**Il Salvatore**
Mancavano circa cento chilometri da percorrere quando i fari dell’auto illuminarono una vettura rossa ferma sul bordo della strada, col cofano sollevato. Accanto, un ragazzo agitava le braccia con insistenza. Fermarsi in una strada deserta di notte era da incoscienti, ma il cielo si stava schiarendo all’orizzonte, segnando l’arrivo imminente dell’alba. Fabrizio Fermani decise di fermarsi e scese. Non fece in tempo a muovere due passi che un colpo violento lo colpì alla nuca, facendolo crollare a terra.
Riprese i sensi sentendo una mano frugargli nelle tasche. Cercò di alzarsi, ma un peso lo schiacciò di nuovo. Probabilmente erano in più, perché poco dopo un calcio gli si conficcò nelle costole. Dal dolore, urlò.
Le botte arrivarono da tutte le direzioni. Pugni, calci. Fabrizio si raggomitolò a terra, proteggendosi la testa con le braccia e il ventre con le ginocchia. Un altro colpo alle costole lo fece perdere i sensi.
Quando riaprì gli occhi, sentì un gemito. Pensò fosse il suo, ma poi un muso umido gli sfiorò la guancia. Vide il muso di un cane che lo fissava, nervoso. Tentò di alzarsi, ma un dolore acuto al fianco gli tolse il fiato. “Costola rotta”, capì. I pensieri erano lenti, come se avesse la testa imbottita di cotone. Il cane guaì di nuovo.
La volta successiva che riprese conoscenza, sentì il rombo di un motore e le scosse della strada sotto di lui.
“Ti sei svegliato. Siamo quasi a Milano, resisti ancora un po’,” disse una voce che non riuscì a identificare come maschile o femminile.
Fabrizio non riuscì a spalancare gli occhi, e in fondo non voleva. La stanchezza lo trascinò in un sonno profondo, finché uno scossone non lo riportò alla realtà. Ora lo trasportavano da qualche parte. Una luce abbagliante lo accecò, e una fitta alla tempia lo fece gemere.
“Eccoti sveglio,” disse una voce femminile allegra.
Fabrizio socchiuse di nuovo gli occhi. Tra le luci intermittenti, distinse un viso. Un vecchio con la barba a punta lo osservava con attenzione.
“Come ti chiami, ragazzo? Ricordi cos’è successo?”
“Fabrizio Fermani. Mi hanno…” Le labbra gli si muovevano a fatica.
“Sì, ti hanno conciato per le feste.”
“L’auto…”
“Non c’era nessuna macchina vicino a te. Solo un cane. È lui che ti ha salvato. Riposati, anzi, dormi,” disse il vecchio. E Fabrizio obbedì.
Quando si risvegliò, il dolore era più lieve. Nella stanza c’erano voci sommesse.
“È tornato in sé. Bene. Mi senti? Sono il capitano Mancini della polizia. Puoi parlare? Devo farti qualche domanda.”
Fabrizio rispose come poté: raccontò dell’auto, delle botte, diede il numero di targa…
“È tuo il cane?”
“No, non ho un cane,” rispose sorpreso.
“Ma l’autista che ha chiamato l’ambulanza ha detto che un cane gli è saltato davanti alla macchina, come per fermarlo. L’ha seguito e ti ha trovato in un fosso. Se non fosse stato per lui, saresti ancora lì. Firma qui.” Gli mise in mano una penna e un foglio già scritto.
“Cosa ho?” sussurrò Fabrizio.
“Sei vivo, ed è ciò che conta. Due costole rotte, una botta in testa, lividi dappertutto.”
“Basta per oggi. È stanco. Tornate domani,” intervenne il medico.
Fabrizio si addormentò di nuovo.
Si svegliò nel buio della notte, i riflessi delle foglie sul soffitto che lo facevano girare la testa. Chiuse gli occhi, ma ora la mente era lucida. Ricordò tutto.
Al mattino, si sentiva meglio. Il sole filtrava dalla finestra e gli uccelli cantavano.
“Eccoci. Riesci ad alzarti?” chiese il dottore sorridendo.
“Sì.”
“Piano, ti aiuto io.” Lo sostenne con cautela. “Non ti gira la testa? Allora proviamo a metterti in piedi.”
La stanza smise di ondeggiare. Fabrizio guardò attorno: una piccola stanza con pareti azzurrine, una sedia, il medico con la barba a punta che sembrava un personaggio di Carosello. I bendaggi gli stringevano il torace, ma il dolore era sopportabile.
“Abbiamo fatto bene. Proveremo a camminare presto,” lo incoraggiò il dottore.
E così fu. A poco a poco, Fabrizio riprese forza. Si avvicinò alla finestra e vide il parco dell’ospedale, con le panchine lungo i viali.
“Vedi, laggiù? Sotto l’albero? Il tuo cane. Ti aspetta,” disse un’infermiera.
“Non è mio.”
“Be’, non sembra d’accordo. Lo cacciamo, ma lui non se ne va. Gli portiamo gli avanzi della cucina, ma mangia solo quando nessuno lo vede.”
Il cane era seduto sotto l’albero, osservando chiunque passasse. Fabrizio non riuscì a stare in piedi a lungo e tornò a letto.
Il giorno dopo uscì. Il cane lo vide, ma non si mosse. Aspettò che fosse Fabrizio ad avvicinarsi.
“Sei tu che mi hai salvato? Grazie, amico.” Gli accarezzò la testa tra le orecchie e la coda sbatté due volte a terra.
Si sedettero insieme su una panchina a godersi il sole. Poco dopo arrivò il capitano Mancini.
“Buongiorno. Mi fa piacere vederti meglio. A quanto pare, non siamo graditi al tuo amico,” disse, indicando il cane che si era allontanato.
Il capitano gli chiese ancora qualche dettaglio.
“Abbiamo diffuso un avviso, ma nessuna traccia della tua auto. Probabilmente l’hanno smontata per i pezzi. Ti serve un passaggio? Non ho dubbi che con lui non ti lascino salire sull’autobus.”
Fabrizio scosse la testa.
“Allora aspetta, vedrò di organizzare qualcosa.”
Finirono sul sedile posteriore di una volante, mentre l’autorevole chiacchierava.
“Tutta Milano parla di voi due. Un cane così…”
Il cane rimase impassibile, mentre Fabrizio si sentiva un’ombra, per caso illuminata dalla gloria del suo salvatore.
Arrivarono a destinazione. Fabrizio salutò il poliziotto e presentò al cane la sua nuova casa. Davanti alla porta, sentì il profumo di carne arrosto.
“Su, entra,” disse, aprendo la porta.
Ma il cane rimase immobile sulla soglia. Da cucina uscì Greta, un grembiule a fiori addosso.
“Ciao! Sapevo che saresti tornato oggi. Ho preparato una cena speciale.” Gli offrì la guancia per un bacio, poi vide il cane.
“Chi è?”
“Lui è Sole. Ora vivrà con me. Con noi,” corresse Fabrizio.
Greta impallidì e indietreggiò verso la cucina. Fabrizio ricordò che da piccola era stata morsa da un randagio e da allora aveva una paura folle dei cani.
Si sfilò il grembiule e lo gettò su una sedia.
“L’hai fatto apposta, vero? Portare un cane qui?” La voce le si incrinò.
“Greta, mi ha salvato la vita. Non potevo abbandonarlo…”
“Toglilo dalla mia vista!” urlò.
Il cane si spostò daGreta si allontanò in fretta, mentre Fabrizio e Sole rimasero sulla soglia, pronti a iniziare una nuova vita insieme.