Oggi ho vissuto un momento che mi ha spezzato il cuore e poi lo ha ricomposto. Lavoro alle poste da quando i francobolli si attaccavano leccandoli e le lettere profumavano ancora di colonia. Il mondo è cambiato, ma io sono rimasta fedele ai miei cassetti e alle mie abitudini. So riconoscere una lettera che annuncia una morte o un invito a un battesimo. Ma quella busta grigia arrivata in un grigio pomeriggio di novembre mi ha lasciato senza fiato.
Nessun mittente. Una grafia che mi trafisse il cuore, scolpita nella memoria. Quella di una persona che non vedevo da… vent’anni.
Mi sedetti sulla scrivania, le dita tremanti strapparono la carta. Dentro, un foglio. Una sola riga:
“Mamma, se ti ricordi ancora di me… mi sposerò domani. Se puoi, vieni. Carlotta.”
Le gambe cedettero. Il cuore mi batteva come quando avevo vent’anni. Carlotta… mia figlia. Quella che se n’era andata sbattendo la porta vent’anni prima.
Allora, tutto sembrava semplice e terribile allo stesso tempo. Mi disse che avrebbe sposato Marco. Un ragazzo senza un lavoro stabile, un sognatore, un artista. Non un uomo da famiglia.
“Se fai questo passo, non mettere più piede in questa casa,” dissi.
“Allora addio, mamma,” mi rispose con calma.
Da allora, silenzio. Avevo sentito che era nato suo figlio, che si erano trasferiti a Firenze. Ma non mi ero mai mossa. Non avevo scritto, né chiesto scusa.
E ora quella lettera. Senza rimproveri. Senza accuse. Solo un invito. Un’occasione.
Passai la notte in bianco. Seduta sul letto, a dibattermi. Cosa le avrei detto? Come l’avrei guardata in faccia? E se mi avesse cacciata? Dopotutto, era stata lei ad andarsene…
Ma all’alba, mi resi conto di quanto fossi stanca della mia stessa orgoglio. E di quanto mi mancasse. Mi alzai, infilai il mio cappotto più elegante, mi legai un foulard come facevo da giovane, e uscii.
Arrivata al Municipio, una ragazza in vestito bianco aspettava all’ingresso. Guardava lontano, come in attesa di un miracolo. Quando mi vide, il suo volto si illuminò.
“Mamma?”
Non riuscii a parlare. Annuiti. E un istante dopo, mi strinse tra le sue braccia—forte, vero, caldo. Come si abbraccia chi è mancato per una vita intera.
“Perdonami, Carlotta,” sussurrai. “Ho aspettato troppo.”
“Anch’io, mamma,” rispose. “Ma l’importante è che tu sia qui.”
A volte, per ricominciare, non servono grandi parole. Basta un passo. Una lettera. E l’amore che ha aspettato in silenzio tutto questo tempo.