Luca
Domenico aveva una famiglia normale. La mamma e il papà lo amavano, e lui li amava a sua volta. Nei weekend andavano al cinema e a teatro, in inverno pattinavano sul ghiaccio, in estate partivano per la Puglia. Raccoglievano conchiglie, suo padre gli insegnava a nuotare… Poi la ditta dove lavorava fallì. E il padre cominciò a bere. E quando era ubriaco, insultava il governo, il presidente, le leggi. Tutti erano colpevoli del fatto che aveva perso il lavoro.
Quando la mamma, stanca delle sue ubriacature, gli chiedeva di andare a dormire, lui si scagliava contro di lei. Ultimamente la aggrediva senza motivo. Lei mandava Domenico nella sua stanza, ma lui sentiva tutto, sobbalzava alle urla, al rumore dei piatti che si rompevano. Che cosa poteva fare?
Quando finalmente il padre si addormentava, riempiendo la stanza di russamenti e puzza di alcol, la mamma andava da Domenico, spesso addormentandosi con lui nel lettino stretto. Lui notava i lividi sulle sue braccia, persino sul viso. La mattina il padre chiedeva scusa e giurava che non avrebbe più toccato la mamma…
Al mattino la mamma se ne andava in punta di piedi. Una volta sobrio, anche il padre usciva «per cercare lavoro», come diceva. Domenico restava solo, faceva i compiti. Frequentava la terza elementare al pomeriggio. Si scaldava il pranzo, mangiava e andava a scuola.
La sera tutto ricominciava.
«Che c’è, tuo padre ha fatto di nuovo baccano ieri?» chiese la vicina, Rosa Esposito, che abitava oltre il muro.
«Sì,» annuì brevemente Domenico.
«Perché tua madre non chiama i carabinieri?»
«Devo andare, arrivo tardi a scuola,» Domenico si affrettò a scappare.
«Vai, vai,» sospirò la vicina guardandolo allontanarsi.
Quando Domenico tornò da scuola, la mamma stava preparando la cena in cucina. Il padre non c’era, e Domenico ne fu contento. Si sedette a tavola e cominciò a raccontare le semplici novità della scuola. Poi disse che senza il padre stava meglio, e che sarebbe bello se non fosse più tornato a casa.
La mamma lo guardò di traverso.
«Sta attraversando un momento difficile, tesoro. Quando troverà lavoro, tutto tornerà come prima.»
Ma il padre arrivò, sbatacchiando le cose nell’ingresso, lasciando cadere qualcosa e borbottando. La mamma si irrigidì, sbirciò dalla cucina.
«Va’ nella tua stanza,» gli sussurrò, spingendolo piano sulla schiena.
Lui sedette nella sua cameretta e ascoltò. Ma oggi era tutto diverso, più silenzioso. Poi la mamma emise un grattino, qualcosa di pesante cadde a terra. Domenico uscì cautamente dal suo rifugio e sbirciò in cucina. Il padre era in piedi, con le gambe larghe, fissando la mamma a terra. Domenico non riuscì a trattenersi, urlò. Il padre si girò e lo guardò con gli occhi iniettati di sangue.
«Figliolo,» disse.
Domenico scappò dall’appartamento e bussò alla porta accanto. Era scosso da un tremore sottile. Rosa Esposito non capì bene le sue spiegazioni, ma chiamò i carabinieri e l’ambulanza. Arrivarono quasi insieme. Portarono via il padre, la mamma fu trasferita all’ospedale. Domenico passò la notte dalla vicina.
La mattina seguente, insieme a Rosa Esposito, andò dalla mamma. Era sola in una stanza, avvolta da tubicini trasparenti. Dormiva e non si svegliò, neanche quando lui la chiamò e le scosse la mano. Il dottore portò Rosa Esposito nel corridoio, e Domenico restò con la mamma.
Continuò a scuoterla, a svegliarla. Si annoiò, la vicina non tornava, e lui andò a cercarla. Una delle porte che davano sul corridoio era socchiusa. Domenico sentì il dottore dire a qualcuno che «lei era in coma e difficilmente si sarebbe svegliata, ma bisognava credere…» Si spaventò e scappò dall’ospedale.
Rosa Esposito lo trovò su una panchina del giardino dell’ospedale. Pianse per tutto il tragitto verso casa. Lei perse la pazienza cercando di calmarlo. A casa gli chiese se lui e la mamma avessero parenti.
«La nonna è in campagna,» rispose Domenico.
«Lontano da qui?»
«Un’ora e mezza in autobus, poi altri tre chilometri a piedi.»
«Ti ricordi la strada?»
«Sono mica piccolo!» si offese Domenico.
«Domani mattina ti porto dalla nonna,» disse Rosa Esposito.
Ma il mattino dopo la figlia di un’amica la chiamò e le chiese di andare subito da lei. Disse che sua madre stava morendo. Rosa si sentì persa.
«Ti accompagno alla stazione e ti metto sull’autobus. Scusami, non posso venire con te. Sei già un ragazzino grande.»
Alla stazione chiese all’autista di tenere d’occhio Domenico. Lui promise. E così Domenico partì solo per la nonna. Il rombo monotono del motore e tutto quello che aveva passato lo fecero addormentare in fretta. Gli sembrò di aver chiuso gli occhi solo un attimo, quando qualcuno lo scosse per la spalla.
«Ehi, ragazzino, svegliati, siamo arrivati,» lo svegliò una donna seduta accanto a lui.
Domenico si alzò e si diresse verso l’uscita.
«Ehi, piccolo, vai con gli altri, non perderti. Non posso accompagnarti, devo tornare indietro,» gli disse l’autista.
Domenico annuì e scese dall’autobus. La gente si disperse rapidamente verso casa, sulla strada che portava fuori dal paese restò solo. Ebbe paura. Ma il sole splendeva, le foglie secche scricchiolavano familiari sotto i suoi piedi. Domenico si disse che era grande, che conosceva la strada, che bastava non deviare, e si mise a camminare, canticchiando per darsi coraggio: «Bianca è la neve, la neve, la neve… Su quella collina c’è Luca, c’è Luca…» Una volta la cantava con la mamma.
Doveva attraversare un piccolo borgo, poi un altro più grande, con un negozio, e infine sarebbe arrivato al paese della nonna. Quando il primo borgo fu alle spalle, qualcuno lo chiamò con un fischio. Domenico si fermò e si guardò intorno. Due ragazzi più grandi erano seduti su un tronco caduto, lontano dalla strada.
«Tu chi sei? Da chi vai?» chiese il più alto dei due. «Non ti ho mai visto qui.»
«Vado dalla nonna,» disse Domenico.
«Non vai a scuola?»
«Ci vado, solo che oggi devo andare da lei,» Domenico non aveva voglia di spiegare.
«Hai una sigaretta?» chiese l’altro con una voce acuta.
«La mamma dice che se si comincia a fumare presto, non si cresce più,» rispose Domenico.
I due scoppiarono a ridere.
«Guarda questo secchione, che ridere. La mamma dice… E cos’altro ti ha detto? Che hai lì?» Il più grande smise di ridere all’improvviso e con un gesto rapido gli strappò lo zaino dalle spalle.
«Ridatemelo!» urlò Domenico e cercò di riprenderselo, ma il ragazzo lo spinseMa mentre tornava dalla nonna con la mamma al suo fianco, stringendole la mano forte, capì che finalmente poteva smettere di aver paura e ricominciare a vivere.