Ricordo ancora quel giorno come fosse ieri. Antonio e Giulia celebrarono il loro matrimonio con grande sfarzo nella campagna toscana, tra vigneti e colline dorate. Il ristorante era pieno di sessanta ospiti, tutti sorridenti, tra brindisi allegri e musica che riscaldava il cuore. Tutto sembrava perfetto, come un dipinto rinascimentale. E poi, nel bel mezzo della festa, arrivò il momento dei regali.
I primi furono i genitori di Antonio. Sua madre, Lucia Maria, prese il microfono con aria solenne e annunciò:
“Poiché nostro figlio è un uomo, deve essere lui a provvedere alla famiglia. Ma abbiamo deciso di aiutarlo regalandovi un appartamento! Ecco le chiavi! Vivete felici!”
La sala esplose in applausi. Tutti erano stupiti dalla generosità. Lucia Maria consegnò con orgoglio le chiavi, con un portachiave su cui era inciso l’indirizzo della nuova casa.
Antonio le prese, guardò l’iscrizione e rimase senza parole.
Tutto sembrava andare per il meglio. I soldi per il matrimonio erano stati messi da parte, l’abito scelto, il ristorante prenotato. I genitori andavano d’accordo, la suocera sembrava una donna affabile e la madre di Giulia gentile e discreta.
Ma la gioia svanì quando scoprirono un particolare: l’appartamento era proprio accanto a quello dei genitori di Antonio, separato solo da un piccolo atrio e da un balcone con una sottile parete divisoria.
“Appena ho saputo che i vicini vendevano, l’ho comprato subito!” esclamò Lucia Maria raggiante. “Che comodità! Vicini, ma con la vostra indipendenza. Saremo una grande famiglia!”
Giulia, sentendo quelle parole, sentì un freddo stringerle il cuore. La felicità per la nuova casa si dissolse in ansia.
Iniziò tutto subito dopo il viaggio di nozze. Una mattina presto, la suocera entrò senza bussare, portando un piatto di biscotti.
“Svegliatevi, ho preparato la colazione!” disse allegramente, sporgendosi nella camera da letto.
“Mamma, dormiamo ancora, oggi riposiamo. Come sei entrata?”
“La porta non era chiusa a chiave. Abbiamo la stessa serratura nell’atrio, è più che sufficiente.”
Antonio, ancora assonnato, non capì. Ma Giulia sentiva montare dentro di sé una forte resistenza. Da quel giorno, la suocera divenne un’ospite fissa e invadente: entrava più volte al giorno senza chiedere permesso, a volte nemmeno bussando.
“I biscotti si raffreddano!” ripeteva. “Vi ho portato la minestra! State sempre a letto…”
Ogni volta, Giulia cercava di spiegare che potevano cavarsela da soli, ma Lucia Maria faceva finta di non sentire.
Alla terza visita in una mattinata, Giulia non resistette: chiuse la porta alle sue spalle e mise la catenella.
“Perché mettete la catenella? Siamo famiglia!” protestò la suocera dall’altra parte.
Giulia pensò, amareggiata: “Famiglia non significa senza confini.”
Quella sera, tornati dalla spesa, trovarono Lucia Maria in cucina.
“Sto controllando cosa avete comprato,” disse con tono autoritario. “Questo the non va bene. E i biscotti sono secchi…”
Antonio serrò i pugni.
“Mamma, basta. Siamo adulti, possiamo gestirci da soli.”
“Lo faccio per voi!” replicò lei, alzando le mani.
“Rispetta i nostri spazi, per favore.”
La suocera se ne andò, ma promise di tornare il mattino dopo.
Il giorno seguente, Giulia si svegliò con dei colpi alla porta del balcone.
“Perché vi chiudete? Vi fidate così poco di me? Aprite!”
Antonio trattenne a stento la rabbia.
“Mamma, rispetta la nostra casa. Abbiamo bisogno di privacy.”
Ma Lucia Maria non ascoltava. Per lei, era solo amore.
Poco dopo, iniziò a insistere:
“Dammi i soldi! Andiamo insieme a scegliere l’auto! Controllerò io tutto!”
“Cambiamo idea,” rispose Antonio con calma. “Abbiamo speso i soldi per altro.”
“Per cosa?” chiese la madre, diffidente.
“Abbiamo comprato un altro appartamento. Presto ci trasferiamo.”
“Come? E il mio regalo?!”
“Grazie, mamma, ma non vogliamo vivere sotto controllo.”
Negli occhi di Lucia Maria brillò l’offesa, ma Antonio rimase fermo.
La decisione era stata accelerata dall’aiuto della madre di Giulia, che aveva ricevuto un’eredità e donato parte dei soldi alla figlia come regalo di nozze.
Trovarono un appartamento in un altro quartiere, presero un mutuo e iniziarono a sistemarsi.
Antonio e Giulia capirono: nessun regalo, per quanto prezioso, vale la pace dell’anima e la libertà.
E quando, il giorno del trasloco, Lucia Maria li accusò di averla tradita, Antonio le disse con serenità:
“Ti vogliamo bene, mamma. Ma vogliamo vivere la nostra vita. Senza visite quotidiane. Senza controllo. Senza intrusioni.”
E se ne andarono, lasciandosi alle spalle quell’appartamento “regalato” e una vita che avrebbe soffocato la loro felicità con troppa cura.