentì Luca dire alle sue spalle, la voce di Francesca che lo seguiva.

Dopo l’aria condizionata del locale, la strada lo accolse con un’afa umida, nonostante fosse ormai tarda serata. Aveva bevuto poco, eppure la testa gli sembrava annebbiata, le gambe molli. Forse era il caldo. Nella tasca il telefono vibrò. Con difficoltà, lo tirò fuori.

“Luca, dove sei? In arrivo? Mi preoccupo,” chiese la madre con voce ansiosa.

“Mamma, sto tornando, non ti agitare.”

“Come non agitarmi? Sono quasi le undici,” rimproverò lei.

“Mamma, arrivo presto…” Premette il tasto per riagganciare.

Luca accelerò il passo, cercando di respirare profondamente per smaltire l’alcol.

Un’irritazione lo pervase. Aveva ventiquattro anni, era un uomo fatto, eppure sua madre lo tempestava di chiamate se restava fuori più del solito, come se fosse ancora un ragazzino stupido. Come avrebbe mai potuto avere una relazione? *Scusa, tesoro, mia madre vuole che torni presto?* Dentro di sé si arrabbiava con lei, ma nel profondo capiva il motivo e non osava esprimere apertamente il suo disappunto. No, non era un mammone, sapeva solo perché si preoccupava così tanto.

Tredici anni prima era morta sua sorella Eleonora. E il giorno dopo il funerale, suo padre era crollato per un infarto, incapace di sopportare la perdita della figlia amata. E lui, lui era colpevole di entrambe le morti. Così credeva. E nessuna parola, nessun ragionamento lo aveva mai liberato da quel senso di colpa.

“Avevi solo undici anni. Cosa avresti potuto fare contro tre uomini adulti? E poi, era già troppo tardi per intervenire. Non sei stato un vigliacco, sei corso a chiedere aiuto,” gli diceva l’amico Marco.

Era vero, ma Luca continuava a incolparsi. Era questo che gli impediva di costruire relazioni con le donne. Gli sembrava che anche loro sapessero della sua vigliaccheria. Persino Francesca. Lui l’aveva conosciuta per prima, erano usciti un paio di volte, si erano persino baciati, e al buio del cinema era stata lei a prendergli la mano. Ma poi Luca l’aveva presentata al suo amico Marco.

“Francesca e Marco, è destino,” rise quello.

E presto lei ammise di essersi innamorata di lui. Cosa poteva fare? Non si può costringere nessuno ad amarti. Sei mesi fa si erano sposati, e Luca era stato testimone alle loro nozze. Si sentì solo un po’ dispiaciuto. Francesca in abito bianco era bellissima.

“E tu quando ci porterai una fidanzata?” chiedeva sua madre.

“Appena trovo una come te, mi sposo subito,” scherzava lui.

E non mentiva. Sua madre era ancora bella, nonostante i suoi cinquantadue anni, nonostante il dolore e i capelli grigi. Eleonora le somigliava. Stessa figura slanciata, lineamenti delicati, pelle olivastra e occhi grigi. A Luca piaceva guardarla quando si pettinava i lunghi capelli. A casa li legava in una coda o li fissava con una mollettina. Ma quando usciva, si scioglieva i capelli e li scuoteva con un gesto che li faceva cadere a cascata sulle spalle. Col tempo, sarebbe diventata ancora più simile alla madre.

Avevano una famiglia unita. Suo padre amava la moglie, era orgoglioso della figlia, felice per il figlio maschio. Eleonora stava per finire il liceo, aveva già dato un esame. Voleva iscriversi alla facoltà di Pedagogia, diventare insegnante, ma la sua vita era stata spezzata brutalmente in una calda sera d’estate. Per sempre diciassettenne.

Le strade buie e deserte risvegliavano ricordi che avrebbe voluto dimenticare. Ma il senso di colpa non lo lasciava mai, lo tormentava, lo divorava. Non passava giorno senza che Luca pensasse a sua sorella, senza ricordare, senza commiserarsi per la sua codardia.

Riservata, gracile, casalinga, Eleonora lo prendeva in giro chiamandolo *piccoletto*. Luca si vantava con gli amici di avere una sorella così bella, come se fosse un suo merito. I ragazzi più grandi gli davano corda per scoprire chi tra loro piacesse di più a Eleonora. Stirava, passava l’aspiro, pelava le patate come se fosse la cosa più importante al mondo. Faceva tutto senza fretta, con un’eleganza naturale.

Se solo non si fosse lasciato prendere dalla paura quel giorno… Quando suo padre morì improvvisamente, a Luca venne in mente di dover rimediare. Se anche lui fosse morto, sarebbe stata la punizione giusta, la colpa sarebbe svanita e tutto sarebbe tornato come prima. A undici anni sembrava la soluzione perfetta.

Sua madre, nonostante il dolore, percepì il suo stato d’animo. Una sera, prima di dormire, entrò nella sua stanza, quella che prima condivideva con la sorella, si sedette sul letto e gli chiese di non lasciarla sola. Se anche lui se ne fosse andato, non avrebbe avuto più ragione di vivere.

A Luca spesso pareva che non si fosse mai ripresa dal dolore. E allora ebbe pietà di lei, rimandò i suoi propositi.

***

Le chiome degli alberi formavano una cupola sopra i marciapiedi. La luce dei lampioni non riusciva a penetrarle. La strada era un alternarsi di zone illuminate e oscure. Qualche macchina sfrecciava verso casa. Nel rumore degli pneumatici sull’asfalto, Luca credette di sentire la pioggia. Sarebbe stato perfetto, un temporale.

E invece, per il suo compleanno, tra tre mesi, avrebbe festeggiato a casa. Niente locali. Sua madre avrebbe cucinato prelibatezze… Gli amici di Luca e le compagne di Eleonora amavano venire da loro. Eleonora. E perché ci stava ripensando proprio ora? Se solo non fosse scappato…

***

Quel giorno era un’altra afosa serata d’estate. Eleonora era rimasta a studiare da un’amica, si preparavano per l’esame successivo.

“Ma perché non torna? Ha lasciato il telefono. Luca, sai dov’è che abita questa Martina? Vacci tu a prenderla,” disse sua madre. “No, meglio se ci vado anch’io.” E andò a cambiarsi.

“Dove vai? Nostra figlia è grande, non metterti in ridicolo. Non è lontano, Luca può andare,” disse il padre, voltando”Il tempo non guarisce tutte le ferite, ma quel giorno, salvando Sofia e diventando padre, Luca capì che forse non doveva aggiustare il passato, ma solo imparare a vivere con il suo peso.”

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