Il ragazzo autistico afferra la mia giacca di pelle, urla per quarant minuti mentre sua madre lotta per staccargli le mani nel parcheggio del McDonald’s

12 ottobre 2024

Oggi, mentre parcheggiavo la mia Harley nel retro del McDonalds di Bologna, un ragazzino autistico mi afferrò la giacca di pelle e urlò per quaranta minuti, mentre sua madre lottava disperata per strappargli le mani. Io, Giorgio, un biker di 68 anni con più cicatrici che denti, mi trovavo improvvisamente al centro di una scena che sembrava uscita da un film.

La madre, Sara, piangeva a dirotto, scusandosi senza sosta, dicendo che quel comportamento non gli era mai capitato, che non sapeva cosa avesse il figlio e che, se voleva, avrebbe chiamato i carabinieri. Alcuni clienti filmavano, forse pensando che avessi fatto qualcosa di male, mentre lei implorava il ragazzo di lasciarmi andare.

All’improvviso il bambino si zittì e pronunciò le prime parole degli ultimi sei mesi: Papà viaggia con te. Sara si sbiancò, le gambe cedettero e cadde sullasfalto, fissando la mia giacca come se avesse visto un fantasma. Fu allora che notai il ricordo ricamato sul petto: RIP Fulmine Michele, 19752025.

Tommaso, il bambino, mi guardò dritto negli occhi cosa che sua madre mi disse non avesse mai fatto con nessuno e disse chiaro come il sole: Sei lAquila. Papà ha detto di trovare lAquila se ho paura. LAquila mantiene le promesse.

Non avevo mai incontrato né lui né sua madre. Ma era evidente che Fulmine Michele avesse saputo esattamente cosa fare, insegnando al figlio a riconoscere quel ricamo.

Sara singhiozzava senza controllo: Mio marito Michele è morto sei mesi fa sulla sua moto. Diceva sempre che, se qualcosa fosse accaduto, se Tommaso avesse avuto problemi, doveva cercare luomo con il ricamo dellaquila. Pensavo fossero parole vuote. Non sapevo nemmeno che tu esistessi.

Mi dispiace tanto! continuava, afferrando le mani del bambino. Tommaso, lasciami! Lascia luomo!. Ogni suo tocco lo faceva urlare più forte; le nocche erano bianche e il corpo tremava, ma non mollava la mia giacca.

Stai tranquilla, gli dissi cercando di mantenere la calma. Il suo modo di muoversi, gli sguardi rapidi tradivano una condizione di necessità speciale. Non fa male a nessuno.

Non lo aveva mai fatto, ansimò Sara. Non si avvicina nemmeno agli estranei. Non capisco.

Intorno si radunavano curiosi: un adolescente con il cellulare in mano, una coppia che usciva dal McDonalds e cercava di evitarci. Sara si faceva sempre più agitata, tirando più forte le mani di Tommaso.

Mi inginocchiai, sentendo che dovevo scendere al suo livello. Il suo urlo cambiò, divenne meno frenetico e più concentrato, come se cercasse di dirmi qualcosa senza trovare le parole.

Gli occhi erano fissi sulla giacca, sui ricami. Le dita tracciavano un motivo ripetuto.

Che vedi, amico? gli chiesi piano. Cosa ti colpisce?

Il silenzio scese improvvisamente, così forte da farmi vibrare le orecchie. Il parcheggio rimase inerte, persino ladolescente abbassò il telefono.

Papà viaggia con te.

Quelle parole uscirono nette, senza esitazione, come se fossero state pronte ad attendere quel preciso istante.

Le dita di Tommaso raggiunsero il ricamo commemorativo di Fulmine Michele, quello realizzato tre settimane prima. Tracciò le lettere con calma, quasi reverenza.

Sei lAquila, disse, guardandomi dritto negli occhi. Papà ha detto di trovare lAquila se ho paura. LAquila mantiene le promesse.

Il mondo mi sembrò crollare un attimo. Fulmine Michele era stato il mio fratello di strada per ventanni, compagno di migliaia di chilometri, di mille salvataggi reciproci. Non aveva mai parlato di figli, né di famiglia.

Il tuo marito era Fulmine Michele? chiesi, già sapendo la risposta.

