Il richiamo di mezzanotte che infranse il silenzio.

**La Chiamata di Mezzanotte che Spezzò il Silenzio**

D’un tratto, il telefono squillò alle undici e mezza di sera. Margherita si era appena assopita al ritmo regolare del respiro di suo marito, e quel suono improvviso la fece sobbalzare. Sentì il cuore batterle più forte a quell’ora, non c’era nulla di buono da aspettarsi.

“Alberto,” scrollò dolcemente il marito. “Alberto, svegliati! Il telefono.”
Lui si rizzò di colpo, afferrando il ricevitore. Margherita osservò il suo viso trasformarsi, impallidire con ogni secondo.
“Come quando?” chiese con voce soffocata. “Sì sì ho capito. Arrivo subito.”

Alberto riattaccò lentamente. Le sue dita tremavano.
“Che succede?” sussurrò Margherita, già intuendo l’irreparabile.
“Massimo e Anna” deglutì. “Un incidente. Tutti e due. Sul colpo.”

Un silenzio pesante riempì la stanza, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio. Margherita fissò il marito, incapace di crederci.

Solo due giorni prima, erano tutti in cucina, a bere caffè, Anna che condivideva la sua nuova ricetta per la crostata. E Massimo, migliore amico di Alberto dall’università, che raccontava storie di pesca.
“E Ginevra?” ricordò all’improvviso Margherita. “Dio mio, che ne è di Ginevra?”
“Era a casa,” Alberto infilò i pantaloni in fretta. “Devo andare, Margherita. Lì devono fare i riconoscimenti. E poi”
“Vengo con te.”
“No!” si voltò di scatto. “Beatrice resterebbe sola. Non serve spaventarla di notte.”
Margherita annuì. Suo marito aveva ragione non c’era motivo di coinvolgere la loro figlia di dodici anni in quella tragedia. Almeno, non ancora.

Tutta la notte non chiuse occhio. Vagò per l’appartamento, controllando ogni tanto l’orologio. Andò a vedere Beatrice, addormentata respirava piano, la guancia appoggiata sulla mano, i capelli castani sparsi sul cuscino. Così serena, così fragile.

Alberto tornò all’alba, sfinito, gli occhi rossi.
“Tutto confermato,” disse con voce stanca, cadendo sulla poltrona. “Uno scontro frontale con un camion. Non avevano scampo.”
“E Ginevra adesso?” chiese Margherita, posando una tazza di caffè forte davanti a lui.
“Non lo so. Le resta solo la nonna in paese. È anziana, quasi incapace di badare a sé.”

Rimasero in silenzio. Margherita guardò dalla finestra, dove l’alba era grigia e triste. Ginevra, la figlioccia di Alberto, aveva la stessa età della loro Beatrice. Una ragazzina bionda sempre un po’ in disparte.
“Sai,” disse Alberto lentamente, “penso che potremmo prenderla con noi?”
Margherita lo fissò:
“Dici sul serio?”
“Perché no? Abbiamo spazio, una camera libera. Sono il suo padrino. Non posso lasciarla in un orfanotrofio!”

“Alberto, ma è una decisione enorme. Dobbiamo pensarci. Parlare con Beatrice.”
“Che c’è da pensare?” sbatté un pugno sul tavolo. “Quella bambina è orfana! Mia figlioccia! Non potrei guardarmi allo specchio se la abbandonassi!”
Margherita si morse il labbro. Certo, aveva ragione. Ma tutto sembrava così improvviso.
“Mamma, papà, che succede?” La voce assonnata di Beatrice li fece sobbalzare. “Perché siete alzati così presto?”

Si scambiarono un’occhiata. Il momento della verità era arrivato prima del previsto.
“Tesoro,” iniziò Margherita, “siediti. Abbiamo brutte notizie.”
Beatrice ascoltò in silenzio, gli occhi che si allargavano sempre più. E quando suo padre parlò di Ginevra che viveva con loro, si alzò di scatto:

“No!” gridò. “Non voglio! Vada dalla nonna!”
“Beatrice!” la rimproverò Alberto. “Come puoi essere così crudele!”
“E a me che importa?” Gli occhi di Beatrice erano fiammeggianti. “Non sono affari miei! Non voglio dividerle la casa! Né voi!”

Sbatté la porta della cucina. Margherita guardò il marito, smarrita:
“Forse dovremmo aspettare?”
“No,” rispose deciso. “La decisione è presa. Ginevra vivrà con noi. Beatrice si abituerà.”

Una settimana dopo, Ginevra arrivò. Silenziosa, pallida, lo sguardo spento. Parlava appena, rispondendo solo con cenni del capo.

Margherita cercava di coccolarla. Le preparava i piatti preferiti, comprò lenzuola nuove con farfalle ricamate.

Beatrice la ignorava ostinatamente. Si chiudeva in camera, e se la incrociava in corridoio, distoglieva lo sguardo.
“Smettila di comportarti così!” la sgridava il padre. “Abbi un po’ di cuore!”
“Che ho fatto di male?” ribatteva Beatrice. “Faccio finta che non esista. Ne ho il diritto! È casa mia!”

La tensione cresceva. Margherita faceva avanti e indietro tra le due, cercando di mediare. Ma più si sforzava, peggio era.

Poi scomparvero gli orecchini. Quelli preferiti, d’oro, con piccoli diamanti un regalo di Alberto per il loro decimo anniversario.
“Li ha presi lei!” accusò Beatrice. “L’ho vista entrare nella vostra camera!”
“Non è vero!” per la prima volta Ginevra alzò la voce. “Non ho preso niente! Non sono una ladra!”

Scoppiò in lacrime e corse in camera. Alberto guardò la figlia con aria torva:
“L’hai fatto apposta, vero? Vuoi cacciarla?”
“Dico la verità!” batté il piede Beatrice. “Finge di essere triste, ma in realtà”
“Basta!” intervenne Margherita. “Non litighiamo. Gli orecchini si troveranno. Forse li ho messi da qualche parte io.”

Ma tre giorni dopo, scomparve un anello. Un ricordo unico della madre di Margherita.
“Anche questo è evaporato?” chiese Beatrice, sarcastica. “O fingiamo ancora?”

Stava in mezzo al salone, le mani sui fianchi una piccola furia. E sulla porta, Ginevra, tremante, che si mordeva le labbra trattenendo le lacrime.

Margherita passò lo sguardo dall’una all’altra. E per la prima volta, capì.

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