Il Rifiuto Immediato di Un Ragazzo nei Confronti di Un Adulto

Lo zio Alessandro a Tommaso non era piaciuto subito, anzi, l’aveva odiato da subito.

La mamma, nervosa, torceva le mani mentre quella sera parlava al figlio di otto anni:
“Tommaso, vieni a conoscere lo zio Alessandro. Lavoriamo insieme e ora abbiamo deciso di vivere insieme.”

Tommaso aggrottò le sopracciglia senza capire. Che voleva dire? Che questo estraneo sarebbe rimasto con loro?
“E papà?” chiese Tommaso con uno sguardo furioso alla mamma e una rapida occhiata allo zio Alessandro, che restava in piedi vicino alla porta.
“Tommaso, non cominciare!” La mamma si agitò ancora di più, alzando la voce.

“Papà tornerà! Tornerà di sicuro! Non abbiamo bisogno di te!” urlò Tommaso a quell’uomo sconosciuto. Le lacrime gli rigarono il viso e corse nella sua stanza.
“Tommaso, tesoro. Quante volte te l’ho detto? Tuo padre ci ha abbandonati. Ha lasciato me e ha lasciato te. Non tornerà più. Mai. Lo zio Alessandro invece è una brava persona. Vedrai, si prenderà cura di noi, diventerete amici.” La mamma si sedette accanto a Tommaso, che si era buttato sul letto. Gli accarezzava i capelli, le spalle, parlando dolcemente, ma lui restava voltato verso il muro, senza ascoltare. Non credeva alla mamma. Papà prima partiva spesso, con il suo grande camion, ma tornava sempre. Allegro, con regali per Tommaso e la mamma. Appena varcava il cancello gridava: “Su, venitemi incontro! Guarda chi è tornato!” e Tommaso correva verso di lui a braccia aperte: “Papà, papà! Cos’hai portato per me?” Prima che papà partisse quell’ultima volta, lui e la mamma avevano parlato a lungo in cucina. La mamma singhiozzava, papà ripeteva: “Maria, basta scene, lo sapevi che io ho un’altra famiglia. Devo pensarci.” Tommaso aveva solo sei anni, non capiva perché la mamma piangesse. Papà parlava di loro, della loro famiglia, di lui e della mamma. Non era possibile che ci fosse un’altra famiglia. Si addormentò, e la mattina dopo papà non c’era più. “Quando tornerà?” aveva chiesto alla mamma, che quel giorno era distratta e sospirava spesso. Tommaso non le credette quando gli spiegò che papà non sarebbe tornato mai più. Che aveva un’altra famiglia, un’altra moglie e altri figli, e che loro due non gli servivano più. Tommaso si era arrabbiato tantissimo con la mamma, piangendo e gridando che mentiva, che papà lo amava e sarebbe tornato. Aveva aspettato così tanto, ma papà non si faceva vivo. La mamma lo sgridava se chiedeva di lui. E ora, in casa loro, c’era questo zio Alessandro.

La mamma se ne andò. Tommaso sentì lo zio Alessandro dire in cucina:
“Maria, non avresti dovuto farlo così. Dovevamo prepararlo.”
“Non importa. Si abituerà. Andrà tutto bene,” tagliò corto la mamma.

