Il Prezzo della Felicità

**Diario Personale: Il Prezzo della Felicità**

Ero sdraiato sul divano, gli occhi chiusi, mentre ascoltavo i suoni della casa e della strada fuori. Attraverso i doppi vetri, arrivavano smorzati i clacson delle auto, le sirene della polizia o dell’ambulanza. Nell’appartamento accanto litigavano, da qualche parte squillava un telefono, una porta sbatté…

Un tempo amavo stare così, a cercare di indovinare in quale casa guardassero la televisione, in quale stessero discutendo, a quale piano si fermasse l’ascensore…

“Sogni di nuovo? Hai finito i compiti?”

Avrei giurato di non essermelo immaginato. Avevo sentito la voce di mia madre, lontana ma viva. Feci un sussulto e aprii gli occhi. La stanza era vuota, la porta dell’ingresso socchiusa. E se in quel momento, dall’oscurità, fosse comparsa lei, non mi sarei stupito. Mi sarei solo riempito di gioia. Ma mia madre non sarebbe più entrata nella mia stanza. Era morta una settimana prima. E quella voce era solo il dolore di un fantasma.

Mi alzai, i piedi affondarono nel morbido tappeto. “Diventerò pazzo se resto qui. Avrei dovuto prendere il biglietto di ritorno per il giorno dopo il funerale, al massimo per il secondo,” pensai. Appoggiai i gomiti sulle ginocchia, mi presi la testa tra le mani e cominciai a dondolarmi.

Il trillo improvviso del telefono mi fece sobbalzare. Il gomito scivolò, la testa ciondolò in avanti. Presi il telefono dal tavolo senza nemmeno guardare lo schermo. Lo sguardo cadde su un foglietto: “Figlio mio, tesoro mio…”

“Matteo, sono zia Francesca. Come stai? Deve essere dura, lì da solo. Perché non vieni da me?”

“No, tutto bene,” risposi, posai il telefono, piegai il biglietto e lo misi in un cassetto.

Non potevo restare solo ancora. Iniziavo a sentire voci. Ripresi il telefono, scorsi la rubrica e trovai il nome che cercavo.

“Luca! Vecchio amico dell’università. È lui quello che mi serve!”

“Luca, ciao!” dissi non appena sentii la sua voce.

“Ciao! Chi è…?”

“Non mi riconosci? Hai dimenticato in fretta un vecchio amico. Non me l’aspettavo da te.”

“Aspetta. Matteo?! Sei tornato?” urlò nell’orecchio, felice.

“Sì, ma vedo che non mi aspettavi e mi hai dimenticato,” risposi, fingendomi offeso.

“Non ti ho dimenticato, testardo. È vero, non mi aspettavo di sentirti. Dove sei ora?”

“A casa,” risposi serio.

Dal tono della mia voce, Luca capì subito che qualcosa non andava.

“Tua madre?”

“Se n’è andata. L’ho seppellita una settimana fa. Sono già passati nove giorni.”

“Mi dispiace. L’ho vista sei mesi fa. Sembrava stanca, dimagrita. Quanto resterai qui?”

“Tre giorni.”

“Devo venire da te? O meglio, vieni da noi. Starai impazzendo, lì da solo.”

“Da voi?” chiesi.

“Sì, mi sono sposato. Con Alice. Te lo immagini? È qui con me, ti saluta e ti invita a cena. Vieni subito. Tieni, l’indirizzo è cambiato. Abbiamo comprato casa con un mutuo.”

“Dimmelo,” dissi pratico.

“Ma guarda un po’, si è sposato. Alice lo adorava già dal primo anno, e lui tra una ragazza e l’altra ci girava attorno finché non glielo feci notare…” Chiamai un taxi e mentre aspettavo feci una rapida valigia.

In macchina chiesi all’autista di fermarsi in un negozio. Comprai del cognac per me e Luca, del vino per Alice, una scatola di cioccolatini e un vassoio di affettati.