Sara annuì, incapace di parlare. Tommaso stringeva ancora la giacca, ma più calmo, le dita tornavano al ricamo, poi allaquila sulla spalla, poi di nuovo al ricamo.

Fratelli di papà, disse semplicemente.

Allora sentimmo il rombo lontano di motociclette. Il sole scendeva, segno che noi ragazzi stavamo per andare al McDonalds per il solito caffè serale, come da quindici anni.

Il primo arrivò Big Gianni, la sua moto sbuffò al fermarsi e Tommaso non sussultò. Poi seguirono Corvo, Fenice, Ragno e Olandese, uno dopo laltro fermarono le loro moto.

Ci videro inginocchiati, il ragazzino attaccato alla giacca, la donna piangere a terra, e subito capirono che qualcosa di importante stava accadendo.

Fenice fu il primo ad avvicinarsi, lento e cauto. Gli occhi di Tommaso si spalancarono quando lo vide.

Fiamme, disse, indicando il tatuaggio di fuoco sul collo di Fenice. Papà ha detto che Fenice ha le fiamme.

Fenice rimase immobile. È il figlio di Michele, disse, senza dubbio.

Tommaso osservò il cerchio che si formava: uomini robusti in pelle e denim, tutti puntati su di lui. Un bambino normale sarebbe stato terrorizzato, ma lui li scrutava come se stesse spuntando una lista.

Gianni, disse, indicando il grande fisico di Big Gianni. Baffi. Poi a Corvo. Cicatrice qui, tracciò una linea sulla propria guancia. E Olandese, dito mancante.

Restammo tutti senza parole. Quellenero non aveva mai incontrato nessuno di noi, eppure conosceva ogni nostro segno. Michele lo aveva addestrato a riconoscerci.

Papà è tornato, concluse Tommaso, e tutti noi vecchi duri sentimmo le pupille bruciare.

Finalmente Sara trovò la voce. Mi chiamo Sara. Michele era mio marito. È morto sei mesi fa.

Noi lo sapevamo, disse dolcemente Big Gianni. Eravamo al funerale, ma non ti abbiamo vista.

Non potevo andare, aggiunse, la voce vuota. Tommaso non sopporta i cambiamenti, le folle. Da quando Michele è morto, non ha più parlato, mangia poco, non lascia che nessuno lo tocchi.

I medici dicono che è una risposta traumatica combinata con lautismo. Potrebbe non parlare più. Ma Michele diceva sempre, si interruppe, scuotendo la testa.

Cosa diceva Michele? chiesi.

Che se qualcosa gli fosse capitato, Tommaso lavrebbe trovato. Cercare lAquila. Pensavo fossero solo parole, rispose.

Come ha saputo di me? chiesi a Tommaso. Come ha capito chi ero?

La mano del bambino si posò sul ricamo dellaquila sulla spalla. Papà mi mostrava foto ogni sera. Ricamo dellAquila. Promessa dellAquila. LAquila aiuta.

Sara tirò fuori il cellulare, tremante, e mi mostrò una foto di Michele e me durante la corsa benefica dellanno scorso, con il mio ricamo dellaquila ben visibile.

Aveva decine di foto di tutti voi, spiegò. Le mostrava a Tommaso ogni notte, raccontandogli storie su ciascuno di voi. Pensavo fosse solo un modo per condividere la sua vita.

Era più di questo, disse Silenzioso Ragno. Michele lo stava preparando. Gli insegnava a riconoscerci.

Sara annuì, ancora in lacrime. Lautismo di Tommaso rende difficile riconoscere i volti. I simboli, i dettagli, le figure rimangono. Michele lo sapeva.

Quindi ci ha trasformati in simboli, dissi, capendo. Ci ha resi riconoscibili con i nostri ricami, tatuaggi, tratti distintivi.

Papà diceva che i biker mantengono le promesse, concluse Tommaso, lasciando la giacca per afferrare la mia mano. Andiamo in sella?, chiese speranzoso.

No, Tommaso, iniziò Sara. Non posso lasciarti andare.

Ho capito che la forza di un legame non sta nei muscoli o nella velocità, ma nella capacità di ascoltare e di riconoscere i segni che gli altri ci lasciano. La lezione che porto con me è che, anche quando il mondo sembra un caos di urla, un semplice ricamo può diventare la bussola che guida chi è perduto verso casa.

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