La mattina dopo, a colazione, lo zio Alessandro era seduto con loro. Lodava la frittata fatta con lo strutto come fosse una prelibatezza. La mamma sorrideva, versandogli altro tè caldo.
“Tommaso, vuoi che ti accompagni a scuola? Potresti provare a guidare un po’,” propose lo zio Alessandro.
“Ci vado da solo,” borbottò Tommaso. Anche papà gli faceva sedere al volante del suo camion, certo, spento e fermo, ma a Tommaso piaceva girare il volante, toccare leve e pulsanti, immaginando di viaggiare lontano. Da questo zio Alessandro non voleva niente. Lo zio non insistette, la mamma non lo rimproverò per la scortesia. Tommaso era abituato da tempo ad andare a scuola da solo. La mamma lavorava in una fabbrica nella città vicina e, correndo verso l’autobus, gli gridava dalla porta: “Tommaso, alzati! La colazione è pronta!” Facevano colazione insieme solo nei fine settimana. Anche se Tommaso era furioso con lo zio Alessandro, era curioso di vedere la sua macchina. Forse una vecchia Fiat come quella del nonno Simone, che la accendeva una volta al mese per andare al mercato. Invece no: lo zio Alessandro aveva una bella macchina argentata, dove salirono con la mamma, partendo verso la città. La mamma gli fece un cenno, lo zio suonò il clacson. Tommaso non salutò né sorrise. Si rabbuiò e si allontanò in direzione opposta. Due case più avanti, sulla panchina, lo aspettava il suo migliore amico, Davide.

“Caspita, che sfortuna. Adesso inizierà a darti ordini.” Davide si grattò la nuca, un gesto automatico al solo ricordo del suo patrigno. Zio Marco viveva con loro da quattro anni. Beveva, gridava sempre contro Davide e spesso gli dava scapaccioni, con o senza motivo. La madre non lo difendeva, beveva spesso anche lei con il marito, convinta che un uomo sapesse meglio come educare un altro maschio. Tommaso immaginò che lo zio Alessandro potesse essere così e si fece ancora più cupo. La mamma non beveva, era sempre dolce e allegra, si intristiva solo se Tommaso parlava di papà.
Ma le sue paure erano infondate. Lo zio Alessandro non beveva. Dopo il lavoro e nei weekend, fischiettando, aggiustava e costruiva cose. Chiamava sempre Tommaso per aiutarlo, ma lui brontolava:

“Non mi interessa,” e se ne andava, poi sbirciava di nascosto, ammirando come lo zio Alessandro lavorava con abilità. La casa e il cortile pian piano miglioravano grazie a lui. La mamma stringeva le mani al petto contenta, rideva e sorrideva più spesso. E Tommaso, invece, nascondeva attrezzi, chiodi e altre cose, sperando che si arrabbiasse. Ma lo zio Alessandro non si arrabbiava. Quando non trovava qualcosa, sorrideva e diceva: “Folletto, folletto, gioca pure, ma poi restituisci,” strizzava l’occhio a Tommaso e andava a cercare altrove. E trovava sempre.
A cena, lo zio Alessandro chiedeva a Tommaso come andava a scuola, se aveva bisogno di aiuto con i compiti.
“Bene. Me la cavo da solo,” rispondeva Tommaso svogliato. Zio Marco non aiutava mai Davide, ma per ogni brutto voto lo sgridava. Tommaso era abituato a studiare da solo, sapeva che la mamma era troppo occupata con le faccende e stanca dal lavoro. Ora aveva più tempo, ma quando proponeva di leggere o guardare la TV insieme, lui rifiutava. Era ancora arrabbiato con lei per aver tradito papà.

Quel giorno Tommaso e Davide avevano litigato con dei ragazzi di quinta elementare. Una stupidaggine, poi si erano riappacificati, ma Tommaso se n’era andato con un livido sotto l’occhio.
“Tommaso, vuoi parlarne? Posso aiutarti?” chiese lo zio Alessandro, serio, senza il solito sorriso allegro.
“Non voglio niente da voi,” sbuffò Tommaso, lasciando la cena a metà per raggiungere la sua stanza.
“Sono ragazzi, sicuramente niente di grave, litigano sempre,” sentì la voce della mamma.
“Se è solo una rissa uno contro uno, succede, bisogna imparare a difendersi. Ma se ha problemi e lo prendono in giro?” domandò pensieroso lo zio Alessandro. “Per lui è già difficile per colpa nostra. Se succede di nuovo, parlerò con la suaLo zio Alessandro lo abbracciò forte e sussurrò: “Ora siamo una vera famiglia,” e Tommaso, finalmente sereno, annuì con gli occhi lucidi.

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