La presa in giro fallita
Giovanna, allegra e spensierata, non riusciva a passare un giorno senza uno scherzo. A scuola rideva sempre, faceva battute, e i ragazzi la rispettavano per questo. All’università era nel gruppo teatrale comico, e cercava solo ragazzi che sapessero ridere.
“Giovi, cambi fidanzato troppo spesso,” le disse un giorno la sua amica Caterina. “Prima esci con uno, poi con un altro, e ora vedo che parli già con un terzo.”
“Cate, lo sai che per me l’umorismo è fondamentale. Io non riesco a vivere senza ridere. Non è colpa mia se mi capitano ragazzi così: Adriano non sorrideva mai, mentre Riccardo rideva per un nonnulla. Troppo anche quello,” spiegò.
“Be’, dovrai cercare a lungo prima di trovare quello giusto,” rise Caterina.
“A me piace ridere, scherzare. Voglio un ragazzo che sappia farlo con me,” disse Giovanna.
“Ma la vita non è uno scherzo. Io, per esempio, voglio un ragazzo serio. Tutte queste risate… non fanno per me,” rispose l’amica.
“Siamo diverse, Cate. A me piacciono i ragazzi che non solo scherzano, ma sanno ridere di sé stessi, che vedono il lato positivo delle cose. È bello avere persone allegre intorno. Basta che gli scherzi non superino il limite.”
Giovanna adorava il primo aprile, quel giorno dell’anno in cui tutto poteva trasformarsi in una risata, e nessuno doveva offendersi. All’università e poi in ufficio, organizzava scherzi a tutti. E riconosceva subito se qualcuno cercava di prenderla in giro. Era il suo carattere.
Sì, aveva avuto storie, ma Adriano era noioso, non capiva una battuta e si offendeva, perciò Giovanna lo lasciò presto. Riccardo all’inizio sembrava perfetto, rideva alle sue battute, guardavano insieme programmi comici, ma poi notò che certe cose non le capiva. Così, piano piano, la storia finì.
La rottura
Quando conobbe Enrico, pensò di aver finalmente trovato l’uomo giusto, con cui ridere e vivere serenamente. Così, un primo aprile, si nascose dietro l’angolo di casa e, appena lui passò, balzò fuori facendo una smorfia e gridando “Buu!”, cercando di spaventarlo. Lo scherzo non funzionò, Enrico non si spaventò, ma Giovanna era pronta, aspettandosi una risposta.
Stranamente, quel giorno Enrico non reagì con uno scherzo. Ma due giorni dopo, mentre lei entrava in sala con un vassoio e due tazze di caffè e una cioccolatina, lui le lanciò ai piedi un serpente giocattolo, così realistico da sembrare vivo. Colta alla sprovvista, Giovanna sussultò, il vassoio cadde e il caffè si rovesciò.
“Enrico, che ti prende? Il caffè era bollente, potevo scottarmi!” gridò.
Lui, impassibile, rispose: “Era la mia risposta. Non sapevo che ti saresti spaventata così.”
Litigarono, ma poi fecero pace. Un mese dopo, però, lui “scherzò” di nuovo, portando un serpente vero, piccolo e innocuo, preso in prestito da un amico. Glielo gettò davanti mentre lei beveva il tè prima di uscire. Giovanna impallidì quando il rettile si avvicinò, rovesciò il tè addosso e salì su una sedia urlando.
Enrico rise. “Dai, non è velenoso! Lo presi da Matteo. Tu ami gli scherzi, no?”
“Ma così non si scherza! Prendi il tuo serpente e vattene. E questa volta sono seria.”
Così finì. Giovanna amava ridere, ma non a spese della sua sicurezza. In ufficio, tutti sapevano che organizzava scherzi geniali. Aveva un’espressione impenetrabile e nessuno capiva se stesse scherzando. I colleghi provavano a contraccambiarli, ma riuscivano raramente.
Usava questa abilità alla grande. Si avvicinava al collega Marco, diceva una sciocchezza con tono serio, e lui correva a verificare. Ma non si offendeva mai. Anche lui amava gli scherzi, soprattutto il primo aprile.
Con Marco, Giovanna si comportava da collega. Non lo aveva mai visto come un uomo. Forse perché le loro battute la divertivano e rompevano la monotonia.
Primo aprile
Quel giorno, Giovanna si impegnò. Portò delle crostate di mele fatte in casa, ma ne preparò una speciale per Marco, riempita di sale e pepe.
“Marco, prendiamo un caffè? Ho fatto anche le crostate,” disse, porgendogli la fetta destinata a lui prima di offrirne agli altri.
“Il caffè lo faccio io, con te non si sa mai,” rise lui, ignorando la crostata.
Ma mentre beveva, ne prese un morso, poi un altro, e subito si coprì la bocca e corse via.
“Giovi, di nuovo con i tuoi scherzi! Hai messo qualcosa anche nelle nostre?” chiesero i colleghi, alcuni divertiti, altri preoccupati.
“No, no, mangiate tranquilli. Solo Marco ha avuto la sorpresa,” rise lei.
Marco tornò, serio. “Come ho fatto a farmi prendere così? Sapevo che oggi saresti stata in agguato.”
Tutti risero, Giovanna compresa, felice di averlo beffato. Ma sapeva che Marco non l’avrebbe lasciata passare liscia.
Prima di pranzo, lui continuava a lamentarsi. “Hai sfamato tutti tranne me! Ti assicuro che non te la passerò liscia,” scherzò.
“Lo so. So che non mollerai…”
Lo scherzo da urlo
La giornata filò via liscia, ma verso sera Giovanna volle un tè. Entrò nella cucina dell’ufficio, dove c’erano due colleghi, e arrivò anche Marco.
“Ah, il tè! Io invece voglio una mela.”
Prese un coltello e iniziò a tagliare la mela, tenendola con la sinistra. Poi improvvisamente gridò: “Ahi! Mi sono tagliato! Giovanna, passami un asciugamano!”
Non sapeva che Giovanna aveva il terrore del sangue e delle ferite. Se ne vedeva una, sveniva. Agitata, cercò un asciugamano, afferrò un rotolo di carta e corse da Marco, afferrandogli il braccio… che le rimase in mano, mentre la manica rimase vuota.
A Giovanna girò la testa, il pavimento le sfuggì sotto i piedi e cadde a terra svenuta. Quando riaprì gli occhi, vide i volti terrorizzati dei colleghi, Marco pallido come un morto.
“Giovanna, stai bene?” le chiese, sollevandola delicatamente.
“Non so…” Ma poi vide che il suo braccio era al posto giusto e sorrise. “Non so se dire che lo scherzo è riuscito… o fallito.”
Tutti risero, tranne Marco, ancora scosso, che continuava a scusarsi.
“Perdonami, non sapevo che saresti svenuta. Non mi hai mai detto che sei così impressionabile.”
Una volta ripresGiovanna sorrise, guardandolo con occhi nuovi, e capì che forse l’amore vero era stato lì, accanto a lei, tutto quel tempo.