Decisi di non prendere l’ascensore e salii a piedi fino al sesto piano. Negli ultimi due giorni non ero uscito. Era piacevole muoversi. Al terzo piano, passando davanti a una porta, sentii un lamento, forse di un bambino o di un cagnolino. Mi fermai.

“Ehi, c’è qualcuno?” chiesi, avvicinandomi.

Il lamento cessò. Stavo per ripartire quando ripartì, monotono e triste.

“Chi piange?”

“Io non piango, canto,” rispose una vocina.

“Perché canti davanti alla porta?”

“Aspetto la mamma.”

“Dov’è? Sei solo?”

“La mamma è andata dalla nonna in ospedale. Mi ha chiuso dentro. Sono malato.”

“Chiuso dentro?! Quanti anni hai?”

“Cinque. E tu chi sei?”

“Sono Matteo. Passavo di qui e ho sentito la tua canzone.”

“Mi chiamo Tommaso. Vuoi che ti reciti una poesia di Natale?”

“Certo.”

Lo ascoltai sorridendo. Ne avevo imparata una simile da bambino, ma l’avevo dimenticata.

“Per una poesia si merita un regalo. Ma come faccio a dartelo? Sei chiuso dentro. Vado un attimo da un amico e poi torno, va bene?”

“Che regalo? Sei il Babbo Natale?”

“No. Aspettami.”

La porta fu aperta da Luca, che mi abbracciò forte.

“Ciao, vecchio mio! Da quanto tempo!”

“Lascialo respirare,” disse una voce femminile.

Mi scostai e vidi Alice sulla soglia del salotto. Era cambiata, più bella.

“Entra, abbiamo appena traslocato, non tutto è a posto.” Luca era orgoglioso, quasi a dire: “Guarda, invidiami.”

Mi guardai intorno e fischiai.

“Wow! Non fare il modesto. È bellissimo.”

“Ci siamo indebitati, ma almeno siamo indipendenti. Stiamo pensando a un erede,” disse Luca raggiante.

“Sediamoci a tavola,” propose Alice.

Bevemmo e mangiammo, scambiandoci notizie.

“E tu? Sei sposato? Hai figli?” chiese Alice.

E in quel momento ricordai il bambino.

“Ascoltate, sembrerò scortese, ma potrei prendere qualche dolcetto e dei mandarini? C’è un bambino al terzo piano, mi ha recitato una poesia. Gli ho promesso un regalo. È un tipo serio, da solo in casa.”

“Certo,” disse Alice, preparando un sacchetto con dolci e mandarini.

Suonai il campanello al terzo piano. Nessuno piangeva più. La serratura scattò, la porta si aprì e vidi una ragazza carina. La riconobbi, ma non ricordai il nome.

“Tu?” Anche lei mi riconobbe.

Arrivò di corsa il bambino. Era proprio come me lo aspettavo: vivace, occhi grandi, dolce.

“Ti ho portato il regalo promesso. Scusa, non avevo giocattoli,” dissi porgendogli il sacchetto.

Mi fissò serio, dall’alto in basso.

“Posso entrare?” chiesi, guardando la ragazza.

“Perché?”

“Così… per parlare, è passato tanto tempo. Tuo?” Feci un cenno col capo verso il bambino.

“Entra,” rispose senza aggiungere altro.

Cercavo nella mente un nome che le si addicesse.

“Sei venuto così, senza cappotto? Come mi hai trovata?” chiese.

“Beatrice!” ricordai finalmente.

“Non ti cercavo. È successo per caso.” Le raccontai di Tommaso. “Un mio amico vive qui, qualche piano sopra. Luca, sua moglie Alice. Li conMatteo sentì che, nella strana coincidenza che lo aveva riportato a Beatrice e al piccolo Tommaso, c’era il destino, e decise di non lasciarsi scappare per la seconda volta la felicità che gli era stata donata.

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