Il prezzo del tradimento: come una donna perse tutto, ma trovò il senso della vita
Francesca tornò a casa prima del solito: una collega le aveva chiesto di cambiare turno. Entrò in silenzio nell’appartamento, posò le chiavi sul mobiletto e si diresse in cucina. Nel lavandino c’era una montagna di piatti sporchi, sul tavolo briciole dappertutto. Una spiacevole sensazione la pervase: né suo marito né la nuora si erano preoccupati di pulire. Senza dire una parola, lavò tutto, sistemò la stanza e andò verso la camera da letto. Passando, sbirciò nella stanza di Sofia: la ragazza non c’era. Francesca aggrottò le sopracciglia, ma non diede peso alla cosa. Tuttavia, entrando nella sua stanza, si bloccò come se avesse preso una scossa: sul suo letto c’erano Sofia e… ALBERTO. Abbracciati. Mezzi vestiti. Nonostante la gravidanza di lei.
Eppure tutto era iniziato con amore. A Marco sembrava di volare ogni volta che andava da Sofia. Sì, era frivola, troppo libera nei comportamenti, ma lui lo attribuiva all’età: aveva appena vent’anni. Lui ne aveva due in più, cresciuto con rigore e affetto: sua madre, Francesca Maria, un’ostetrica rinomata, l’aveva cresciuto da sola. Gli aveva dato tutto: anima, moralità, bontà.
Quando Sofia annunciò di essere incinta, Marco non ebbe paura: le propose di sposarsi e crescere il bambino insieme. Ma lei si limitò a ridere: «No, in comune non ci vado. Ma i soldi mi servono. Bisogna risolvere la situazione». Marco rimase scioccato, ma non si arrese subito. La convinse: avrebbe tenuto il bambino e l’avrebbe cresciuto lui. Sofia, dopo averci pensato, accettò. Si sposarono con una cerimonia semplice. Vivevano a casa di Marco con sua madre e il patrigno Alberto. Ma dopo qualche mese, Marco non c’era più: un incidente stradale di ritorno dal lavoro. Francesca quasi impazzì dal dolore. Suo figlio era morto. Restava solo una speranza: il suo bambino nel ventre di Sofia.
Ma Sofia non era affranta. Le bastava sfruttare Francesca. Viveva nella sua casa, mangiava alle sue spalle, se ne stava in camera sua senza fare nulla. All’inizio, Alberto si infuriava: «Non voglio vedere quella arrivista». Poi, però, la rabbia si trasformò in… un’attenzione strana. Il suo sguardo su Sofia, incinta, diventava sempre più insistente. Francesca lo notò. Ma scacciò quei pensieri. Fino a quella sera…
Quando li vide insieme nel suo letto, tutto crollò. Con voce fredda, ordinò ad Alberto di andarsene. Lui non protestò. Dieci minuti dopo, era già scomparso. Sofia se ne andò in silenzio nella sua stanza. Francesca rimase sola, seduta sul letto con la testa tra le mani. Cacciare via Sofia? No. Le serviva il nipote. Per lui, avrebbe sopportato tutto.
La mattina dopo le disse: «Resta finché non partorirai. Poi potrai andare all’inferno. Non voglio più né vederti né sentirti». Sofia non obiettò: poco le importava. L’importante era arrivare alla fine e ottenere ciò che voleva.
Il parto fu difficile. Ma il bambino nacque sano, forte. Francesca pianse di gioia. Sofia invece… firmò il rifiuto di maternità e se ne andò. Senza un bacio, senza uno sguardo. Sparì semplicemente.
Francesca chiamò il piccolo Daniele. Lo adottò. All’inizio era spaventata: l’età, la solitudine, il dolore. Ma lui diventò il suo ossigeno. Il suo senso. La sua vita. Al posto del figlio perduto, il destino le aveva dato un’altra possibilità.
Sofia partì senza lasciare traccia. Alberto mandò le carte del divorzio. Francesca le firmò senza esitare. Non pensò più né a lui né a colei che aveva distrutto la sua casa. Ora aveva Daniele. E per lui, avrebbe vissuto.
La vita a volte ci spezza, ma poi ci offre un nuovo inizio. Basta saperlo riconoscere.